La Nazione recensisce il libro di Lamberto Gherpelli: Petrini, Beatrice e gli altri, l’indagine sul “lato oscuro del calcio”. E Tommasi cita Batistuta.

 

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Tommasi al centro durante la presentazione del libro di Lamberto Gherpelli, reggiano abitante a Parma, a destra

Roma, 17 febbraio 2015 – “Qualcuno corre troppo”. Lo hanno pensato in tanti, davanti a molte partite, davanti a giocatori indemoniati o, senza scomodare esempi eccellenti, letteralmente con la bava alla bocca. “Qualcuno corre troppo” è anche il titolo di un libro, quello di Lamberto Gherpelli, edito da GruppoAbele e presentato lunedì 16 febbraio allaFederazione nazionale della stampa a Roma. Sottotiolo: “Il lato oscuro del calcio”.

Un libro-indagine che parte da molto lontano, dal primo caso di doping documentato, da quello che accadeva nel calcio inglese (e europeo) a inizio Novecento, alla Nazionale di Vittorio Pozzo, fino ai giorni nostri, passando per due casi portanti che coinvolgono a pieno titolo la Toscana: quello di Bruno Beatrice, ex giocatore della Fiorentina, morto a 39 anni nel 1987, e quello di Carlo Petrini, di Monticiano (Siena), scomparso nel 2012 e autore di un libro-denuncia che gli attirò accuse e critiche. Ora tocca alle vedove portare avanti una battaglia per scoperchiare il calderone del sistema-doping nel calcio (e nello sport in genere, a tutti i livelli e in tutte le discipline): Gabriella Bernardini Beatrice, ampiamente citata nel libro, e Adriana Clocchiatti Petrini, di Lucca, che ha portato la sua testimonianza anche alla presentazione romanda del volume di Gherpelli.

“Certo – dice Gherpelli – diciamo che in Italia si fanno più esami antidoping che altrove e il calcio è meno compromesso di altri sport. Ma io ho fatto questa indagine non per scandalismo, ma per amore del calcio. Quello vero. Abbiamo ascoltato testimoni diretti e scoperto un mondo di abusi di farmaci che ha accomunato tanti giocatori e tante squadre. Certamente il lavoro ha procurato fastidio e insofferenza a molti addetti ai lavori. Il testo non ha la presunzione di scoprire colpevoli o arrivare dove neanche la Giustizia è arrivata, a dimostrare cioè il nesso tra malattie, morti e farmaci somministrati ai calciatori. né tantomeno voglio mettere in dubbio i meriti sportivi delle società calcistiche. C’è però un dato certo: si gioca molto e a ritmi esasperati”.

I dati citati nel libro, che affronta ampiamente anche lo studio commissionato dal magistrato di Torino Raffaele Guariniello, fanno paura: tra gli ex giocatori di Serie A, B e C i decessi per leucemia linfoide sono risultati superiori di 35 volte rispetto al resto della popolazione, il tumore al fegato ha presentato un rischio di otto volte superiore, per quanto riguarda la Sla il dato è fino a 24 volte superiore alla popolazione normale. Significativa dunque la testimonianza portata da Nicola Vanacore, dell’Istituto superiore di sanità, alla presentazione del libro: “Lo studio presenta tre punti fondamentali: c’è una malattia, al Sla, che generalmente è rara, ma in una specifica categoria, quella dei calciatori, si presenta con una frequenza maggiore di 24 volte; nella popolazione normale insorge in genere fra i 65 e i 69 anni, nei calciatori in età invece giovanile; inoltre si tratta, nel caso degli atleti, di casi sporadici, che non hanno cioè precedenti in famiglia se non nel 15% dei casi. Unos tudio che dal 2005 non è stato mai confutato da nessuno. Uno studio che, per essere realizzato, non ha incontrato nessun tipo di collaborazione da nessuna parte, tanto che è stato necessario lavorare utilizzando le figurine Panini per avere i quadri completi delle squadre”. Per Vanacore è inevitabile “continuare a fare ricerca in questa direzione, è un’occasione fondamentale per capire perché viene la Sla a chi non ha mai giocato a calcio. Eppure siamo fermi al 2005, perché non c’è una volontà di sanità pubblica di fare ricerca in questo senso”. Ma oltre aldoping “classico” Vanacore mette in guardia anche “dall’abuso di integratori alimentari e di sostanze naturali, che in dosi eccessive possono essere nocivi”.

E i diretti interessati, i calciatori? Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione italiana calciatori, attacca: “Quando chiediamo una pausa più lunga a Natale sembra che vogliamo andare alle Maldive, se uno non vuole giocare una partita sembra che non sia attaccato alla maglia, se salti un allenamento la domenica non giochi. Non ci sono né riposo né tempi di recupero. Ma i ragazzi intelligenti poi vengono considerati codardi”. Pertinente, dunque, l’esempio di Ribery, narrato dall’autore Gherpelli, che ha rinunciato a un Mondiale pur di non imbottirsi di cortisone. Perché non c’è solo il doping, ma anche l’abuso di farmaci, cioè la ipermedicalizzazione e i ritmi forsennati di gioco che imepdiscono il recupero fisico: Tommasi ne ha parlato citando un suo ex compagno di squadra, Gabriel Omar Batistuta, che in un’intervista avrebbe risposto alla domanda “Cosa ricordi della tua carriera” con un amaro “le caviglie massaggiate”. Dice Tommasi: “Sicuramente avrebbe fatto qualche partita in meno e qualche gol in meno forse se avesse saputo i rischi connessi a giocare infortunato o non al meglio” per poi aggiungere. “Si dice che il calcio dovrebbe uscire dalle farmacie. Io dico che dovremmo uscirne un po’ tutti”.

Fra le testimonianze, particolarmente toccante quella di Adriana Clocchiatti, vedova di Carlo Petrini, tra i pochi ad avere il coraggio di uscire dall’ombra e raccontare cosa accadeva negli spogliatoi: “Mio marito ha fatto la sua personale battaglia, ma è stato ignorato. Lui aveva capito i suoi errori ed era uscito dall’omertà; è morto da uomo libero. Non era un santo, ma di santi ne vedo pochi”.

Alla presentazione non è mancata la silenziosa ma significativa testimonianza di Sandro Donati, già allenatore della Nazionale di atletica leggera, rigoroso alfiere contro il doping e qualunque frode sportiva; presente anche Gabriella Stramaccioni, di Libera.

di Luca Boldrini

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