di Vanni Zagnoli
Da lassù, Mike Mitchell domani guarderà al PalaGermani, occhieggerà il parquet, da lassù. E noi lo vediamo lì, guardare le luci, prendere la mira, arretrare e tirare, fare canestro. Uno, due, cento, mille, 10mila punti, forse, in Nba. Non andiamo a controllare i dati, non importa, importano le emozioni.
Brescia-Reggio è la partita di Mike, il più grande sportivo nella storia della città. Non parlava italiano, ma che importa.
E’ stato grande, a ricordarlo prende il sopravvento l’emotività, vengono le lacrime. Era una Reggiana che arrivò in semifinale scudetto, ma non da scudetto, da salvezza appena e infatti passò dalla salvezza all’ultima giornata, con Dado Lombardi, a quella incredibilmente avventura playoff, con Gianluca Basile.
Ecco, il tutto, in Italia, è iniziato con Virginio Bernardi, a Brescia, perchè là lo portò il grandissimo coach che poi lo volle anche a Reggio. E il manager di Mike era Federico Buffa, che al PalaBigi, due anni fa, ricordò diffusamente il tutto. La storia di Mike, il periodo della droga. “E quella volta che stava veramente male. E anch’io soffrivo tantissimo per lui”.
L’avvocato è a Sky, ora si occupa di storie di calcio, ma quella sera, al Bigi, c’erano 700 persone, compresi i giornalisti, ad ascoltare i suoi racconti lussureggianti, fiammeggianti come le bocche da fuoche del basket. Com’era Mike. “Mike, Mike Mitchell”. Un quarto di secolo fa, Reggio era pazza di lui, anche le donne.
Mike era il nostro totem, l’anfitrione di una città che era in A anche con la Reggiana (il Sassuolo era in C2…), con la pallavolo uomini e donne, con il basket femminile, magari anche solo A2, con l’hockey pista (anche tre squadre) e con la pallamano. Era la provincia più sportiva d’Italia e Mitchell era il Futre della pallacanestro, ma non era infortunato.
Mitchell (in copertina con la maglia di Reggio) era stato grande in Nba, era un lusso per quella Reggio, era da scudetto. Capitava di vederlo in via Emilia, non c’erano telefonini impertinenti come il nostro a filmarlo, si andava di autografo, non di selfie. Non erano tutti giornalisti e social e cazzeggiatori come oggi, il basket e la vita erano una cosa seria. Per Mike, serissima. Un principe, il principe. Era il nuovo Morse. Bob restò solo due stagioni, Mike tante. Forse 8, ma non vogliamo controllare, apposta. Lasciò a 43 anni e in quei playoff memorabili Walter Fuochi, firma di Repubblica e primattore del giornalismo italiano lo definì “I 43 anni meglio portati al mondo”. E noi eravamo lì, quella sera, accanto a quell’imolese occhialuto, ad abbeverarci di giornalismo e basket. A imparare, a capire. A ubriacarci di Mike, non a ubriarci insieme a giocatori che oggi magari vogliono ubriacarsi di notte.
Mike non era uno stinco di santo, ancora non sappiamo perchè fosse finito nel tunnel della droga, Mike era fascinoso, esattamente come Piazza. Muscolare ma talvolta in sovrappeso, difensivo e offensivo, leader silenzioso, manuale del basket. Poi gestì una catena di lavanderie a gettone. Curioso, no?
Mike è nella galleria dei primattori del basket reggiano, per la sua partita d’addio venne a Reggio Franco Bassini, ex capo della redazione sportiva de Il Giornale di Brescia, ringraziato in conferenza stampa dall’ad biancorosso Alessandro Dalla Salda. Perchè Mike è stato il più grande anche della Leonessa, assieme al pivot Bill Lambeer, passato nel 1979-80 dalla Pintinox, svezzando anche Ario Costa, oggi presidente della Vuelle Pesaro, e poi campione Nba con i Detroit Pistons.
Era un basket che si declinava a memoria, seguito di notte da milioni di persone, di giorno da gente in fila al botteghino per Bob Morse e poi per Mike. Era il primo e poi il secondo boom della pallacanestro in città. Adesso siamo alla terza fase, il primattore è stato Kaukenas, oggi ci identifichiamo in Aradori e Della Valle ed è già tanta roba.
Però, ecco, anche Cervi sa che Mike era un’altra cosa, Ricky era bambino, avrà visto i filmati, imparerà certi movimenti, che da pivot puro non avrà mai. Mike era un mito, anche in vita. Figurarsi dal 2011, che non c’è più. Mike, Mike, Mike. Gli diciamo grazie. E speriamo di dirlo presto anche a Piazza. E più volte, no?