(v.zagn.) Tuttomontagna negli scorsi mesi ha presentato una splendida intervista al team manager della Pallacanestro Reggiana, Filippo Barozzi. E’ stata un’eccezione, poichè Filippo collaborava con la testata. Qui ringrazio il direttore Michele Campani per avermi concesso di ripubblicarla.
Filippo, partiamo dal calcio. Tuo padre Corrado è stato un grande portiere e tu hai deciso di scegliere lo stesso ruolo. Ha influito su questa scelta?
‘Mio padre non mi ha mai spinto a diventare un portiere. E’ stata una scelta mia da quando avevo sei anni. Nella prima partita che ho fatto hanno chiesto chi voleva andare in porta ed io ho alzato la mano. Mi è piaciuto da subito, e poi è andata avanti così. Mio padre per me è una figura molto importante, un punto di riferimento soprattutto fuori dall’ambiente dello sport per i valori che mi ha sempre insegnato. Poi è chiaro che in qualsiasi posto andassi nell’ambito locale tutti mi hanno sempre parlato della cavalcata del grande Roteglia dalla Terza Categoria a quello che una volta era il campionato Interregionale e di cui lui ha fatto parte. Per me è sempre stato un motivo di orgoglio, ma sarebbe velleitario fare dei paragoni perché lui ha giocato in categorie importanti e in epoche nel quale il calcio era visto in maniera diversa rispetto ad oggi’.
Cosa ti è mancato rispetto a lui per giocare a livelli più alti?
‘Penso di avere avuto la lucidità quando ero più giovane di capire che di calcio vivono in pochi. Tanti ragazzi coltivano un sogno ed io ho avuto una grande possibilità di giocare nel Sassuolo a livello professionistico giovanile. Arrivi ad un certo punto e devi fare una scelta che tanti ragazzi non fanno e continuano ad inseguire un sogno difficile da realizzare. Io probabilmente ho capito di non avere quel talento per far si che il calcio diventasse per me un lavoro a tempo pieno, allora mi sono concentrato sullo studio e sulla passione che ho sempre avuto per lo sport. Facendo in maniera che il calcio rimanesse solo una passione e un divertimento, come poi deve essere a livello dilettantistico’.
Poi?
‘Poi avevo sempre questo pallino di lavorare nel mondo dello sport professionistico perché la mia passione e la mia ambizione da sempre. Che poi si è coronato con questa opportunità in Pallacanestro Reggiana che io vedo come un punto di partenza perché non mi sento assolutamente arrivato. Voglio continuare a giocarmi questa opportunità importante che mi è stata data’.
Restiamo ancora in ambito calcio. Quella dei Barozzi a Baiso è una dinastia radicata.
‘E’ una cosa bellissima. In Montagna ci sono tante dinastie, mi vengono in mente quelle degli Ibatici a Corneto o dei Ferretti a Collagna. E’ bello perché ci sentiamo tutti una grande famiglia, e perché Baiso è da sempre una grande piazza del calcio nel bene e nel male. Nel bene per il campanilismo e l’atmosfera magica che si crea, nel male perché si crea una pressione che ci ha portato dal lontano 1987, quando mio padre era in porta, a non riuscire più a vincere il Torneo della Montagna. A Baiso il calcio estivo è visto come qualcosa di passionale. In tutti i ragazzi compresa la nostra famiglia Barozzi, che possiamo definire allargata, c’è una grande emozione quando si scende in campo con la maglia gialloblù e per il nostro paese. Una cosa che nel calcio di oggi si è un po’ persa’.
In effetti quello che vi manca rispetto alla generazione dei vostri padri è uno scudetto nel Montagna.
‘E’ vero ci manca un acuto, soprattutto perché penso che Baiso a livello di locali ha un parco giocatori di assoluto livello. Ragazzi giovani che stanno crescendo e che stanno entrando nel loro periodo di maturità. In questi ultimi anni abbiamo sempre fatto bene, ma ci è mancato il sigillo finale. Per noi vincere il Montagna è un sogno che ti rimane dentro per sempre e ci manca. Però bisogna avere pazienza ed avere anche quella mentalità vincente che Baiso ha nel suo Dna perché è una delle squadre più titolate nel Montagna. Abbiamo un gruppo con grandi potenzialità, ma non bisogna perdere tempo perché gli anni passano’.
Dal calcio al basket.
‘Un passaggio importante. Io sempre stato un appassionato di sport a tutto tondo, e il basket era una delle mie discipline preferite. Come tifoso della pallacanestro a Reggio, perché non ho mai giocato nemmeno un minuto. Quando avevo del tempo libero sono sempre andato al Palabigi a vedere le partite. Poi mi è stata data questa opportunità e ci tengo a ringraziare la Pallacanestro Reggiana, perché quando io fondamentalmente non ero nessuno all’interno di questo mondo hanno creduto in me. E mi stanno dando la possibilità di crescere anche a livello professionale’.
Come è avvenuto il contatto?
‘Tramite l’amministratore delegato, Alessandro Dalla Salda, che ho conosciuto proprio durante il Torneo della Montagna. Queste sono le belle storie della vita. Lui era venuto per accompagnare l’allora d.s. del Baiso, Massimo Varini, che faceva parte della cordata della Scandianese e che erano venuti per darci una mano. Conoscendo il suo ruolo gli ho chiesto qualche consiglio per entrare all’interno dello sport professionistico, e lui mi rispose di avere pazienza, di studiare, e di tenermi sempre aggiornato, per sfruttare una occasione che mi sarebbe capitata. Quando la Pallacanestro Reggiana vinse il campionato di Lega Due avevano bisogno di una figura che affiancasse il d.s. Frosini per ricoprire il ruolo da team manager. Cercavano un ragazzo giovane e hanno pensato a me. Quando mi è stato comunicato non ci ho pensato due volte. Mi hanno chiesto quando potevo cominciare, ed io ho risposto anche domani. Dopo un colloquio in sede ho fatto tre mesi di prova e poi firmato il mio primo contratto annuale. Poi rinnovato per altri due anni e continuare con questa fantastica esperienza’.
Spiegaci meglio cosa vuol dire fare il team manager per una società ai massimi livelli nel basket.
‘Prima di tutto è una grande fortuna in tempi difficili come questi, e poi anche perché ti consente di fare un lavoro che ami. Io mi ritengo molto fortunato, anche se la fortuna penso di essermela meritata per quello che ho fatto vedere in questi anni da quando sono qua. Alzarsi alla mattina e fare un lavoro che ti piace, penso che sia un privilegio per pochi. Fare il team manager vuol dire anche tanto sacrificio perché non ci sono orari o giorni liberi. Sabato, domenica, o festività non esistono. Si parte alla mattina e si finisce a tarda sera, perché i giocatori hanno sempre bisogno di una figura a loro disposizione per risolvere i problemi. Che può essere dalla luce che ti salta in casa alla gomma bucata della macchina, come è capitato. Poi si varia anche nell’organizzazione dei vari eventi fino ai rapporti con l’Eurolega ed i vari meetic. L’aspetto bello è che si svaria in tutti i campi. Ogni giorno fai qualcosa di diverso, e passi dalla giacca e cravatta alla tuta’.
Scontato dire quale è stato il momento più bello di questa avventura.
‘Direi proprio di sì. La vittoria nell’EuroChallenge a Bologna. In primo luogo come società e alla prima partecipazione in questa prestigiosa manifestazione, e poi a livello personale perché ero il responsabile nel mantenere i contatti nell’EuroChallenge e quindi i sacrifici che ho fatto sono stati ripagati. Anche curando una organizzazione che è stata definita impeccabile. Momenti di grande emozione che non scorderò mai. In futuro spero di vivere altre sensazioni così’.
Già da molti anni la Pallacanestro Reggiana si è legata al nostro appennino con i ritiri estivi. Per un montanaro come te un motivo di orgoglio.
‘Questo legame per me è molto importante. Per un ragazzo della montagna che è cresciuto senza comodità o tante opportunità che invece la città ti può dare, ma anche cresciuto con dei valori che solo la montagna ti può dare, questa sinergia che si crea tra sport e montagna è qualcosa di veramente unico. A Castelnovo Monti la Pallacanestro Reggiana è particolarmente legata, ma vorrei anche ricordare con una punta di orgoglio la Baiso Biancorossa che è il club ufficiale della Pallacanestro Reggiana. Ragazzi e amici con i quali ho fatto delle trasferte e delle cene. Anche tramite loro mi sono avvicinato a questo mondo e se adesso sono qua è anche per merito loro’.
Il basket fa ormai parte della tua vita. Anche il calcio lo sarà ancora?
‘Partiamo dall’ultimo Montagna che comunque ritengo sia stato positivo, anche se siamo usciti in semifinale. La scorsa estate finito di lavorare andavo a Meletole per allenarmi insieme a Sergio Motta. Non lo so se continuerò, ci devo pensare perché ci sono tanti ragazzi più giovani che meritano di giocare. Sto ragionando se sia opportuno prendermi un anno di pausa, perché forse è giusto staccare. Ma mai dire mai. Una vittoria nel Montagna con la maglia del Baiso mi manca tanto, quindi non so se in veste di giocatore o dirigente ma uno scudetto con la squadra del mio paese lo voglio vincere’.
Il Baiso esce di scena sempre sul più bello. Cosa vi manca?
‘Questo è vero e non possiamo parlare solo di sfortuna o di casualità. Lavorare nel mondo dello sport professionistico mi ha insegnato che serve programmazione e fare le cose con una mentalità più professionale possibile. Forse è arrivato il momento di resettare e di ripartire partendo da quello che di buono è stato fatto. Ripartire da un gruppo di locali giovani che sono il fulcro. Motivati, capaci,e con passione. A Baiso c’è sempre molta aspettativa e bisogna che la piazza supporti la squadra e che si remi tutti dalla stessa parte. I successi nello sport vanno costruiti e lo dimostra una società come il Cavola da tanti anni con un gruppo di locali solido’.
Nel tuo futuro cosa vedi?
‘La voglia di continuare a crescere insieme alla Pallacanestro Reggiana, se mi verrà ancora data questa possibilità. Poi nella vita non si sa mai. Il mio futuro comunque lo vedo nel mondo dello sport che è la mia passione e che mi da la forza di andare avanti’.