Volevo lasciare perdere, questo racconto l’avevo scritto a fine agosto, sulla strada, davanti all’ospedale Santa Maria Nuova. Quel che leggo sulla Gazzetta mi lascia esterrefatto e allora pubblico.
“Il richiamo alle coscienze per alleggerire i carichi di lavoro di chi lavora in ospedale”.
Cronaca dal reparto di geriatria dell’arcispedale Santa Maria Nuova, di Reggio Emilia.
Fra i migliori al mondo, nella città governata dal partito unico da sempre, che vanta di essere la migliore del mondo.
Dunque, mamma Emiide sabato non sta bene, la vicina Antonella lo segnala.
Mi entra l’acqua nel telefonino, lo porto in riparazione, ancora sto aspettando che ritorni. Con il mio vecchio iphone non ho internet, devo aspettare di riaverlo, chissà quando arriverà, vanno in ordine, inutile chiedere di pagare per abbreviare.
Dunque, con Emilde e Antonella andiamo alla guardia medica, la sera c’è il trofeo Tim, concordo il passaggio al pronto soccorso nella notte. Mamma dopo il Tim dorme, controllo ogni tanto, alle 5 vado a casa. Concordo con Antonella che venga portata in ambulanza, Antonella è timida, come mia madre: “Meglio che vieni tu”.
Al pronto soccorso, semplicemente mamma ha la febbre, non ce ne eravamo accorti. Al pronto soccorso l’infermiera quasi ci irride: “Semplice febbre, non serve essere qui”. Va beh, io tento di dormire. Occorre lottare per farla ricoverare, perchè nonostante l’Alzheimer e una demenza evidente, ormai, il caso non è abbastanza urgente da meritare il ricovero.
E ricovero è, comunque, alla fine.
Volevamo andare in ferie, già ne facciamo poche e spesso lavoro anche in ferie. Valutiamo giorno per giorno. Mercoledì mattina, ci telefonano che il primario Alberto Ferrari ha urgente bisogno di parlarci. Allarme, subito penso al peggio. No, semplicemente ci vuole dire che dobbiamo restarle vicini, non lasciarla sola. Un richiamo alle coscienze. Ok, niente vacanza, ci alterniamo io, Silvia, Antonella la vicina dei sogni, che però vorrebbe portare il figlio, che ha 11 anni ma non va bene che entri perchè rischia di prendere malattie.
Okay, coinvolgiamo i parenti, chiediamo se possibile chiedere qualche favore, non gratis, ai volontari. Ipotizziamo la badante, mamma però non la vorrebbe.
La realtà è che il richiamo forte alle coscienze, al mio senso di responsabilità, è comune a tutti gli altri parenti degli ammalati. Non lasciamoli soli, ok. Ci sono figure straordinarie che Antonella mi racconta, volontari che accarrezzano i degenti. Latte e coccole, si chiama uno dei reparti.
Ah, nei primi giorni mamma era nell’obi, reparto di eccellenza, poichè la geriatria era esaurita.
Va benissimo tutto, il problema è che mamma raramente è lucida, fatica a riconoscere persino Silvia, la chiama Maria, come mia nonna, non ricorda il fratello Piero, che diffidava dei nostri racconti.
Mamma a metà della prossima settimana uscirà, Antonella dovrebbe vivere con lei, andrebbe clonata.
La sensazione però è precisa, il richiamo ai parenti, a essere presenti, ad alternarsi di giorno (“Di notte al massimo dorme, non serve che venga”, io preferisco la notte) ha la funzione di alleggerire il carico di lavoro di infermieri e insomma di tutto il reparto.
Ovviamente, il discorso non viene esplicitato, si fa leva sul senso di responsabilità, però basta restare pochi minuti in reparto per capire com’è la situazione.
Tutto rispettabile.
Io devo rispettare gli orari di invio di cronache, interviste e commenti, da 24 anni, sugli orari di entrata in ospedale preferirei maggiore elasticità.
Tutto rispettabile. Meno nell’ospedale della città che 20 anni fa era la più vivibile d’Italia, adesso è una città come tante.
Così l’ospedale diventa come un villaggio vacanze: “Partecipiamo, tutti insieme, agli intrattenimenti, alle escursioni, a tutto”.
Non sono un medico, ma ho un’impressione precisa. Certo mamma è spaventata perchè da 40 anni, forse, non entrava in ospedale da paziente, ma non credo che qualche assenza di più, da parte nostra, si ripercuota sulla riambientazione a casa.
Il problema è che la sua malattia iniziava già una dozzina d’anni fa, alla scomparsa di mio padre, il medico di base l’ha sempre sottovalutata, gli avevo suggerito io di curarla, la risposta fu: “Io gli ho prescritto, ma se lei non prende le medicine non posso farci niente”.
E’ passato il messaggio che la terapia fosse richiesta da me.
Rammento quando morì mio padre, era domenica alle 14, giugno 2002. Alle 17 disturbai il medico mi disse che era domenica e non lavorava.
Lavorare in ambito medico non dovrebbe essere un lavoro qualunque. La risposta individuale è molto diversa, il coinvolgimento mio è sempre elevato, il coinvolgimento di tanti professionisti è minimo. Anche nella supercittà.
Dopodichè, ho meditato a lungo se pubblicare o meno, senza quella notizia vista sulla Gazzetta di Reggio avrei lasciato perdere.
Mi spiace per la posizione presa, però mi e ci ha amareggiato. Per me il giornalismo è questione di vita o di morte, lo vivo al massimo e somatizzo. Volevo staccare, mi hanno intimorito. Mi sono lasciato condizionare e ho rinunciato a pochi giorni di ferie. Amen.