di Vanni Zagnoli
C’è Gianluca Pacchiarotti, il portiere del Pescara che nel 1984 subì il primo gol ufficiale, di Maradona, in coppa Italia, e c’è Renato Copparoni, spesso riserva, anche nel Cagliari, ma nel 1986 fu il primo italiano a parargli un rigore. Fu al Torino dal 1978 all’87, i titolari erano Giuliano Terraneo, il portiere con i baffi, e Silvano Martina, poi procuratore di Gigi Buffon.
Copparoni, era Napoli-Torino, finì 3-1 e la parata fu ininfluente.
«Vincevamo 1-0, gol di Pietro Mariani, penalizzato da infortuni e comunque artefice di buona carriera. Il Napoli pareggiò su tiro di Pecci, l’ex, e autogol di Giacomo Ferri. Poi Maradona si presentò solo davanti a me, a sinistra, aspettavo che calciasse, vide Caffarelli e con la rabona, incrociando il piede, lo servì con un assist millimetrico e fu 2-1. Nel secondo tempo segnò Salvatore Bagni».
A 7’ dalla fine lasciò il segno lei, come?
«Vidi il rigore calciato a Zenga, contro l’Inter, all’epoca c’era giusto la Domenica Sportiva, non tutta la tecnologia attuale. Il portiere si mosse in anticipo e lui mise la palla nell’angolo opposto. Così pensai che, se fosse capitato a me di fronteggiare un altro rigore, non mi sarei mosso, sarei rimasto fermo, per non dargli indicazioni, dunque non mi sarei tuffato, né a destra né a sinistra. Diego non calciava forte, la piazzava, aspettava l’ultimo momento, vedeva il movimento del portiere e sceglieva in base a quello. Io allora feci un passo in avanti, dritto, mi guardò, mi vede fermo e la presi».
Un prodigio…
«Neanche. Come parata non è stata granchè, in sè, ne ho compiute altre, molto più difficili. Fece la differenza la preparazione, su quel tiro dal dischetto mi indussi una sorta di training autogeno e andò bene. Avevo di fronte il più grande al mondo, con tutto da guadagnare, agii in quella maniera e così sono rimasto nella storia».
Cosa le resta?
«Un ricordo bellissimo. “Coppa, questo è un sigillo che non ti leverà nessuno”, mi disse mister Gigi Radice. Quel rigore parato si ricorda anche in questo momento così triste. La scomparsa di Diego è un dolore per tutti, è stato un grande giocatore, al di là degli aspetti personali, che riguardano lui e basta. Era un grandissimo, dispiace non vederlo più, anche soltanto nelle interviste, in tv».
Per sei stagioni fu tra i pali del Cagliari, con 72 presenze, chiuse nell’88 al Verona. E’ il ricordo più bello della carriera?
«Sì, anche perchè la parata viene rammentata ancora, dopo 34 anni. Era il giocatore più forte al mondo. Parai il primo rigore in serie B, a Chimenti, il primo in A fu a Rigamonti, il portiere del Como che calciava dagli 11 metri e sino ad allora non aveva sbagliato. Parai anche a Pruzzo e a Vialli, importanti ma non della levatura di Diego. Fu come un gol segnato da un portiere, resta negli annali. E’ come per gli attaccanti, fanno tanti gol ma rammentano il più bello, gli resta nel cuore, quella parata fu al più grande giocatore».
Ma Diego Armando Maradona cosa le disse?
«Inizialmente niente, per 10” lo stadio San Paolo fu ammutolito, i tifosi erano increduli, non pensavano che potesse sbagliare. Nel sottopassaggio ci trovammo a fianco, disse solo “bravo”, “Ho fatto il mio dovere”, la risposta. Confermò quella frase ai giornali. Mi sarebbe piaciuto reincontrarlo nel dopo calcio, quando io appesi i guanti al chiodo e lui le scarpette. Sarebbe stato bello rivivere quell’istante».
Almeno però se lo fece raccontare…
«Volevo capire l’uomo e allora mi incontrai con Giovanni Francini e con Giancarlo Corradini, i due ex granata che vinsero tanto con lui al Napoli. Entrambi ne confermarono l’eccezionalità, era alla mano, generosissimo, splendido con tutti i compagni, faceva regali a magazzinieri e massaggiatori. Gli perdonavano tutto, anche quando non voleva andare al campo, del resto aveva la palestra in garage, per allenarsi anche da solo. E quando non partiva con la squadra e arrivava solo la domenica mattina con l’aereo privato. Era Maradona, li faceva vincere».
Due scudetti, la coppa Italia e la supercoppa, anche la Uefa.
«Subiva tanti falli, prendeva le botte e si rialzava, senza rotolamenti, un giocatore così come lo fermi? Era consapevole del copione, si alzava e accettava la situazione, mica come oggi che appena un giocatore è toccato accentua la caduta, era grande anche in questo».
Ricorda Tomislav Ivkovic? Parò due rigori, a Maradona, in Napoli-Sporting Lisbona di coppa Uefa e poi nei quarti dei mondiali di Italia ’90. Entrambe le volte, però, Diego si qualificò.
«Rammento quel portiere, diciamo che io sono stato l’apripista, almeno per al serie A. Dopo di me anche Marco Landucci (a lungo nello staff di Allegri, alla Juve, ndr) e il povero Giuliano Giuliani, prima di andare al Napoli. Non so se avessero visto filmati, magari Diego prediligeva una parte, se 7 volte su 10 calciava lì, nell’istante in cui individuavi la parte eri avvantaggiato. Ti guardava sino all’ultimo, non aveva certo il 45 di Eraldo Pecci, ma un piede piccolissimo e all’ultimo momento poteva cambiare traiettoria».
Lei cosa fa, a 68 anni?
«Abito a Cagliari, ho aperto una scuola calcio come accademy. Mi diverto con i bambini, anch’io lo sono stato ma alla loro età, non esistevano le scuole calcio, adesso è tutto programmato meglio. Mi piace farli crescere, è qualcosa che ho dentro e lo trasferisco ai giovani. Sperando che qualcuno abbia la fortuna di arrivare al traguardo, lavoriamo bene con tutto il gruppo».
Il lutto per Maradona è planetario. Com’è vissuto in Sardegna?
«Anche qui i media hanno dedicato pagine intere. Diego era la poesia del calcio, meraviglioso quando toccava la palla, memorabile la punizione dentro l’area a Tacconi, portiere della Juve. Su Sardegna1 una trasmissione quasi tutta dedicata a Maradona, con ospite chi l’ha affrontato e raccontato in tutti i suoi aspetti. Ha lasciato un vuoto, anche per noi, l’abbiamo patito».
Adesso esiste un Maradona, nel calcio?
«L’unico che gli si può avvicinare è Messi. Diego ha vinto ovunque, in Argentina, in Spagna con il Barcellona, nel Napoli, si è confrontato in tre campionati tosti. Messi gioca in Spagna da sempre, in nazionale gli manca qualcosa sul piano caratteriale. Maradona era maturato anche cambiando campionati, imparando metodi di gioco diversi, Messi è sempre lì. Ha i numeri, se dovesse migliorare, sarebbe l’unico che potrebbe eguagliarne le mirabilie».
Da “Ilmessaggero.it”