Da Repubblica, Francesco Saverio Intorcia intervista Grégoire Defrel, bandito del gol: “Il mio viaggio libero dalla banlieue alla A”. Papà della Martinica, il sovrappeso quando arrivò al Parma

Defrel e la sua caratteristica esultanza (tuttosport.com)

(v.zagn.)  Bellissima l’intervista uscita ieri su Repubblica e poi su Repubblica.it, a firma Intorcia. Una bellissima storia, dell’attaccante del Sassuolo che piaceva tanto alla Roma

http://www.repubblica.it/sport/calcio/serie-a/sassuolo/2017/02/23/news/gre_goire_defrel_bandito_del_gol_il_mio_viaggio_libero_dalla_banlieue_alla_a_-159014064/

Una doppietta domenica all’Udinese, l’interesse della Roma, un gesto di esultanza che difende: “È un’invenzione dei miei amici, giochiamo al far west”

di FRANCESCO SAVERIO INTORCIA
IL BANDITO e il campione hanno entrambi la faccia di Grégoire Defrel, 25 anni, attaccante francese del Sassuolo, a lungo corteggiato dalla Roma a gennaio. Campione con la doppietta che ha steso l’Udinese. Bandito soltanto per gioco nella celebrazione del secondo gol, colletto sulla bocca e dita trasformate in pistole. “È un’esultanza inventata dai miei amici di Parigi, che vengono spesso a trovarmi. Sono figlio unico, i miei fratelli sono loro: giochiamo al far west. La faccio meno spesso da quando sono stato criticato, dicono che non sarei di buon esempio per i bambini”.

Umberto Eco nella “Lettera a mio figlio” del ’63 sostiene che giocare alla guerra tenga i bambini lontani dalla violenza vera.
“Sono d’accordo. Il mio è proprio un gioco da bambini, niente di cattivo”.

Un ricordo della sua infanzia nella banlieue.
“Sono nato a Meudon, ovest di Parigi. Il 92 sulla mia maglia è il numero del dipartimento di Hauts-de-Seine. Mia madre Claire è bretone, lavora in una casa di riposo. Mio padre Alain è nato in Martinica, arrivò in Bretagna come brancardier, portantino. Insieme decisero di trasferirsi a Parigi, in una zona multietnica a prevalenza musulmana. Io sono cristiano, con la mia famiglia andavo sempre a messa. Sono cresciuto fra bambini di religioni diverse, senza problemi di convivenza”.

Che ricordi ha della rivolta delle periferie del 2005?
“Ero piccolo, c’erano a casa i miei cugini dalla Bretagna, volevamo andare in giro. Mia madre ci fermò, scostò la tenda e ci disse di guardare fuori dalla finestra: macchine e cassonetti in fiamme, scontri, sirene spiegate. Però la mia infanzia è stata serena, con i miei genitori sempre addosso. Alcuni amici di allora sono in galera. Sono fortunato, mi piace essere una speranza per i ragazzi della mia città”.

Com’è diventato calciatore?
“Ho imparato in strada a Chatillon, su un campo di sabbia a due minuti da casa. Facevo il campionato dei quartieri, due allenamenti e una partita alla settimana. Il mio amico Doukara, che ha giocato in Italia e ora è al Leeds, parlò di me al suo procuratore Malick Ba. Malick oggi non c’è più, è stato il mio primo agente. Mi propose un provino in Italia con altri cinque ragazzi, ma io non volevo andarci: a casa mi sentivo già un campione, avevo tutto. Mi convinse mio padre. Presi una borsa e poche cose, dissi a tutti che sarei tornato dopo tre giorni, ne ero convinto”.

Invece è rimasto in Italia.
“Il Monza, in Lega Pro, prese Chemali e mi scartò. Il Parma neanche voleva farmi fare il provino. Pesavo 85 chili, ero impresentabile. Giocai una partitella d’estate con 40 gradi, dopo cinque minuti chiesi il cambio, ero scoppiato. Ma il responsabile del vivaio, Francesco Palmieri, che poi avrei ritrovato qui al Sassuolo, aveva notato un paio di giocate nell’uno contro uno: mi chiese di restare e ovviamente mi mise a dieta. Intanto i compagni mi prestavano i vestiti, non parlavo una parola d’italiano, non avevo il computer, niente, aspettavo che mio padre mi portasse una valigia. Il primo anno guadagnavo 250 euro al mese più vitto e alloggio. Il secondo, 800, e alla fine Colomba mi fece debuttare in A, a Cagliari”.

Ha mai pensato di tornare a casa?
“Una volta. Ero a Foggia in prestito, non arrivavano gli stipendi, la piazza contestava. Non era la vita che volevo. Però ho tenuto duro e arrivò il Cesena. Il Sassuolo, poi, è stata la migliore scelta che potessi fare”.

E se non avesse fatto il calciatore?
“Forse lavorerei con i bambini. Non pensavo mica di diventare professionista”.

È sempre stato un problema il peso?
“Non era colpa mia, ero abituato a mangiare di tutto dopo gli allenamenti, nessuno mi aveva insegnato l’importanza dell’alimentazione per un calciatore. Un giorno a Cesena Bisoli, che aveva capito tutto, mi chiese: “Defrel, cosa mangi di solito?”. E io: “Tortelli, pollo al curry, salse”. Lo spogliatoio scoppiò a ridere. Da allora, pasta in bianco e bresaola”.

Meglio la cucina emiliana o quella francese?
“In Emilia mangi bene ovunque, a Parigi solo nei migliori ristoranti “.

Il difensore più duro da affrontare?
“Chiellini è uno molto tosto”.

Il suo idolo?
“Trezeguet”.

Lei però ha un ruolo diverso.
“Ne ho fatti tanti, anche l’esterno, ma sono una seconda punta”.

Come si è spezzato il dente?
“Diciamo che ho avuto un diverbio dopo una partita, quand’ero al Parma”.

Ha vissuto episodi di razzismo in Italia?
“Sul campo no. I tifosi avversari ogni tanto mi fanno il verso della scimmia. Ma io non ci bado, non meritano la minima attenzione “.

Quando non gioca cosa fa?
“Se posso, volo a Parigi a prendere un gelato sugli Champs-Élysées. È bello passeggiare fra la folla senza essere riconosciuti “.

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