Le volgarita’ del web si commentano da sole, anche le scritte di ieri a Firenze e Sarri, forse, andava punito più severamente, ma a me piace parlare di calcio, non di gossip, perciò non pubblichiamo qui i fotomontaggi più irrispettosi.
Discuterlo si deve, ma non si può: un paradosso oltre il quale è difficile capire come e dove risollevare l’Inter dal suo stato di crisi, una crisi tecnico-tattico-nervosa.
L’Inter precipita: il 6 gennaio era prima, il 14 febbraio è quarta.
Mancio tace. E non si discute, appunto.
Siamo al di fuori del solito schema, squadra che non funziona/panchina che vacilla.
E’ al di fuori di ogni ipotesi di ribaltone, che pure ha toccato Max Allegri a settembre, Mihajlovic fino a prova contraria, il Sarri dei primi approcci, Paulo Sousa un mese fa.
Cos’è questo? Un limite critico, della critica?
O una necessità molto interista, degli interisti?
Forse è questa -a tinte nerazzurre- la spiegazione.
Perché quella di Mancini non è soltanto una panchina da allenatore, ma una poltrona multifunzione che va dal campo alla tribuna, dal mercato a più alte mansioni dirigenziali e di più.
Perché riempie il “sentimento” che gli interisti, orfani di Moratti, hanno riversato su di lui: come un rassicurante rifugio dei bei tempi, nella speranza che tornino.
Con buona pace di Erick Thohir e la stretta necessità del suo calcio-business.
E questo multi-Mancini è anche il limite strutturale dell’Inter 2015-16, la storia della stagione, l’illusione che si è spenta sotto Natale ed è precipitata nello sconforto del 2016.
Era un’Inter brutta ma buona, tosta: quella degli 1-0.
Oggi è un’Inter fragile, nella testa e nel fisico e in quella difesa che per un trimestre è stato un punto di forza, d’onore.
E’ la foto di gruppo, a bene vedere è anche l’istantanea del Mancio cui si demanda tutto, e il tutto sta diventando troppo.
Nessuno lo discute, appunto, perché non si può, perché oltre a Mancini la faccia dell’Inter non ha un tratto evidente e forse è questo il tassello che manca, quel “Moratti del lunedì”, il Moratti decisionista che per 20 anni ci ha scortato, nel bene e nel male del mondo nerazzurro, per dare una scossa o per far capire dove si sbaglia, o anche per sbagliare.
Mancini dopo una partita persa di Champions con il Liberpool, dichiarò che a fine anno se ne sarebbe andato . Moratti valuto’ la cosa per un giorno, poi volo’ a Parigi ad incontrare Maurinho , esonero’ il Mancio, che nel frattempo aveva ritrattato , e nacque l’Inter del triplete.
Oggi è Mancini che deve elogiare/rimproverare/blandire/discutere se stesso: da una panchina presidenziale che è diventata troppo.
La sua feroce polemica contro gli arbitri non paga: lunedì all’incontro arbitri/allenatori/capitani ha deciso di non andare, gli arbitri non hanno gradito, a mio avviso una scelta sbagliata, anche la società avrebbe dovuto intervenire, ma qui è il punto la società chi? Eppure ci sono ex giocatori importanti come capitan Zanetti, come Stankovic, ma nessuno parla, nessuno interviene, nessuno può decidere nulla.
Ora, sembra, abbiano assunto un nuovo direttore generale, Gardini, buon professionista, per carità, da anni nel calcio, ora al Verona, ma con che poteri?
Mancini è uno e trino, troppo, qualcuno doveva intervenire prima di perdere la rotta e impedendogli di ripetere gli errori.
L’augurio di riprendersi è scontato, ma al vertice dell’Inter ci vuole un guizzo: almeno di fantasia. Ma all’Inter esiste un fantasista, dopo Moratti?
a cura di Vanni Puzzolo