Un capitolo del libro di Lorenzo Sani, reggiano del Resto del Carlino, presentato stamattina all’Astoria, alla presenza di Roberto Rabitti, presidente del Panathlon.
I mustang di Correggio
Si è sempre definito un giocatore “ruspante”, Gianni Gualdi, anche nel modo di porsi al prossimo, barba e capelli incolti, abbigliamento casual, nel significato più aderente all’etimologia del termine, alla stregua del suo alter ego e amico da sempre Orazio Rustichelli. Hanno scoperto il basket insieme, al campetto della parrocchia di Fatima, la zona periferica di Correggio dove viveva Salvatore Bagni, compagno di tante partite a calcio. Un giorno si presentò in parrocchia Gianni Della Valle, allenatore dell’Appla Correggio, con il sacco dei palloni da basket. Fu la rivelazione, come nell’Antico Testamento.
La compagnia si trasferì dal campetto all’aperto alla palestra delle scuole medie, in via dei Mille. Facevano parte della tribù dei canestri anche Tullio Magnani e un filiforme catechista che sarebbe diventato uno degli autori più amati e dirompenti della narrativa italiana: Pier Vittorio Tondelli.
«Credo che il basket gli piacesse molto, però Viki era nato per fare lo scrittore. Fisicamente era tutt’altro che robusto, ma aveva braccia lunghissime».
Gualdi ne parla con affetto. Per un breve periodo, Tondelli è stato anche suo allenatore. La compagnia dei giovani appassionati di pallacanestro si trovava da Aroldo, osteria del centro di Correggio che oggi non esiste più. Tra di loro anche Andrea Griminelli. «Certo che gli piaceva un sacco, giocare a pallacanestro, e pur non essendo un fuoriclasse, secondo me Tondelli se la cavava egregiamente» ricorda il grande flautista. «Invece suo fratello maggiore, Giulio, era un autentico fenomeno. Aveva qualche anno più di noi e un talento straordinario».
Lo conferma anche lo storico dei canestri correggesi, Maurizio Bezzecchi. «Giulio Tondelli, oggi medico, era un playmaker alla Brunamonti, alto 1,92. Quando aveva sedici anni la Virtus fece carte false per convincerlo a trasferirsi a Bologna, ma per lui lo studio veniva prima di tutto il resto».
Quella dei ragazzi di Correggio, cresciuti come i mustang dei pellerossa, era pallacanestro allo stato brado. Nessuno di loro ha fatto il minibasket, come succede oggi. A cavallo dei sedici anni, però, Gualdi, Rustichelli e Magnani giocavano già in Serie C. La loro scuola furono i campi delle parrocchie, da Fatima al Contarelli, dietro la chiesa di San Quirino, dove nel giugno 2008 Griminelli si presentò con Sting come testimone di nozze. Ore e ore trascorse nel playground, in sfide interminabili. Orazio Rustichelli aveva attaccato un canestro anche al muro esterno della sua abitazione. Gualdi era sempre là, prima e dopo gli allenamenti. Vivevano il basket a ciclo continuo.
«Da lui ho imparato tantissimo, sotto il profilo delle astuzie e dei trucchi da campetto» racconta Massimo Santini, il metronomo delle squadre in cui ha giocato a Reggio, Modena e Parma. «Io mi fermavo dopo l’allenamento per fare uno contro uno con lui, che giocava sempre alla morte. Erano proverbiali le sfide tra Gianni e Orazio. Noi arrivavamo ai venti, o ai ventuno, per così dire la distanza canonica. Quei due pazzi scatenati invece se la giocavano ai mille».
Santini è anche il playmaker con cui Gualdi sostiene di essersi trovato meglio in assoluto. «Devo dire che giocare con lui era molto facile: Gianni era dotato di grande intelligenza, forte fisicamente, ma non esplosivo. Con quella mano sinistra, enorme, faceva tutto. Lestissimo, rubava palle su palle con una velocità eccezionale. Se si creava una mischia al rimbalzo potevi scommettere che sarebbe uscito lui con il pallone, anche se non era certamente il più grosso. Quando è arrivato in Serie D con la Fornaciari, i soliti intenditori sostenevano che avrebbe fatto fatica, ma lui li ha zittiti segnando trenta punti a partita. Gli scettici dicevano la stessa cosa quando salì in C2, poi in C1 e lui, di promozione in promozione, ha continuato a infilare venti, trenta punti alla volta. Se ricordo bene, il primo anno di Serie B, da esordiente assoluto, fu il terzo realizzatore del campionato. In qualsiasi categoria continuava a fare la differenza nonostante giocasse con una sola mano. Quando si è mai visto un altro giocatore così?»
Il Panathlon International Club Reggio Emilia organizza la presentazione del libro sabato 15 Novembre, ore 11, all’Hotel Mercure Astoria, via Leopoldo Nobili, 2. Ne parleranno con l’autore Lorenzo Sani i giornalisti Daniele Barilli, Ivan Paterlini e i protagonisti degli anni ruggenti del basket a Reggio.
Poche città hanno un derby da piangere. Diciamo Milano, Bologna, Roma e Livorno. Ma una piazza soltanto può dire di averlo accarezzato, questo benedetto derby, sfiorato, quasi toccato, alla fine, però, clamorosamente mancato. Quella di Reggio Emilia. In Vale Tutto-Le storie segrete della pallacanestro italiana, pubblicato per Italica Edizioni dal giornalista Lorenzo Sani, si racconta la storia del derby che non c’è mai stato, gli anni eroici dell’esaltante rincorsa da parte della seconda squadra reggiana, la A.P. Nino Fornaciari, al club egemone dell’epoca, la Cantine Riunite, oggi ambiziosa protagonista del basket italiano. Uno sguardo rivolto al passato per raccontare le persone e le loro storie, gli eroi e gli aneddoti che hanno fatto grande uno sport che da queste parti ha radici profonde.
Il libro, che sarà presentato all’Hotel Astoria sabato 15 Novembre, ore 11, su iniziativa del Panathlon Club in un appuntamento aperto a tutti, è un caleidoscopio di nove racconti assai diversi tra loro, proposti in un alternarsi di situazioni divertenti, goliardiche, ma anche tragiche. Il denominatore comune è la pallacanestro, talvolta in primo piano, in altri momenti più sullo sfondo.
Si va dalla singolare esperienza italiana del leggendario Connie Hawkins, campione paragonabile a Michael Jordan e Doctor J negli anni Sessanta e Settanta, protagonista di un’avventura bolognese sfuggita agli annali ufficiali, ma carica di episodi soprattutto notturni, alla grottesca vicenda che ha portato alla naturalizzazione di Mike D’Antoni, regista della grande Milano di Dan Peterson, in cui ha brillato anche la stella di Piero Montecchi, alla sfida tra un carneade dei playground emiliani conosciuto sul cemento all’aperto semplicemente come “il Ciccio” e il campione dannato della Nba Sugar Ray Richardson, al già citato derby mancato di Reggio Emilia, tra Riunite e la Fornaciari guidata da un’altra leggenda metropolitana, Gianni Gualdi, il “gemello” di Orazio Rustichelli, 30 punti a partita in serie B con una sola mano, la sinistra, perché la destra la perse da bambino in un incidente domestico. E poi ancora, l’epopea della pallacanestro toscana, fatta di campi inespugnabili come quello di Carrara, dove comandavano i tre fratelli Lanza, gli scherzi micidiali, il campanilismo che ha animato l’eterno conflitto sportivo tra Pistoia e Montecatini, ma anche il derby degli anni d’oro di Basket City tra la Virtus di Sasha Danilovic e la Fortitudo di Dominique Wilkins, visto dalla prospettiva eterea dell’angelo-tifoso che, calandosi dalla vetta del palasport di Casalecchio di Reno, nel maggio 1998, avrebbe dovuto consegnare a Carton Myers quel primo scudetto che invece arrivò in altre circostanze e soprattutto tempi diversi. Infine, l’avventuroso viaggio di Stefano Attruia (visto anche in maglia Pallacanestro Reggiana) e Leonardo Conti, all’epoca giovani cestisti in forza alla Baker Livorno, che nell’estate 1993 hanno sfidato l’embargo nei confronti della Serbia e la No fly zone, durante la guerra civile che ha sfaldato la Yugoslavia, per allenarsi in Montenegro col guru dei canestri Dule Vujosevic.
Vale Tutto-Le storie segrete della pallacanestro italiana è un libro che spiazza il lettore e lo proietta all’interno di storie umane mai narrate, fra traiettorie di campioni acclamati che si incrociano con ignoti personaggi. Sogni, avventure, illusioni, amicizia, momenti di gloria che sembrano inossidabili fino a quando il destino cambia le carte in tavola, come nel caso di Roscoe Pondexter, che fece grande coi suoi canestri a ripetizione la piccola Gorizia, ma anche Roseto e Venezia, prima di ritrovarsi col soprannome di Spaccaossa membro di una banda di sadici con la divisa da agente di custodia addosso che organizzavano per scommessa combattimenti mortali tra detenuti. Un libro di storie, non di storia della pallacanestro, che sarà presentato nella città che vive la pallacanestro a 360° Grazie al Panathlon e alla presenza dei tanti protagonisti delle pagine che raccontano quegli anni indimenticabili.