L’integralità dell’articolo pubblicato su “Libero”
Vanni Zagnoli
Reggio Emilia
“Mi arriva l’accompagnamento, sono 460 euro al mese. All’inizio me l’avevano negato, poi ho fatto ricorso e adesso attendo anche qualche arretrato”.
Abramo Orlandini sembrava tutto escluso uno che avesse bisogno del sussidio sociale. “Mi è stata riconosciuta l’invalidità al 100%, per problemi psichici”.
In realtà 10 minuti di intervista, anche video, li reggeva benissimo, da attore consumato, e ne abbiamo registrate diverse, negli anni, da amici. Nostro ma anche di tanti, a Reggio, negli ultimi mesi è effettivamente un po’ peggiorato.
In fondo per anni l’abbiamo incrociato quasi ogni notte, all’uscita della sala giochi Macao (“Ma non gioco, vado solo da amici”, oppure al bar del Tricolore, alle porte del centro storico, mentre noi mangiavamo leggendo i giornali o ascoltando storie. Un passaggio non glielo si nega mai, alcuni euro per il caffè e una pasta, invece, si danno meno volentieri, perchè sul lungo periodo diventa anche difficile digerire l’abitudine.
Sostiene un’infermiera frequentatrice di quel bar: “In realtà Orlandini è ricco, il credersi povero fa parte della malattia”. “Lo sono davvero”, confermava lui, con un sorriso a volte corrucciato.
Tutti conoscono Abramo nella città del primo tricolore, ma un quarto di secolo fa era un volto della tv, la spalla di Vittorio Sgarbi. L’onorevole era là, su Canale 5, a sbraitare le sue verità e quest’uomo basso (anche meno dell’uno e 68 dichiarato sui curriculum) con il panciotto, faceva il maggiordomo dietro, impettito, come parte degli arredi dello studio di Mediaset, su Sgarbi Quotidiani.
Nel tempo l’abbiamo avvistato alla palestra Fit Village (“Ma ospitavano solo i miei quadri”), nel quartiere Canalina (“Ho una casa popolare”) e poi annunciare una sua mostra. “Alla spumanteria, all’isolato San Rocco, in centro. Lì mi vogliono davvero bene”.
Fosse in una grande città, la sua storia sarebbe regolarmente all’attenzione nazionale, in provincia, invece… “Una volta, andiamo a mangiare una pizza insieme?”, ci chiedeva. Poi trovò la compagnia, al mercoledì sera andava a cena con gli amici della sala giochi, dove capita, finchè non ci ha litigato. Anche per questo il veterano della sala giochi raccontava di averlo visto giocare anche un centinaio di euro a sera.
Gli resta il problema di trovare un passaggio per il lapdance. “A Rubiera, dal mio amico Roberto Furini, mi raccomando citalo nell’intervista”. Certo, siamo qui apposta, ma in fondo non si può non volergli bene. E del resto per anni ci ha chiesto conto, di quando avremmo pubblicato. Beh, adesso ci siamo, sarà felice. Ma poi non è detto, di sicuro si corruccerà perchè non gli abbiamo fatto sconti.
Abramo ha 58 anni e a Reggio Emilia è persino invidiato: “Perchè ha sempre avuto il sogno di andare a Cinecittà e l’ha fatto”.
Già, Pupi Avati gli ha riservato varie particine in suoi film e ogni volta ne parla bene, l’ha sempre in mente. In particolare si guadagnò un cameo, facendo compagnia a Riccardo Scamarcio in una clinica psichiatrica, giusto per restare in tema. I due si rividero nel 2014, a Scandiano, al confine con il Modenese: “Abbiamo fatto due chiacchiere – commentò il grande regista -. Mi ha fatto piacere rivederlo”.
E poi Orlandini è un buon attore, se è vero che, parlando fuori intervista, ci fa capire di essere rimasto deluso dall’atteggiamento di Sgarbi, mentre rinuncia alla tentazione, durante il video con cui volevamo solennizzare la chiacchierata. Emerge, evidentemente, la gratitudine per essere diventato personaggio grazie a chi lo volle in tv. Proprio a Reggio, un anno e mezzo fa, il grande polemista a nostra domanda ricordava così, quegli anni con il maggiordomo-attore. “Adesso Abramo dipinge, è anche bravo. La nostra trasmissione si potrebbe riprendere, se qualche editore ci pensasse, senza essere vintage. Eravamo così moderni che lo saremmo ancora. E potremmo ripartire di nuovo con lui dietro, non credo si possa fare una cosa così più pulita e semplice di Sgarbi Quotidiani. Si potrebbe riprodurre a distanza di 20 anni, finì nel ’99, con il parlante e il tacente, con me e con lui. Abramo sarebbe felice e forse anche potremmo raccontare cose in maniera meno rapsodica di quanto avvenga quando vado ospite”.
In realtà siamo lontanissimi e Abramo lo sa. Due anni fa è stato seguito per 24 ore da un fumettista armato di telecamera che ha realizzato un cortometraggio proiettato al cinema Corso, lui stesso era ospite e ha riempito la sala, perchè resta popolarissimo. Alla spumanteria festeggia i compleanni. “E ci sono periodi in cui passa tutti i giorni – racconta Laura, la padrona di casa -. Qui c’è tutta la sua collezione privata”. Particolare, in effetti, e ogni quadro ha un valore incerto, perchè il prezzo dipende anche dall’umore dell’autore proprietario. Vestito spesso di rosa shocking. Così ci rispondeva in una delle varie volte in cui abbiamo fatto partire la videocamera.
Abramo, perchè il colore tipicamente femminile?
“Beh, mi è sempre piaciuto”.
Nessuno ha mai dubitato delle sue inclinazioni sessuali?
“No, per la verità”.
Indossa spesso il papillon. L’idea di un look così singolare fu di Vittorio?
“No, mia. Vestivo così già a Reggio, negli anni ’70, a 15-16 anni. Amo il farfallino”.
Senta, ma quanto fuma?
“Due-tre pacchetti al giorno”.
Tanto. Ha il sacchetto della farmacia, ci rivela le medicine?
“Meglio di no… Diciamo che mi aiutano a dormire, anche 18 ore di fila”.
Davvero si sente pittore?
“Proprio un artista, di dipinti. E poi recito poesie, i poeti maledetti, Baudelaire e altri”.
Non va più in palestra?
“Il medico mi ha suggerito di non fare sport, devo stare a riposo con le gambe, mi danno un po’ da fare. Prima, andavo solo per fare il bagno turco”.
Gratis?
“Pagavo lasciando i quadri in esposizione…”.
Quale sarà il prossimo film con una sua parte?
“Non lo so. A Pupi Avati costa troppo farmi tornare a Roma, allora mi manda qualche aiuto economico, tramite vaglia online, sennò dovrebbe pagarmi il treno, andata e ritorno, e anche il pernottamento…”.
Ma come fa ad avere il 100% di invalidità e a fare l’attore?
“Prendo psicofarmaci che mi fanno stare bene, sono stato ricoverato al diagnosi e cura”.
Non ci marcia?
(sorride).
La sua principale qualità?
“Sono buono e pacioso, pacioccone, come si dice da noi. Sono stato a Roma 24 anni ma a Reggio mi vogliono tutti bene, compreso il sindaco Luca Vecchi”.
Qui ha sempre mantenuto un’abitazione?
“Certo. Fu la mia seconda zia a mettermi nello stato di famiglia, poi la casa restò a me, ce l’ho da 35 anni”.
Parlando con lei, l’unico problema sembra la concentrazione sul lungo periodo…
“Già, mi stanco, a reggere l’attenzione”.
Ha mai fatto lavori manuali?
“A Roma. Per 2-3 anni feci il giornalaio, la notte, vicino al Parlamento, e fu lì che conobbi Sgarbi, da onorevole. E poi, finita la trasmissione, fui cameriere al Rugantino, a Trastevere, uno dei migliori locali”.
A Reggio, invece?
“Mai fatto nulla. Avevo l’edicola assieme ai miei, davo una mano, ma raramente”.
Vive di notte?
“Anche a Roma. Andavo al Gilda, locale frequentato dagli attori”.
Con chi ha recitato?
“Con parecchi, lavorai tanto anche con Enrico Montesano, poi l’ho perso di vista”.
Nella sua città, mai una chance nel mondo dello spettacolo?
“No, ma qui c’è poco. Venne il grande Marco Ferreri e mi prese per 3 giorni, da comparsa, da ragazzino, gli ero simpatico”.
Quanto ha guadagnato in carriera?
“Non si dice. Con Tinto Brass, due milioni di lire in due giorni: festeggiai con una donna, in un albergo di Ravenna. Con Sgarbi lo stipendio era onestamente buono”.
Ricorda la prima scena, in assoluto?
“A fine ’87, con Pupi. Avevo 27 anni e c’era anche un certo Ugo Tognazzi”.
Da “Libero”