Chissà se sabato sarà subito al suo posto, penso di sì. Chissà quando tornerà a condurre il tg di Skysport24.
di Fabrizio Biasin
E, insomma, sono spuntate queste foto di Diletta Leotta, «rubate» dal suo smartphone. Riassunto in sette parole su «chi è Diletta Leotta»: una-giornalista-sportiva-non-brutta-di-Sky.
È tutto ciò ridicolo e vergognoso? È, questa, prova evidente della deriva pecoreccia presa da noialtri italiani, dell’imbarbarimento che presto porterà tutti noi a diventare ciechi e callosi? Lo è, ma la cosa era arcinota anche prima di vedere le grazie di «sua grazia» e, soprattutto, ci distrae dall’obiettivo. Riassumiamo il contenuto delle foto e, infine, andiamo al punto.
Contenuto delle foto sintetizzato in poche parole: la Leotta sfrutta il metodo fotografico denominato «selfie» per immortalare parti del suo corpo che preferiamo lasciarvi intuire. Per aiutare coloro che sono appena sbarcati da Plutone vi diremo che non si tratta né del ginocchio, né dell’alluce valgo e che c’entrano le tette. Fine degli aiuti.
Veniamo infine al punto: 1) ha Diletta Leotta fatto qualcosa di sbagliato? No, queste foto erano semplicemente «cazzi suoi» sottratti in maniera bieca. 2) Deve Diletta Leotta vergognarsi di qualcosa? No, a casa sua e nel rispetto degli altrui diritti, ognuno fa quel che gli pare. Se invece pensate «sì, che svergognata» riflettete su quel che c’è nel vostro telefono o in quello dei vostri figli/parenti stretti: chi più, chi meno, siamo tutti sulla stessa barca goduriosa salpata ai tempi degli Assiri e dei Babilonesi, solo che all’epoca non c’erano gli smartphone. 3) È Diletta «colpevole di ingenuità» per aver lasciato codeste foto in un posto denominato «iCloud», sorta di cassetta di sicurezza virtuale dove chiunque può archiviare i fattacci suoi? No, non lo è, quantomeno non più delle vittime dei furti in banca. 4) Queste foto fanno realmente «impressione»? Scandalizzano davvero? Non scherziamo, per l’amor del cielo. Avrebbe fatto molto più scalpore se nel cellulare della Leotta avessimo trovato non lei con le bocce di fuori (ha 25 anni ed è figa, se non lo fa codesta bellezza chi lo deve fare, Malgioglio?), ma uno scatto di Massimo Mauro in guèpière.
E ora caliamo le braghe (in senso figurato, per carità): questo è un pezzo in difesa di Diletta Leotta, del suo diritto (che è anche il nostro) di farsi tutte le foto del cazzo che vuole. Solo che se le facciamo io e te restano foto del cazzo (in ogni senso) e non se le fila nessuno, se invece se le fa lei creano un putiferio ormonale e morale da film di Pierino.
Questo è un pezzo in difesa di Diletta Leotta per almeno tre motivi: 1) La ragazza è buona come il pane ma allo stesso tempo è brava, sa condurre e si merita quello che ha. 2) Magari pensa «che gentili costoro» e le buttiamo là un apericena. 3) Tutti quanti dobbiamo iniziare ad avere paura. Ma di brutto.
Lasciamo perdere il populistico e assai facile «il caso Tiziana Cantone non ci ha insegnato niente!» e ragioniamo su altro. Al giorno d’oggi se non stai attento sei fregato: ti sputtanano, e lo sputtanamento non si diffonde con il vecchio «passaparola», ma con la velocità siderale conferita dal web. Al giorno d’oggi questioni vitali e non vitali sono alla mercé di tutti. E «tutti» non siamo io e te più o meno dotati di senno, ma gente ai limiti della malattia mentale che gode nell’infierire, che enfatizza, che trasfigura la realtà e magari al «pacchetto di foto osé» aggiunge un fotomontaggio per buttarla ancor più in caciara. E in un attimo uno pensa: «Questa è lei o non è lei? Forse è un falso», ma inconsciamente ha già deciso che sì, «quella che mostra il culo è proprio la Leotta» e nulla gli farà cambiare idea.
Si chiama «bestiale invidia», si chiama «mondo dell’informazione andato a puttane», per fortuna si chiama anche «totale superficialità», quella che oggi ci fa sbavare sulla questione Leotta e che domani ci farà dimenticare anche questa troiata, perché tanto ci sarà qualcun altro da massacrare o difendere alla bisogna. E allora la chiudiamo con un doveroso #jesuisleotta, ché proprio il jesuis «buttato là» è il simbolo di quanto ormai tutto scada più in fretta di uno yogurt.
A cura di Giangabriele Perre