Di Luigi Vinceti
Reggio Emilia
Chiacchierare con Giuliano Razzoli è divertente: si sa che è un campione olimpionico, ma non ce se ne accorge. Il fuoriclasse di Villaminozzo ha accettato l‘invito a farci visita in redazione e ha amabilmente discusso con i presenti nel modo più semplice, istintivo e naturale possibile. Le stesse doti che mostra sugli sci quando, se non va ad urtare i pali con gli scarponi, sono davvero in pochi quelli in grado di resistergli. È ottavo nella graduatoria mondiale ma quello delle calzature, ora che ha mutato sci e tecnica di discesa, sembra essere il suo problema più grosso.
«Porto il 47 – confessa – e spesso ho inciampato contro i pali o sul terreno innevato. Raro che inforchi, più facile che mi sbilanci e perda la traiettoria giusta». Gli è capitato così anche lo scorso inverno quando è uscito di gara “solo” tre volte. «Sono 26 anni che scio e un tempo – racconta – in curva si frenava, ora si accelera. Gli sci sciancrati hanno imposto una tecnica nuova nell’affrontare i pendii e aggirare i pali direzionali».
Il nostro direttore Paolo Cagnan, che da buon bolzanino ha sperimentato questo sport, gli chiede dettagli di ogni genere, dal raggio di curvatura ai ganci di sicurezza,dai parastinchi e paramani agli accidenti in cui può incappare chi pratica lo sci. E lui, con candida serenità, non nasconde nessun dettaglio e anzi confessa sia i pregi che i propri limiti.
«La ricognizione delle manche è l’unico modo di scoprire dove si nascondono le insidie – precisa – ma serve soprattutto a saggiare il tipo di neve, a vedere dove sono i passaggi più ripidi. Le piste di gara si possono testare in allenamento solo fino ad una settimana prima dell’appuntamento con il cronometro. Quando si gareggia in Italia – ammette – siamo leggermente favoriti perché le abbiamo già provate in precedenti occasioni. Purtroppo adesso il manto bianco manca spesso o scarseggia. E poi – aggiunge – è naturalmente decisiva la collocazione dei pali. C’è qualche tracciatore che ama farci delle sorprese».
Qualche volta ha sperimentato lo slalom gigante mentre la discesa libera non lo attira. Da ragazzino era affascinato anche dal salto e racconta di quella volta che con un amico, di nascosto da papà, provò a scavalcare un cannone sparaneve. Fece un capitombolo, perse il casco e conoscenza e finì all’ospedale. Pare che sia stata l’ultima volta.
La “gara della vita” è stata naturalmente a Vancouver, in Canada, quando vinse l’oro olimpico. «In quella occasione ho capito che avevo realizzato un bel tempo dalle grida di entusiasmo dei miei fans – racconta – . Ho guardato il grande schermo e a quel punto ho capito che avevo vinto».
Ora è libero da impegni e va a raccontare nelle scuole le emozioni che vive e le sensazioni che controlla. L’ultima volta – la scorsa settimana al Rotary di Cesena – è andato a parlare di etica sportiva e delle regole di vita che valgono anche per un campione come lui. Ad accompagnare Razzoli sono la sorella Giordana e le amiche Prampolini e Rubertelli. Quest’ultima ricorda l’orgoglio di italiana provato a Vancouver, quando gli italo-canadesi esultavano dalle finestre aperte al loro passaggio. E rivela che, dopo ogni successo di Giuliano, in casa spunta sempre una torta. Non dice chi la fa ma è facile pensare a mamma. «C’è un ginocchio che ogni tanto si imbizzarrisce – risponde quando gli chiediamo per quanti anni pensa ancora di gareggiare – ma la passata stagione è stata abbastanza serena, si sono fatti sentire poco i malanni alla schiena e alle spalle». Ottimismo e voglia di continuare a lungo, insomma.
Mancherà, questa volta, l’abituale “ritiro” in Argentina in cui pure durante l’estate italiana c’è neve. «Ci accontenteremo delle Alpi», dice. La crisi economica si fa sentire anche sotto gli sci. Un ultimo segreto svelato: Razzoli non ha nemmeno un portafortuna. Teme di perderlo, e allora sì che si preoccuperebbe. Lui invece vuole restare sereno per gettarsi a capofitto giù da qualsiasi pendio: sono gli altri che dovranno preoccuparsi di lui, anche nel prossimo inverno.
(s.occhiuto) A prescindere dai futuri risultati, Giuliano Razzoli è nella storia dello sport italiano. L’alloro olimpico di Vancouver 2010 ripaga dei sacrifici e degli ostacoli incontrati durante la carriera. Certamente non ha dovuto affrontare lo scetticismo, anche maligno, che contraddistinse l’inserimento di Alberto Tomba nella nazionale di sci. Quando il bolognese vi entrò nell’ottobre 1986 venne soprannominato “Scipione l’Africano” perchè proveniva dalla pianura mentre gli altri atleti erano tutti valligiani. Esclusivamente il Presidente della Federsci Arrigo Gattai credeva nelle sue potenzialità. Vincere un oro ai Giochi Olimpici è un mix di bravura, sagacia, fortuna. Ne sanno qualcosa ad esempio, tra gli italiani, Daniela Ceccarelli e Paola Magoni che hanno vinto esclusivamente una gara, quella a cinque cerchi. Come avvedutamente sostiene Mario Cotelli, Dt ai tempi della valanga azzurra, il grande campione trova il giorno fatidico la sua pista ideale. Ma ci vuole determinazione, freddezza, lucidità che sono mancate a Giorgio Rocca in occasione dello slalom di Torino 2006 dove inforcò alla prima porta. Purtroppo la discrezionalità delle tracciature e la crescente evoluzione delle sciancrature penalizzano coloro che esprimono un valore tecnico. Dopotutto dagli anni novanta è in atto uno stravolgimento delle specialità dello sci alpino. L’introduzione del Supergigante, sperimentato per la prima volta a Laax in Svizzera il 6 dicembre 1981, ha generato una confusione metodologica nella pianificazione dei tracciati. Infatti il Supergigante, concepito allo scopo di pareggiare il numero delle prove delle discipline veloci con quelle tecniche, ha invece espropriato lo sci delle sue caratteristiche storiche. La sintesi tra velocità e curve ha influenzato la tracciatura: lo slalom è diventato un gigante, il gigante un supergigante, il supergigante una discesa, la discesa un’autodromo senza regole precise. Comunque, malgrado queste problematiche oggettive, Giuliano ci ha regalato uno splendido oro, che assieme a quello della maratona di Atene 2004 di Stefano Baldini, è pietra miliare della civiltà reggiana.