Vanni Zagnoli
Sotto il Foglio Sportivo, il sabato, c’è una bella indicazione, sotto la testata, appunto, a cura di Umberto Zapelloni.
Zap, appunto, il gigante del giornalismo sportivo, in tutti i sensi. Da un mese ha preso in mano l’inserto del Foglio, di storie, l’eredità di Piero Vietti, tifoso del Torino, entrambi sono intervenuti spesso a Skysport24, e Vietti ora è a Il Tempo, il periodico cattolico, molto a sorpresa.
Zapelloni è un collaboratore nobile, un consulente, un freelance di pregio, classe ’62, gran curriculum, sino al licenziamento, unico, da vicedirettore, alla Gazzetta dello Sport, in tandem con Stefano Cazzetta, ora firma del golf su Il Messaggero.
E su Il Giornale, dove pure scrive Zapelloni, naturalmente di motori, la pagina del ciclismo del sabato è firmata in testa, a cura della redazione sportiva, responsabile Benny Casadei Lucchi, all’anagrafe Beniamino.
Esempi.
Sarebbe bello se tutte le pagine fossero firmate, non solo certe speciali, non solo certi inserti, sarebbe bello per dare nobiltà al lavoro di redazione.
Io da freelance quasi disoccupato lavorerei persino gratis, pur di essere in una redazione e non da solo a casa o in giro, senza un perchè, ma la sola affermazione può fare inorridire. Un’altra volta parlerò dei giornalisti che smerciano direttamente gli sponsor, ma senza fare nomi, anzi meglio che non lo faccia neanche, per non peggiorare l’isolamento.
Mi raccontava Paolo De Paola, su vannizagnoli.it, testata, dove lavoro gratis e a mie spese e da evitato, nonostante il premio Ussi al miglior video del 2020, che un redattore dovrebbe amare la sua pagina, sono d’accordo. Il famoso lavoro di cucina.
Ho sempre amato le gerenze lunghe, Il Messaggero, La Stampa, persino i necrologi, non scherzo. Da maniaco di giornali e giornalisti – “Come fossero campioni delle figurine”, dissi un giorno a Pietro Senaldi, non ancora condirettore di Libero -, leggevo i necrologi di quando viene a mancare un congiunto di un redattore, lì si capisce chi è assunto e chi magari è in pensione, perchè viene scritto a parte, il nome.
E’ vero che i redattori talvolta sono anche super pagati, o almeno lo erano, in certe redazioni, che hanno quella stabilità economica che non compromette l’equilibrio psicofisico del precario a vita, del caso umano – io, ma tanti negli anni hanno dovuto cambiare mestiere o fare anche un altro mestiere -, però sarebbe bello se ogni pagina fosse firmata, a cura di. Non solo, magari, le pagine nobili, chessò certi primi piani, ma proprio di default.
Anche, chessò, sotto la mail del settore di un quotidiano scrivere i nomi dei redattori, si spreca spazio ma si dà soddisfazione e oggi con le redazioni assotigliate l’elenco non sarebbe infinito.
Qui, qualsiasi esempio faccia sarebbe discutibile, anzi no, penso all’Agenda del Giornalista, all’annuario Ussi, vorrei fare esempi di redazioni extrasport ma dovrei chiedere e allora cito dove so.
Il Giornale, Casadei Lucchi, appunto, Davide Pisoni, Marcello Di Dio, ex Roma, e Matteo Basile.
Il Giornale fa 2, a volte 3 pagine di sport, magari sulla pagina si lavora in più di uno e allora e in questi casi si possono raggruppare i nomi in qualche posto delle pagine.
“Chi ha la pagina?”, ho chiesto per anni, in varie testate. Adesso magari chiedo chi è di notte, per capire chi avvisare quando mando un pezzo al sito o più raramente al cartaceo di quel paio che ancora mi ospitano. Non gratis. Perchè mi dicono che scrivere gratis non è lavoro. Ma prima dell’equo compenso c’è il tagliare collaboratori che diventano sgraditi o semplicemente che amano confrontarsi con curiosità, anche da fuori, anche solo per ingannare il tempo e allentare la tensione o la solitudine dell’home office.
Ci sono grandi deskisti di grandi quotidiani che sono ignoti anche a me, onnivoro di firme e di tutto quanto sia giornalisti. Miti.
Pagina a cura di, penso alle cronache italiane. Chessò, a Il Tempo, mi – ci, insieme a mia moglie, Silvia Gilioli – ci aveva spesso in pagina Natalia Poggi, la signora Nicoletti, del celebre Gianluca.
Oggi i redattori scrivono di più, in tante testate, alcuni non hanno praticamente mai scritto.
Uno dei simboli dei famosi culi di pietra è stato Angelo Ceppone, una vita a Tuttosport, promosso in gerenza come vicedirettore, da Xavier Jacobelli, nella sua prima direzione.
Pagina a cura di, per spiegare chi fa i titoli, non tanto come onere, in caso di querelle giudiziaria, ma proprio come onore, disegno – spesso però è dei grafici – scelta delle foto, didascalie, titoli, telefonate ai collaboratori. Le firme, appunto.
Magari le piccole redazioni avrebbero problemi a far sapere che sono in pochi, a lavorare al giornale. Mi è capitato di un direttore che, alla mia richiesta di riprendere la redazione, mi abbia risposto, “Dopo, perchè adesso le scrivanie sono vuote, faremmo brutta figura”.
In radio, per esempio, Rai, elencano nelle edizioni principali il vicedirettore e chi ha lavorato alle edizioni del giornale radio.
Torno alle gerenze, volutamente zizzagando. Se la Stampa mette tutti i nomi dei capiservizio e capiredattori, Tuttosport pubblica storicamente solo il nome del direttore, Jacobelli, ora. Ma dietro c’è Gianni De Pace, l’alter ego del Ceppone di cui sopra, anzi dal dopo Giancarlo Padovan a tutti gli effetti è il numero 2 del quotidiano torinese, redattore capo centrale, ma strameriterebbe la condirezione, se non la direzione. E poi Andrea Pavan e Claudio Casagrande e Paolo Bramardo, i tre capi redattori. Se non ci sono stati cambi negli ultimi anni, a mia insaputa.
La gerenza lunga, il fascino unico.
Anche dei siti, delle grandi testate. Non solo il responsabile della redazione, ma anche tutti i nomi dei redattori. Andrea Tempestini è il capo del sito di Libero, Andrea Indini de Il Giornale, Guglielmo Nappi de Il Messaggero, ma non solo.
Magari a chi non firma non interessa proprio apparire, può essere, ma in realtà sono pochi.
Il re dei senza firma è Antonio Cantù, da quando è alla Gazzetta dello Sport, talmente ignoto da google neanche esce. “Son Cantù, ciao”, mi chiamava con la sua voce cavernosa a L’Indipendente – raro – e poi ad Avvenire.
Una volta mi piacerebbe fare una bella sventagliata di firme inventate, ma restiamo sul pericoloso, motivi in più perchè sempre meno mi facciano scrivere.
“Nei tuoi sfoghi, non raccontare che quella firma è il tale”, mi ammonì nel 2008 uno che da 3 anni non mi fa scrivere, da quando è capo, appunto.
La delazione. Da redattore, da pensionato, si fa senza problemi. Da precario, da caso umano, meglio di no.
Altro bel tema. Quanto è concesso a una firma, di critica, a un pensionato, a un non giornalista, e quanto non è concesso a un collaboratore o a un redattore.
“Pensa che persino io, che sono un redattore, devo sottostare nella linea al vicedirettore del mio settore”, mi disse un caro collega un anno fa, ascoltando i miei leggendari sfoghi con whatsapp vocale. Pochi mesi dopo, è stato trasferito a una redazione di visibilità inferiore.