Peter Fill ha vinto la coppa del mondo in discesa, la prima di un italiano nella storia della specialità, a parte i successi di Isolde Kostner fra le donne, nel 2001 e 2002. Ecco le sue emozioni, a freddo, per Ilmessaggero.it.
di Peter Fill
Quassù, a Castelrotto, vicino all’alpe di Siusi, è stata festa. Siamo in 6mila, in Alto Adige. La coppetta è una soddisfazione, mancava allo sci italiano dal 2008, quando se l’aggiudicarono Manfred Moelgg in slalom e Denise Karbon in gigante: mia cugina 8 anni fa era al top, si è ritirata da due stagioni. Io ho 33 anni e stavolta sono arrivato primo a Lake Louise, in Canada, e poi nella discesa più bella, a Kitzbuehel, prendendo punti in 10 gare. Il mio palmares si è arricchito così di un titolo, offrendo un seguito all’argento ai mondiali di Val d’Isere, in superg, nel 2009, e al bronzo di Garmisch, in combinata, due anni più tardi.
Per me sono stagioni magiche anche sul piano personale, perchè il 23 maggio scorso avevo sposato Manuela. Abbiamo un figlio, Leon, 2 anni compiuti il 23 gennaio, proprio quando vinsi in Austria, e un altro è in arrivo. Lei gestisce appartamenti di nostra proprietà, al mio paese, giovedì è venuta a Saint Moritz per non perdersi la gara più importante della mia carriera. Poi ho chiuso con il 7° posto in superg, neanche male, lì però non ho la sicurezza che mostro in discesa. Mi soddisfa anche il 9° posto nella classifica generale di coppa del mondo, vinta ancora da Hirscher. E’ una stagione ottima anche per Dominik Paris, 2 vittorie al pari di Federica Brignone. Siamo davvero molto forti, come nazionale anche femminile, dietro unicamente all’Austria, la superpotenza storica della neve. E’ un piacere vedere al terzo posto nella mia specialità Paris e poi ammirare il suo 6° in generale, io stesso sono rientrato nei migliori 10. In questo millennio non ci sono Alberto Tomba nè Deborah Compagnoni, ma in tanti azzurri vanno a podio, siamo davvero molto concreti e questo fa sì che ci seguano tanti tifosi, anche sulle piste straniere. Giovedì c’erano credo 500 italiani, in Svizzera, per accompagnarmi verso il trofeo. Al ritorno a Castelrotto ho guidato io, sono 3 ore di macchina, con la gioia del successo centrato, per offrire agli allenamenti un sapore diverso.
Non sorridete di fronte al mio peso, sono 90 chili distribuiti sul mio metro e 75, perchè proprio la pesantezza in pendenza fa velocità e allora da anni tutta l’estate vado in palestra per costruirmi: gambe fortissime, i muscoli della schiena, gli addominali e un culetto molto allenato. Dobbiamo resistere a carichi notevoli, in curva c’è tanta pressione e allora con una gamba per volta alla pressa sollevo anche
400 chili. Meglio dei culturisti, insomma.
E’ una fortuna crescere in montagna, si vive bene e all’aria fresca, io abito a 1000 metri e ho le piste davanti a casa, a Siusi, a quota 1800, e questo rappresenta un grande vantaggio. Siamo in Alto Adige, il Trentino è come fosse un’altra regione, a casa si parla dialetto tedesco, mentre uso l’italiano in giro, in squadra e con gli allenatori. Quassù il Bressanone ha vinto due scudetti e due coppe Italia di pallamano, il calcio è in Lega Pro, si chiama Sud Tirol ed è tornato ad allenarlo Giovanni Stroppa, che qua si rivelò, meritando la chiamata a sorpresa in serie A del Pescara. Seguo il calcio perchè sono tifoso della Juve e poi della Ferrari, in questo sono molto italiano, sulle Alpi peraltro lo sci è molto seguito, proprio per la spettacolarità.
In gara si toccano anche i 160 chilometri orari e quando cadi male la carriera si può arrestare improvvisamente, io comunque ho intenzione di proseguire per altri 3-5 anni, dunque nel 2017 sarò ai mondiali di San Moritz, poi alle olimpiadi in Sud Corea. Dovrei resistere almeno sino ai mondiali di Are, in Svezia, del ’19, mentre è dura arrivare a Cortina ’21, considerato che avrò 38 anni. Vediamo, il prosieguo è scritto nelle stelle.
A leggere queste righe vi sembrerò una persona abbastanza seria, è proprio così. Amo la montagna e casa mia e sugli sci sto davvero molto bene. Non mi interessa essere personaggio, lo alimento eventualmente solo con i risultati. Grazie all’allenatore Alberto Ghidoni, già tecnico di Kristian Ghedina, e con me sin dai primi mondiali disputati, a Saint Moritz, nel 2003: lui è bresciano, di Collio, torna dopo la parentesi alle donne, io sono in coppa del mondo dal 2002, ormai il veterano della compagnia. Responsabile del nostro settore Massimo Carca, alessandrino di Tortona, dunque lontano dalle montagne. Daniel Zonin, invece, è lo skiman, di Bolzano: al primo anno con me ha svolto un ottimo lavoro, perchè è colpa sua se ho missili sotto i piedi, fa funzionare al meglio la sciolina dei miei Atomic Redstar. Mi seguiranno tutti e tre anche ai campionati italiani, poi mi attendono 3 settimane di skitest e 6-7 di preparazione. In genere lavoro per 5 giornate mattina e pomeriggio, il sabato solo di mattino, mentre mi tengo libera la domenica.
In estate arriveranno anche le vacanze, mentre da metà agosto andrò un mese in Argentina o Cile, come sempre. Il programma prevede la ripresa con l’atletica e poi su vari ghiacciai, 3-4 giorni a inizio novembre, per essere al top a metà di quel mese, in nord America.
Mi allenerò là, verso l’apertura in Canada, a Lake Louise, cercando il massimo soprattutto in Val Gardena e a Santa Caterina Valfurva, le tappe italiane della coppa. Come vedete ho già in mente come fare per tentare di confermarmi, l’obiettivo è di ripetermi.
Fortunatamente ho vissuto solo un grave infortunio, era il 2009, con lo strappo all’adduttore della gamba sinistra e agli addominali bassi. Restai fuori da agosto a fine gennaio, lo pagai successivamente. L’altro stop è stato l’anno scorso per un guaio alla spalla, a Wengen, in Svizzera.
Gli appassionati mi chiedono se esista l’ansia pregara e in effetti c’è da soffrire, sulle piste comunque siamo veramente freddi e più forti di sportivi normali, in fondo servono nervi veramente spessi, per affrontare istanti molto difficili, su tratti pericolosi. E’ indispensabile tantissimo coraggio, per evitare che subentrino i dubbi e allora fa la differenza attaccare sempre al 100%. Ogni tanto un pizzico di paura si può affacciare, non è da poco controllarla, essere il più aggressivi possibile aiuta a restare concentrati.
Incidenti accadono anche in allenamento, c’è pericolo di infortuni gravi, per una velocità media fra i 110 e i 120 all’ora. Si rischia la vita, a picchiare forte con poche protezioni, praticamente solo il casco, con gli sci che si trasformano in lamine insidiose.
Sul piano economico, in assoluto non ne vale la pena, considerato per esempio che il successo a Kitzbuhel è stato ricompensato con appena 70mila euro, per fortuna c’è l’onore del primato, ecco.
Scendere giù, in picchiata, è come guidare ai 300 orari, anzi è molto più complicato perchè neanche c’è la carrozzeria, a proteggerti, nè abbiamo gli airbag, pertanto quei 160 orari toccati non permettono distrazioni.
Ma la discesa è anche stile, c’è la classe come per un calciatore o la compostezza in sella di un ciclista, io vengo accreditato di una sciata molto bella, sensibile nelle traiettorie e con pochi errori, al punto che neanche sembra che vada veloce. Mi piaceva Lasse Kjus, il norvegese, e quest’anno sono andato davvero forte come lui.
In assoluto, i miei idoli erano Roberto Baggio e Zidane, poi Del Piero, adesso Pogba, ma è impossibile cercare punti di contatto fra uno sciatore e un calciatore. Con la squadra puoi vincere anche se giochi male, il nostro sport è davvero individuale e allora o vai forte o vai piano. Io peraltro gioco anche a calcio, nel Goulash, ovvero con le riserve del Sud Tirol, e poi amo il golf e la bicicletta, insomma sono un polisportivo.
testo raccolto da Vanni Zagnoli