Ferrara
di Vanni Zagnoli
Il popolo della Spal, la curva ovest, canta, all’infinito, come in serie A. Girare lo stadio Paolo Mazza, anche da fuori, durante la partita con l’Ascoli, finita 1-1, è inebriante. E’ uno stadio in città, rinnovato, a misura di provincia, che ha assaporato le due promozioni con Semplici, Leonardo, mancato nuovo allenatore della Salernitana, dalla serie C1 alla A, e le due salvezze, in A, clamorose, considerata la prima rimonta e il budget comunque non da Europa, della famiglia Colombarini. Che con la retrocessione ha venduto, a Joe Tacopina, l’avvocato muscolare americano, ex socio della Roma ed ex comproprietario del Bologna e poi patron del Venezia.
Egli ha portato Daniele De Rossi, sicuramente per la conoscenza giallorossa, per la fede giallorossa, e anche per il fascino del personaggio.
Ddr, dunque, in sala stampa è se stesso, come l’abbiamo incrociato nei dopopartita, in serie A, da calciatore.
Non ha vinto, nonostante il vantaggio e nonostante l’uomo in più per un tempo, appena dopo il pareggio dell’Ascoli, di Cristian Bucchi. Che la scorsa stagione era sceso in serie C, a Trieste, in una delle piazze più difficili d’Italia, come turnover di proprietà e fallimenti, dopo avere debuttato in serie A a Sassuolo, esonerato.
Che differenza, dunque, fra Daniele che esordisce in panchina in serie B e tanti Bucchi d’Italia che partono dalla C2, quando c’era, o persino dalla serie D.
“Ma quanto ho fatto da calciatore – ci risponde l’ex centrocampista azzurro – è lì, in un cassetto, c’entra poco con il dopo, ovvero con l’attualità. E lo status di campione del mondo l’ho dimenticato, volutamente, ero molto giovane, non ci ho mai pensato. Sono passati 16 anni e non aggrappo ai ricordi”.
La Spal sarebbe salva, stasera, ma per un punto, non va meglio rispetto a Venturato, l’allenatore del secondo miracolo Cittadella, del miracolo della serie A accarezzata per due volte ma che a Ferrara non ha strabiliato.
Certamente c’è l’abisso fra la popolarità di Daniele e la modestia, nel senso di storia e anche di carattere, di Roberto Venturato e di altri d’Italia e del mondo.
Daniele è uno dei tanti campioni del mondo ad allenare in serie B. Ci chiediamo se la responsabilità che accompagna quello status sia comunque inferiore rispetto alle attese di quando giocava nella Roma.
“Ero capitan futuro, sì – spiega -, ma quell’etichetta non mi ha pesato, ero sereno quando la fascia era di Francesco Totti e anche dopo. Non mi faccio schiacciare dalle aspettative”.
Per i grandi nomi del nostro calcio sono massime, proprio in base anche alla popolarità, di base. Daniele ha 39 anni, è fra i tecnici più giovani del nostro calcio, serie D compresa, a occhio, ma da calciatore ha acquisito un’esperienza tale che non è un esordiente qualsiasi.
“Eppure sì, non sono un novellino ma un deb, appunto, come alcuni dei miei giocatori. C’è un 2006 coetaneo di mia figlia, mi fa uno strano effetto”.
La tribuna stampa, allo stadio Mazza, è vicina alla curva ospite, ai 300 tifosi marchigiani, soprattutto dov’eravamo seduti noi, e allora lo sguardo onestamente non andava, da lontano, a Daniele. Si vede meglio dalla tv e si vede la sua partecipazione, alla partita.
Libertà è partecipazione, cantava Giorgio Gaber, gigante milanese del secolo scorso.
E Daniele nel dopopartita e anche in panchina ha la spontaneità dei bei personaggi. Non bleffa, non aggira le domande, anche se, certo, al parallelo panchina con fascia di capitan futuro dice “Andremmo troppo in là, nei ragionamenti”.
Stiamo in qua, allora, alla partecipazione, completa.
“Non andiamo in ritiro, andiamo a cena insieme”.
Ecco, memorabile il video di quando si insediò alla Spal, il video con i calciatori. Neanche li ricorda tutti, a caldo, i giovani, ma è normale, proprio per la partecipazione. Tacopina gli lascia la libertà magari di sbagliare, qualcosa, Daniele pensa a far crescere giovani di valore ed è felice nella città degli Este, che abbina cultura e passione e ha in Vittorio Sgarbi uno dei cittadini più illustri di sempre.
Daniele conferma di praticare un mestiere appagante ma, come tanti freschi ex, vorrebbe scendere in campo. “Ma neanche in allenamento riesco bene, sono spesso claudicante”.
In fondo a 39 anni e mezzo potrebbe persino tesserarsi e magari fare il capitano non giocatore, entrare per un quarto d’ora a schermare la difesa, la domanda è di un giovane giornalista emiliano.
Daniele è pronto ad accogliere Nainggolan, che apprezzò alla Roma, anche in certi eccessi, per il belga sarà come tornare all’antico, in Italia si affacciò al Piacenza, il caro vecchio Piace, di Filippo e poi Simone Inzaghi, della squadra tutta italiana, dei Garilli e di gente perbene in panchina, Cagni e Mutti, Materazzi e Guerini, sino al compianto Simoni, che peraltro venne esonerato.
Allenatore di quel Piace era Stefano Pioli, in serie B.
Daniele è qui, ascolta sornione, con la barba e racconta che vorrebbe entrare in campo, che in panchina si frigge. Torna sulla sconfitta nel derby con il Modena, uomo in più e cambio tattico, Valsania difensore centrale e poi avanzato e la Spal scoperta. Mostra come il centrocampo deve stare, in contenimento, a occupare il terreno di gioco al meglio.
De Rossi riflette, a caldo, già assapora la sfida a Claudio Ranieri, neanche nomina il Cagliari.
“Venerdì affronterò potenzialmente mio nonno, come esperienza”. E anche all’anagrafe, quasi, classe 1951 contro l’83. “Non sarei troppo triste se dovessi perdere, per l’affetto che ho per il mister”.
E poi Daniele riconosce. “Tutti gli allenatori hanno molta più esperienza di me, in panchina. Il nome porta solo attenzione, non dà risultati”.
Però dà contatti. Di sicuro Radja, se tornerà in Emilia, lo farà per Daniè.
Abbiamo dimenticato di scorrere tutta la tribuna, a cercare la moglie, Sara Felberbaum, oppure i figli, a parte che non li riconosceremmo.
Di sicuro non c’era Francesco Totti, è strano che non si sia ancora affacciato a seguire l’amico. A meno che non l’abbia fatto a un allenamento al centro sportivo verso Copparo, il Gb Fabbri, l’allenatore del Real Vicenza vicecampione d’Italia nel ‘78, dietro la Juventus, con Paolo Rossi. Gb guidò anche l’ultima Spal in serie B, una trentina d’anni fa, prima dell’èra Semplici.
Daniele è semplice nei modi ma non si accontenta di far il Semplici. Che faceva risultati alla Castori, quasi tutti indietro, anche quando battè in una settimana le due romane e si salvò, il primo anno.
Resta la voglia di serie A, quaggiù. In fondo sono appena 5 punti dal Cagliari, ottavo, ma è improbabile il cambio di passo di una squadra che ha vinto 5 partite su 21 e che ha perso Esposito.
“Non potevo oppormi a un affare per il presidente – sostiene De Rossi – e neanche potrei imporgli di reinvestire tutti i soldi. Mio dovere è evidenziare che abbiamo giovani di valore”.
De Rossi, lo sapete, un giorno allenerà la Roma. Lo chiedono in tanti, sul web. Magari non riuscirà a portarla alla semifinale di Champions league, come Eusebio di Francesco, ma entro i 50 anni potrebbe farcela. I campioni del mondo che allenano in serie B lo sanno. Lui è il favorito per la squadra di cui è stato bandiera, quando sarà pronto. Lui più di Cannavaro per il Napoli, nonostante il Pallone d’oro del 2006 in Cina abbia vinto abbastanza, in panchina.
De Rossi non ha fretta di scalare le vette e di giocarsi una finale, in panchina. Allena, nel centro sportivo dedicato a Gb Fabbri, e di sicuro per i calciatori è un fratello maggiore. Come Gb era il secondo padre di Pablito Rossi, quando venne squalificato. De Rossi entro il 2030 arriva ad allenare in serie A, scommetteremmo. Intanto i ferraresi se lo godono, come personaggio. Come quando avevano Capello e Reja, in campo, e l’argentino Massei. E il presidente era Paolo Mazza, ispiratore dei Colombarini, padre e figlio, alla miglior Spal del millennio.
Da “Ilmessaggero.it”, “Ilgazzettino.it”