Il Secolo XIX, la morte di Corioni, il presidente che a Brescia portò i campioni: Guardiola, Roberto Baggio, Hagi. Lanciò Pirlo e Toni. Baggio: “Ero senza squadra, comprese che avrei potuto dare ancora tanto, al calcio”

Era il settembre 2001, quando Gino Corioni portò a Brescia Pep Guardiola.  Credit: Grazia Neri/ALLSPORT
Era il settembre 2001, quando Gino Corioni portò a Brescia Pep Guardiola.
Credit: Grazia Neri/ALLSPORT

VANNI ZAGNOLI
ERA DAL 1967 che lo chiamavano presidente, sino al febbraio di un anno fa, quando uscì definitivamente dal Brescia. Ospitaletto (portato in C1), Bologna e poi le rondinelle, 48 stagioni da proprietario di una società calcistica. Luigi “Gino” Corioni è morto ieri a 78 anni, a Brescia, per un tumore: aveva già subito l’asportazione di un polmone. Lascia la moglie e cinque figli. Era stato anche consigliere del Milan a inizio anni ’80, durante l’èra Giussy Farina. Fu vicino ad acquistarne la maggioranza, finchè arrivò Berlusconi e lui ripiegò sul Bologna, portato in A e in Europa con Gigi Maifredi, una delle sue creature. Nel ’92 tornò a casa, al Brescia, lo lasciò dopo 23 anni, con il commissariamento di Ubi Banca. Una fine ingloriosa per un personaggio dal look eccentrico, che amava intervenire in tv (a “Quelli che il calcio”) e che con i lombardi autografò 5 promozioni (ma altrettante retrocessioni) e il torneo angloitaliano del ’94. Fra i giocatori lanciati c’è Emiliano Viviano, che domani andrà ai funerali. “Era un presidente tosto – racconta il portiere della Sampdoria, a Bogliasco -, grande, sincero: generoso e con una sola parola. E’ uno che per il calcio ha speso tutto, energia e forza economica”. Grazie alla Saniplast, arredamenti da bagno e materie plastiche. “Avrebbe potuto essere ricchissimo, invece ha sempre investito nel pallone, perché era passionale e, quando prometteva una cosa, la faceva. E poi era ironico, matto e carismatico. Ha lanciato tantissimi campioni, con tutti stabiliva un rapporto caloroso”.
A Brescia portò gente da Pallone d’oro, Roberto Baggio che ne ha vinto uno, Guardiola e il romeno Hagi, ex Real. Per ogni trofeo vinto dallo spagnolo, da allenatore del Barcellona e poi del Bayern, accusava il calcio italiano: “L’ha trattato malissimo, bollandolo come dopato”. Una vicenda da cui Pep si è riabilitato completamente, nel tempo. Fra i tecnici valorizzò il romeno Lucescu, che alle promozioni in A faceva seguire flop, con esoneri e richiami, ma poi ha vinto tanto, nel mondo. E poi Mazzone, De Biasi.
Del suo Brescia si può schierare questo 11, 3-4-1-2: Viviano; Bonera, Petruzzi, Adani; Hamsik, Guardiola, Di Biagio, Pirlo; Hagi; Toni, Baggio. In panchina i gemelli Filippini, il compianto centrale Mero, Diamanti (“Fra i migliori 5 d’Europa…”), Hubner e il bomber di oggi, Caracciolo, al quale mai perdonò di avere rifiutato la Dinamo Kiev, che avrebbe risolto la crisi economica del Brescia.
Uno dei gol più belli della serie A arrivò a Torino, nel 2001, lancio di Pirlo per Roberto Baggio, che infila Van der Saar e la Juve di Ancelotti. Settimo posto, miglior piazzamento di sempre, e poi la finale di Intertoto persa nel 2002 contro il Psg, nonostante Toni e il rigore di Baggio. Che attraverso il procuratore Vittorio Petrone trasmette il suo dolore: “E’ uno di quei giorni che non vorresti arrivasse mai. Siamo certi che Gino andrà in Paradiso e organizzerà una squadra anche lì: come diceva Corioni, avendo fatto tanti errori, in Paradiso ne farà di meno. E’ impossibile che Brescia possa avere nuovamente un presidente così, con passione e amore uniti a una competenza rara”.
Il Divin Codino è stato là dal 2000, congedato dall’Inter, a fine carriera, per 4 stagioni. “Ero senza squadra, comprese che potevo dare ancora tanto al calcio, feci di tutto per onorarne il sacrificio economico. Trovava sempre modo di regalare un sorriso”. Anche nei momenti più difficili, della malattia.

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