Radio Bruno, l’editore e direttore Gianni Prandi racconta i 40 anni del miracolo carpigiano. Da Il Resto del Carlino, edizione di Modena

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Gianni Prandi, a sinistra, è il proprietario di radio Bruno
Gianni Prandi, a sinistra, è il proprietario di radio Bruno

Dalla pagina modenese de Il Resto del Carlino, l’intervista di Gino Borghesani a Gianni Prandi, artefice del miracolo radio Bruno, da Carpi al top dell’etere.

Modena, 17 luglio 2011 – Non ama stare sotto i riflettori se sono puntati su di lui. E’ un po’ schivo ma basta parlare di musica per vedere lo sguardo brillare. Gianni Prandi è, ufficialmente, il presidente di Radio Bruno anche se, come scopriremo presto, ne è anche l’anima. Da ragazzino, negli anni ’70, in pieno boom delle radio private, apre Radio Carpi 101 con un gruppo di amici che, finita la scuola, metteva su dischi per un pubblico assolutamente locale. Finché il trasmettitore non scoppiò…
Un disastro…
«Ci rimanemmo malissimo. Celebrammo anche il funerale della radio. Era finito tutto».
Poi?
«Venni a sapere che a Carpi c’era un’azienda che li costruiva: l’Elettromeccanica Pinazzi. Mi presentai dal proprietario, che si chiama Ettore, e gli chiesi se poteva affittarcene uno. Lui mi spiazzò».
Perché?
«Mi disse che a Carpi aveva messo su un garage in via Ciro Menotti. C’erano un mixer, un’antenna e un giradischi. Oltre, ovviamente, al ripetitore che usava per il test di funzionamento. Ce li avrebbe fatti usare a una condizione.
Quale?
«La radio si doveva continuare a chiamare Bruno, come l’aveva battezzata lui. Perché in quel periodo c’era la moda di chiamarsi così. Anziché ‘Ciao Bello’ si diceva ‘Hey Bruno’… L’antesignano della famosissima ‘Valerio’ lanciata da Vasco qualche anno fa.
E lei?
«Accettai! Era un gioco, il nostro hobby. Nessuno ci guadagnava. Anzi. Ci autofinanziavamo per farla andare avanti. Poi, a un certo punto, ci arrivò la richiesta di fare uno spot».
Pubblicità!
«Lo vendemmo a 200 lire. Me lo ricorderò sempre. In quel momento capii che avremmo potuto anche smettere di spendere dei soldi e, forse, guadagnare. Valutai anche di cambiare il nome della radio. Ma ormai eravamo conosciuti così… D’altronde anche radio Babboleo, che è la prima emittente ligure, si chiama così perché era quella del papà di tale Leo…».
Quale fu il passo successivo?
«Uscire. Farci conoscere dalla gente. Organizzammo nel piazzale della Polisportiva di Carpi la Sei giorni del liscio. Avevamo chiamato le migliori orchestre: da Castellina Pasi a Casadei. Diventò una grande festa che replicammo poi a Rio Saliceto, Soliera, Castelfranco… Pensai che era il momento di alzare il tiro…»
Cosa fece?
«Ci proponemmo al Comune per portare un concerto in piazza a Carpi. Chiamammo Baglioni. Un trionfo che è stato seguito da Vasco, Morandi… Alla fine con la Valmusic di Bologna organizzammo spettacoli indimenticabili. Dagli U2 in giù».
Il Radio Bruno Estate nasce da lì?
«Dall’insieme delle esperienze. Un concerto gratuito che, però, abbracci un pubblico il più vasto possibile».
Quando capì che la radio sarebbe stata la sua strada?
«Tardi. Abbiamo assunto le prime due persone nel 1985. Se mi avessero detto che avremmo sfiorato i 100 dipendenti in vent’anni, però, non ci avrei creduto».
Com’è cambiato il mondo radiofonico da quando ha iniziato.
«Molto e niente. Le nuove tecnologie sono state assorbite in modo naturale dall’etere quasi a completarlo in modo perfetto. Mentre è cambiato il modo di programmare. Una volta ricevevi gli album e valutavi cosa trasmettere.
Adesso?
«Siamo più vincolati alla calendarizzazione delle case discografiche. Sono loro a scegliere il singolo di punta. Per questo con alcuni artisti non aspettiamo la scalettatura ufficiale».
Come riconosce una hit?
«Difficile da spiegare razionalmente. Credo sia una questione di orecchio. So riconoscere un brano che piacerà al pubblico».
Una canzone che lei ha capito prima degli altri?
«L’esempio più recente. sono i Modà. Quando ho ascoltato il provino di Sono già solo sono saltato sulla sedia. Per sostenerlo ho dovuto battermi. Ma avevo ragione».
Quello che non ha capito?
«Anche qui ho un esempio molto recente: Danza Kuduro. L’avevo sottovalutato. Ma con la dance mi capita».
In questi casi vince lei o il pubblico?
«Sempre il pubblico. Se a me non piace una cosa e alla massa invece sì vuol dire che sto sbagliando. Io sto molto attento. Ai concerti non guardo mai il palco. Guardo il pubblico».
Adesso un album dura meno di una volta…
«Anche gli artisti. Un tempo era difficile emergere ma avevi una squadra alle tua spalle. Adesso si lavora sul singolo. Se va bene, bene. Altrimenti… Buona parte degli idoli celebrati l’anno scorso non ci sono più. Facendo così si brucia tutto in fretta».
Lei, invece, senza fretta è passato da Carpi alla Toscana…
«Abbiamo iniziato a muoverci negli Novanta, prima di tutti. Abbiamo una decina di redazioni dal mantovano alla Toscana create con le stesse dinamiche di quella madre: non siamo partiti dalla caccia agli sponsor ma ci siamo prima radicati e poi sono stati gli sponsor a venire da noi. Riconoscendoci automaticamente la credibilità necessaria» .
Adesso avete anche una tv…
«Abbiamo il canale 683 che usiamo per i Radio Bruno Estate e per passare video musicali. E rimarrà così, Senza informazione o altro. Il nostro mondo è la radio».
Ma le pensa tutte lei?
«Io ho avuto delle intuizioni. Ma senza tutto lo staff della radio non sarebbero le stesse. Da un imput iniziale lo sviluppa e lo porta avanti. Senza di loro sarebbero rimaste solo delle idee».
La delusione più grande?
«Alcune. La cosa che mi dà più fastidio è la mancata riconoscenza: abbiamo sostenuto molti cantante che sono diventati dei big e che, arrivati al successo, si sono dimenticati di noi. Ecco. La gente che non ricorda… Mi dà un po’ fastidio…»
L’impegno della radio le ha tolto delle libertà?
«Sono un privilegiato. Sono pagato per fare un lavoro che farei gratis. Il mio tempo libero lo passo a lavorare. O viaggiare».
C’è un luogo che l’ha segnata?
«Il Grand Canyon: davanti alla Monument Valley mi sono ritagliato un momento da solo. Che non dimenticherò».
di GIBO BORGHESANI

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