La paura, intesa come sentimento collettivo, sta diventando sempre più il motore dell’agire sociale e il collante dell’azione politica.
Il pericolo (anzi qualcosa di più che un pericolo) nel quale si rischia di imbattersi è la costruzione di una società divisa: la parte soddisfatta della società da una parte, con i suoi quartieri difesi da guardie privaste e da telecamere; gli altri – i poveri, i marginali, i migranti – in un altrove separato, il più distante possibile.
La differenza è tra chi crede nell’esclusione e chi crede nell’inclusione, tra chi teorizza la superiorità degli uni sugli altri e chi professa l’uguaglianza, tra chi alimenta la cattiveria sociale e chi promuove la coesione.
Il barbaro él’altro, per provenienza, per costumi, perrazza.
Il fantasma della paura attraversa le società contemporanee. Ci sono, alla sua base, fatti eterogenei: la crisi economica, l’impoverimento diffuso, l’incertezza sul futuro, la novità oscura della globalizzazione, il disordine sociale, il terrorismo, la criminalità di strada. Ma è quest’ultima ad essere isolata e strumentalizzata da media alla ricerca di scoop e da una politica miope, priva di tensione morale e interessata solo al consenso. Così, anche se la criminalità non aumenta e l’immigrazione dà futuro a una società altrimenti in esaurimento, crescono il carcere e il razzismo.
E la collettività individua i suoi nemici: i barbari, i marginali, i ribelli. Non è la prima volta nella storia. Ma sempre ha prodotto guasti e tragedie…
Livio Pepino, già magistrato, attualmente studia, e cerca di sperimentare, pratiche di democrazia dal basso e di difesa dell’ambiente e della società dai guasti delle grandi opere. Ha scritto, da ultimo, Forti con i deboli (Rizzoli, 2012) e Come si reprime un movimento: il caso Tav (Intra Moenia, 2014) nonché, per le Edizioni Gruppo Abele, Non solo un treno… La democrazia alla prova della Val Susa (2012) e Grammatica dell’indignazione (2013), entrambi con Marco Revelli.