“Te volevo fa’ i complimenti”. Diceva anni fa una firma nazionale, già 20 anni fa, oggi di quotidiano sportivo, al numero uno dei giornalisti italiani. Telefonava apposta, proprio.

Faccio nomi e cognomi? Mannò, vah, sennò è un casino, perchè altrimenti si capisce che mi riferisco a una firma di un quotidiano sportivo e di più non dico. Che aveva l’abitudine di chiamare per fare i complimenti al numero uno dei giornalisti sportivi italiani, diciamo dalla morte di Gianni Brera.

Okay, già si capisce, un po’, no, a chi erano diretti?

Ecco, il lacchè, a me manca. Ma a tanti. Quello telefonava, ritualmente.

Cesare Prandelli con Vanni Zagnoli

I miei complimenti sono veri, come questa foto con Prandelli che dovrò raddrizzare, rovesciare.

I più fanno i complimenti finti, ipocriti.

Andatevi a leggere i miei pezzi su Nosotti e Turrini, su Prima Pagina Modena. Un collega mi ha parlato di ipocrisia, ma quale ipocrisia?

Parla la mia storia, parliamo di grandi colleghi. Il punto è che io non posso scrivere se non qua o su testate non nazionali il mio pensiero, l’editoriale. Perchè l’opinione è patrimonio di una èlite.

Perchè serve la lingua giusta, in tutti i sensi, e anche la cultura giusta.

Perchè se a certi pezzi cambiate la firma vanno benissimo, di fronte alla mia i benpensanti arricciano il naso. Eh, ma lui. Eh, ma lui. Eh ma lui. “Lui non fa parte della nostra squadra”. “Per chi lavora Zagnoli?”.

“Per chi lo valorizza, come tutti”.

Ma il punto è che oggi ci si valorizza gli uni con gli altri ai massimi livelli, c’è un brainstorming, un trust di cervelli, un tutto. Un’èlite. E come si ci arriva?

Facile. Toccando le corde giuste.

Bella scrittura o stile da cazzeggione, da ciarpame. L’intelligenza, il garbo, la banalità non bastano.

Bisogna sorprendere, emozionare. E soprattutto coltivare i buoni rapporti. Perchè altrimenti…

“Sì, ma lui…”. “Eh, ma lui…”.

 

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