Vanni Zagnoli
A 67 anni, Giampietro Ventura è ancora lì, sornione, sulla panchina del Torino. Resterà per la 5^ stagione di fila, la panchina lo tiene vivo. Come il 70enne Reja. A quell’età, all’incirca, Gigi Radice manifestava i primi sintomi dell’Alzheimer, la malattia più diffusa tra gli anziani. Ventura insegue il suo primo successo nel derby, ai granata manca da 20 anni, mentre con Radix, com’era soprannominato dal Guerin Sportivo, se ne aggiudicarono 6. Del resto è stato l’allenatore più fedele del Torino, 375 partite di campionato, più della metà vinte e solo 80 perse: 10 stagioni, dal ’75 all’80 (scudetto subito, l’unico dopo la tragedia di Superga, poi secondo posto a un punto dalla Juve) e dall’84 (secondo, dietro al Verona) all’89.
Radice si è ritirato a 63 anni, dopo avere autografato l’ultima promozione del Monza in B, ai playoff contro il Carpi. A 80 anni combatte una battaglia impossibile, confortato dalla moglie Nerina (79) e dalle figlie Cristina ed Elisabetta: il figlio Ruggero, ex terzino sinistro del Siena, è rimasto in Toscana, nel settore giovanile bianconero.
Ruggero, convive con l’Alzheimer?
“Purtroppo non ha speranze di guarigione”.
Quando è iniziata la malattia?
“Un decennio fa, ma forse avevamo sottovalutato qualche piccola amnesia. Da 5 anni si è aggravata, dopo l’anestesia per l’intervento a un’anca”.
Cammina ancora?
“E’ tornato a muoversi benissimo, il problema è la mente, andata in tilt. Sapevamo che la situazione sarebbe peggiorata, speravamo non diventasse tanto drammatica, ora è stazionaria”.
Come si manifestarono i primi segnali?
“Non si colgono subito, nell’istante in cui te ne accorgi è già troppo tardi: neanche esistono possibilità di miglioramento. E’ stata una mazzata tremenda, soprattutto per mamma, proviamo a fronteggiarla nel migliore dei modi. Purtroppo la degenerazione cerebrale è a un livello tale che non si può essere ottimisti”.
L’Alzheimer fu riconosciuta per la prima volta quasi 110 anni, in Italia ne soffrono 492mila persone. Esistono rimedi?
“Non credo, al di là delle ricerche effettuate. E’ una patologia subdola, fa precipitare nel baratro profondo”.
Vujadin Boskov, allenatore dell’unico scudetto della Sampdoria, nel ’91, si è arreso alla malattia un anno fa, a 82 anni.
“La nostra famiglia è sensibile soprattutto a chi combatte la Sla. Mamma Nerina ammira tanto Chantal, la vedova di Stefano Borgonovo, per la forza d’animo”.
Il mondo del calcio vi è vicino?
“Ci aveva lasciati nell’indifferenza totale. Sino al 2010 avremmo gradito le visite, ora papà riconosce a fatica solo i familiari, per cui non è più necessario andarlo a trovare”.
Perchè un simbolo del cuore granata era stato abbandonato?
“In fondo era uscito di scena nel ’98… Eravamo abbastanza delusi, per il comportamento di chi ci sta intorno. Gli sono rimasti alcuni amici intimi, per il resto sono pochi: qualche ex giocatore granata si fa sempre vivo, assieme ad amici di Torino. Purtroppo papà non è più quel che era, anche per questo era dimenticato”.
Una bella manifestazione di affetto gli è arrivata a gennaio, per gli 80 anni: la maglia autografata dai torinisti di oggi, recapitata dal dg Antonio Comi…
“Ci ha fatto molto piacere, anche papà aveva compreso e apprezzato”.
Da allenatore era soprannominato anche “il tedesco”. Perchè?
“Non aveva un carattere facilissimo, era un sergente di ferro. Rifiutava i i compromessi, proseguiva di testa sua, anche per questo era stato in panchina per 30 stagioni”.
Lei allena le giovanili del Siena, dopo 19 stagioni da difensore.
“Ho sposato una senese e sono rimasto nel calcio. Vivo il dramma di mio padre indirettamente, vado a trovarlo quando torno a Monza. Mamma e le mie sorelle gli sono sempre vicine: il 3 luglio saranno 52 anni di matrimonio; in quella data, ma 10 anni dopo, sono nato io”.
Quella, forse, sarà l’ultima cosa che gli resterà stampata nella memoria.