di Vanni Zagnoli
Colgo l’occasione di una diatriba infinita con un ex collaboratore di vannizagnoli.it che minaccia querele, per sottolineare alcuni aspetti che vanno oltre, cardini della professione giornalistica e di comunicazione.
La differenza fra giornalisti e blogger è abissale. I giornalisti sono controllati da altri giornalisti, il web non deve essere libero, perchè altrimenti chiunque diffama veramente chiunque, chiunque esprime opinioni personali spacciandole per verità assolute.
Servono misura e rispetto sempre, nei confronti di tutti. La comunicazione è una cosa seria e non può prescindere da un percorso professionale di crescita, non si può affidare a chi si inventa un mestiere all’improvviso, partendo dalla semplice amicizia con più persone possibili.
Per carità, chiunque può inventarsi webmaster, creatore di siti, architettare un piano di comunicazione elementare, ma non c’è paragone fra chi è giornalista e ha portato a casa il famoso tesserino professionale – tantopiù da professionista – e chi invece si muove con scopo pubblicitario.
L’Ordine dei giornalisti è indispensabile e dovrebbe sanzionare anche i non iscritti, che si occupano pubblicamente di comunicazione.
Un conto è una chiacchierata a due, anche con whatsapp o altro, un dialogo riservato e personale, un altro è un dialogo sui social, pubblico, dove non possono mai mancare il rispetto e il rispetto della verità.
Persino i pezzi elogiativi andrebbero cadenzati, controllati, perchè esistono persone che hanno secondi fini, nel loro rituale parlar bene e fare i complimenti a tutti, di persona e anche nel mare magnum dei social networks.
In questo senso il curriculum e la credibilità fanno la differenza. I professionisti seri, più o meno affermati, vengono giudicati anche per il comportamento privato, quando questo avviene magari in pubblico. Il rigore professionale e personale paga sempre.
Le scelte possono essere curiose, discutibili, ma sempre devono avere come fine l’informazione, l’attrazione del pubblico, evitando le esagerazioni.
Sostiene l’ex collaboratore che il titolo di Libero “Bastardi islamici” incita all’odio, alla violenza, rappresenta un pericolo per l’Italia. In parte può essere, ma esprime un’opinione forte, da rispettare.
Accostare il parere di una pornostar a un tema che riguarda la Chiesa e illustrarlo con una foto di nudo gratuitamente volgare si commenta da solo.
Sostenere che uno sportivo professionista ha sbagliato tutto, non sa gestire la nazionale (dopo che ha vinto molto) non è bellissimo. Tantopiù se si fa perchè un amico o un collega lo ripetono sui social, prova ne sia incollare la propria opinione sulla bacheca dello stesso amico, come per dire: “Lo vedi, la penso come te, sono anche più coraggioso di te”. Si parla in questi casi di disonestà intellettuale.
Criticare un giornalista professionista, un commentatore comunque affermato, per sostituirlo con con una ex sportiva professionista, che fare la giornalista dovrebbe iniziare un percorso dal nulla, è un non senso.
Qualsiasi opinione è rispettabile e si può sostenere, purchè abbia un senso. E il motore non può semplicemente essere: “Creo dibattito, alimento l’attenzione su di me. Questo mi è simpatico, questo no”.
Ovvero, tutto è accettabile, sostenibile, argomentabile, ma poi è il pubblico, il web, a esprimersi.
Confutare una tesi anche forte con opinioni non pertinenti fa solo perdere tempo, irrita.
Un blog individuale o anche collettivo è diverso da un sito internet registrato in tribunale, a prescindere dai lettori.
Una testata che coinvolge più persone e ospita gli interventi di più persone offre una credibilità diversa rispetto al lavoro di una sola persona, tantopiù non giornalista, che peraltro può essere animata da tutte le migliori intenzioni.
La continuità, il percorso professionale di chi si occupa solo di giornalismo e comunicazione è da privilegiare rispetto a chi si occupa di quel che capita, di chi vive la vetrina giornalistica come un trampolino di lancio per se stessi.
Raccontare la realtà, raccontare le storie, le professioni, mischiare il passato al presente e al futuro, raccontare lo sport sul piano umano è un esercizio non per tutti.
Intervistare una persona comune o un personaggio non deve essere un semplice esercizio di protagonismo o meglio di esaltazione dell’interlocutore.
Tutto questo è banale, persino scontato per chi cresce in una redazione giornalistica o ha contatti frequenti con la struttura di professionisti o comunque pubblica regolarmente e accetta che il suo scritto venga corretto, passato, vagliato, titolato. Che il titolo magari proposto sia stravolto per catturare più lettori possibili.
Insomma il rigore, la precisione giornalistica, le scelte personali vagliate poi dal caposervizio, dal caporedattore, dal direttore sono diverse rispetto a chi semplicemente esprime un’opinione rispettabile ma amatoriale.
Affrontare il percorso per diventare giornalisti pubblicisti è una qualificazione della propria opera, agire nell’interesse della comunità, dei lettori, è diverso dall’agire per lo scopo personale o del personaggio di cui si cura l’immagine.
Beninteso, c’è spazio per tutti, chiunque può ambire a realizzare i propri sogni. a qualsiasi età, ma l’esperienza e il controllo di giornalisti professionisti, l’autorevolezza, la storia delle testate è una garanzia, rispetto alla sensibilità individuale.
Il percorso professionale squisitamente giornalistico offre certezze e basi superiori a percorsi paralleli, che vedono magari una persona nelle semplici vesti di lettore o di addetto al protocollo o di segreteria o di filtro nei confronti del pubblico anche di un’autorità politica.
L’ufficio stampa, se esercitato nel tempo, con passione e curiosità, è qualificante anche in ambiti particolari, come per esempio all’interno di forze dell’ordine, di istituzioni.
Peraltro c’è una differenza notevole fra un addetto stampa o comunque addetto alla comunicazione e un giornalista che segue la stessa materia per un quotidiano o un periodico. La comunicazione veicolata dall’interno segue logiche di proselitismo, di buona immagine, la comunicazione portata avanti dall’esterno si pone in maniera anche critica, anche severa nei confronti del soggetto, della materia in questione.
Avere la schiena dritta non significa semplicemente sbandierarlo, raccontare di stare dalla parte della gente, ma dimostrarlo durante un intero percorso professionale.
Inventare metafore, aggettivi, usare iperboli per esaltare donne amiche che magari si vorrebbero conquistare sotto altri piani è un meccanismo a dir poco singolare. Credibilità e controllo delle fonti sono alla base di tutto. Allargare la base di un sito testata giornalistica, coinvolgendo più persone posseibili rappresenta di per sè una garanzia ulteriore.
Ci sono inoltre professioni, atteggiamenti, scelte pubbliche e private in contraddizione con l’etica del giornalista. Il tempo, il pubblico, la continuità di comunicazione sono galantuomini.
Chiunque può fare un editoriale, definirlo tale, ma anche lì servono crismi. Meglio parlare, magari, di pensieri in libertà.