Katowice
E’ il mondiale della Polonia, il quarto, terzo di fila, non dell’Italia. E’ la festa di Pawel Zatorski, libero unico ancora in rosa del primo dei due trionfi sul Brasile, è fra gli 8 giocatori nella storia a essersi aggiudicato tre mondiali.
Stavolta cade l’Italia, a Katowice, nel campionato del mondo che senza la guerra si sarebbe giocato in Russia.
Vince Nikola Grbic, per 15 anni in Italia da alzatore e per 5 da tecnico, con la finale persa a primavera, contro Civitanova. I polacchi diventano secondi nell’albo d’oro, dietro solo alla vecchia Unione Sovietica, al comando con 6 titoli, quinta resta la Cecoslovacchia, sparita dai massimi livelli anche prima della divisione politica. L’Italia rimane d’argento, nonostante abbia eliminato Cuba e la Francia, più pericolose della Slovenia, in semifinale, aveva fatto la bocca all’oro, paga anche lo scatenamento del pubblico, con gli 11500 indomiti, sugli spalti della Spodek arena. Qui la pallavolo è religione, come da noi il calcio, si sarebbe riempito anche il vecchio Maracanà, in Brasile, dove ospitarono quasi 200mila spettatori, negli anni ’50, non è un’iperbole perchè per la partita inaugurale dei mondiali di volley, nel 2014, a Varsavia accorsero in 64mila, allo stadio, appunto. Figurarsi per una finale mondiale.
Il secondo posto azzurro è comunque un enorme risultato, se pensiamo all’uscita ai quarti alle olimpiadi e ai precedenti mondiali e al quarto posto in Nations, a Bologna. C’era nell’aria la grande impresa, con la regia di Simone Giannelli. “Il prototipo del palleggiatore moderno, alto e bravo a murare”, conferma Bruno, 36 anni, bronzo con il Brasile grazie al 3-1 sulla Slovenia.
L’Italia degli 11 debuttanti al mondiale su 14 canta l’inno ed esce dal campo con orgoglio, ha fatto l’impossibile, a Katowice, dove un anno fa si aggiudicò gli Europei, contro la Slovenia. “E questo argento vale comunque più di quell’oro – riflette Anzani, 30 anni -, perchè i mondiali ci sono ogni 4 anni e comprende tutte le migliori”.
Questo gruppo può reggere sino all’olimpiade di Los Angeles 2028. Yuri Romanò ha 25 anni, giocherà titolare per la prima volta in serie A fra qualche settimana, a Piacenza. Per non farlo preoccupare, il ct mite De Giorgi ha escluso dai convocati Ivan Zaytsev. Solo una volta è entrato Pinali a dargli fiato, è il suo compagno di camera. In banda ci sono gli altri addominali forti, di Alessandro Michieletto, 19 anni, figlio di Riccardo, buon giocatore degli anni ’80 e ’90, a Parma, e ora dirigente di Trento, dove hanno condiviso due finali di Champions di fila, perse contro lo Zaksa, Polonia. L’altro martello è Daniele Lavia, 22 anni, consacrato sempre da Angelo Lorenzetti, in Trentino. Al centro si si danno Simone Anzani, maestro nell’opposizione alle diagonali, sopra la rete. A Rio il ct Blengini gli preferì Buti, Piano e Birarelli, a Tokyo era nella squadra uscita al tiebreak dei quarti, con l’Argentina, è fra i 6 sopravvissuti di quella spedizione di un ciclo che andava in esaurimento. Accanto ha Gianluca Galassi, in nazionale giusto da un anno e mezzo e sempre più continuo, anche in battuta. E poi rifulge Fabio, Balaso, il libero di 27 anni, a lungo all’ombra di Colaci e Rossini e adesso volante in difesa e ricezione.
De Giorgi in certe partite effettua persino meno cambi dei 5 previsti nel calcio dal dopo covid. “Quando la squadra gira, non ha senso cambiare per far riposare. Levo qualcuno quando i dati evidenziano un calo”.
De Giorgi è campione d’Europa e vicecampione del mondo con il dialogo, anche grazie al mentalista Giuliano Bergamaschi. Era già designato per il dopo Blengini, fu esonerato da Civitanova per avere perso l’andata dei quarti di Champions, contro Zaksa, che poi si aggiudicò il trofeo, proprio con Grbic, in panchina.
Vanni Zagnoli