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di Vanni Zagnoli
Bebo non c’è più, è morto d’infarto a Belo Horizonte, dov’era direttore di amministrazione e controllo dell’Atletico Mg, il club calcistico, hanno tentato di rianimarlo per 50’, invano. Da anni si era dato al calcio, era stato presidente del Botafogo, aveva dato una mano all’organizzazione del mondiale del 2014, come idee. Paulo Roberto de Freitas, all’anagrafe, aveva 68 anni, e per tutti era Bebeto, come la punta campione del mondo del ’94, in coppia con Romario, e in fondo il calcio l’aveva nel sangue, nipote del giornalista e allenatore di calcio João Saldanha, il ct che costruì l’invincibile Brasile di Mexico ’70, salvo essere rimosso alla vigilia del Mondiale, in quanto inviso al regime militare.
Di una simpatia contagiosa, Bebeto era stato ct dell’Italia campione del mondo di volley nel 1998, dopo i due titoli arrivati con il guru Velasco. L’eredità era pesante, stava facendo bene eppure entrò in collisione con il presidente federale Carlo Magri, parmigiano che l’aveva voluto già a Parma, dove vinse due scudetti. “Ma feci anche il grande slam dei secondi posti”, ci raccontava.
Palleggiatore del Botafogo, vinse 11 campionati consecutivi di pallavolo a Rio de Janeiro, dal 1965 al ’75, e partecipò alle olimpiadi del ’76, a Montreal, chiuse al 7° posto. Come allenatore, a soli 34 anni fu argento a Los Angeles ‘84. A Parma venne dopo il grande slam di Gian Paolo Montali, restò per 5 anni, aggiudicandosi 2 scudetti, una coppa Italia e 2 Cev. Dal ’97, sulla panchina azzurra vinse la World League, un bronzo europeo e quell’ultimo mondiale italiano.
Dal Sudamerica, non si capacitava di come il nostro volley non vincesse più, dal 2006.
Qualche brano di una nostra lunga chiacchierata del 2014.
Bebeto, ricorda il suo sestetto tricolore, a Parma?
“L’olandese Blangè era il palleggiatore, il brasiliano Carlao faceva l’opposto. Schiacciatori erano Renan dal Zotto (ora ct del Brasile) e Marco Bracci, centrali Andrea Giani e Pasquale Gravina. Galli e Zorzi, invece, preferirono andare a Milano”.
Cos’è cambiato, rispetto all’epoca?
“Il campionato italiano era come la Nba della pallacanestro, rammento che era il più importante al mondo e le nostre vittorie furono molto qualitative, perchè negli anni ’90 la serie A rappresentava veramente l’utopia della pallavolo. Avevamo vinto tutto, c’era la cosiddetta generazione di fenomeni e il modello era vincente, al di là di invidualità e allenatori. Eravamo il riferimento per il mondo”.
All’epoca neanche c’era il libero…
“Si utilizzava solo in nazionale, Mirko Corsano fu il primo”.
Come si può risalire?
“La crescita di questo sport sarebbe fondamentale, ha perso la strada nel momento in cui tutto il mondo invidiava la pallavolo italiana. Serviva farla lievitare ulteriormente. Occorrerebbe imitare la pallacanestro, che ha effettuato un accordo con l’Nba in tutto il mondo, creando un legame positivo con le nazionali. La pallavolo ha perso questa corsa a diventare uno sport davvero di primo piano, in Italia e nel mondo. Non si può essere forti se il campionato nazionale non è così qualitativo, occorrebbe lo spirito industriale degli americani”.
E’ possibile ritornare dominanti?
“Non si riuscirà mai a creare una nazionale molto forte, senza un confronto indiduale costante in serie A. Penso alle 3mila università da cui pesca sempre il basket professionistico americano. Ai tempi di Julio Velasco, l’Italia dominava in World league con la nazionale 1, 2 e persino 3, proprio perchè anche nei club i giocatori si misuravano su altissimi livelli. A fine millennio, praticamente tutti i migliori giocatori erano protagonisti in Italia, così la nazionale vinse tutto, escluso le Olimpiadi. Gli azzurri e il movimento erano il riflesso di quanto avveniva in campionato”.
Il rally point system è stato un bene, per il volley?
“Senza il cambio palla, è un altro gioco, completamente diverso. Quando venne approvata la modifica, si pensava sarebbe stata la stessa cosa, semplicemente che servissero meno punti a chiudere un set, per rendere il gioco più veloce, emozionante. Non si doveva però cambiare l’essenza del nostro sport, adesso il gioco si è specializzato su questa regola, senza cambi palla. Occorre migliorare i fondamentali, perchè l’errore ora è più pesante e ciascuno viene pagato con un punto. Per fare bene, insomma, non si può sbagliare. Perciò sulla tecnica individuale c’è bisogno di crescere tantissimo, per contribuire di più ai risultati”.
Ivan Zaytsev è l’azzurro più vicino alla generazione dei fenomeni?
“Mi piace moltissimo, anche la sua pallavolo. Non è solo attacco e battuta, ha qualità tecniche per essere multifunzionale”.
Sino a 18 anni, lei aveva giocato a calcio. Ora imita Gian Paolo Montali, passato al pallone dal 2007 (sino all’incarico nella Ryder cup di golf) e Velasco, per due anni con la Lazio e all’Inter?
“Ho fatto il presidente della mia squadra, l’Atletico Mineiro, ma sono stato eletto fra i membri della polisportiva, per due mandati di fila, adesso non ero più eleggibile. Mi occupavo della gestione di tutto il club, non solo del calcio”.
Adesso lo seguirà da lassù, assieme a Vigor Bovolenta, sul podio con lui in World league e agli Europei.
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