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La versione integrale del pezzo uscito oggi su Il Giornale, con un grazie a Elia Pagnoni.
Vanni Zagnoli
Piangono tutti (chi più chi meno) e sono lacrime vere, di bandiere ammainate, ovvero cedute.
Avevano cominciato in due, nella finale di Champions league di Berlino, Xavi Hernandez e Andrea Pirlo. Gli basta un quadriennio per ricambiare la storia della Juve, facendo quasi dimenticare il decennio al Milan. Lo spagnolo resta più freddo, entra a un quarto d’ora dalla fine per sollevare la coppa, da capitano, dopo 767 partite con il Barcellona, in 17 stagioni.
Va in Qatar, a lanciare il mondiale del 2015. A centrocampo, 35 anni iniziano a pesare, in Oriente il ritmo scende e i soldi aumentano, Xavi restava centrale, come nella Spagna, con 133 presenze e 18 gol. Ha giocato persino 11 partite con la Catalogna, nazionale non riconosciuta, equivalente dalla nostra Padania, anzi molto più realistica, proponibile solo in amichevole.
Xavi è geometria e tiro, tikitaka, palmares e presenze: 157 in Champions (record, anche nelle coppe), 4 trofei sollevati, al pari solo di Iniesta e Messi, e primati societari connessi. In nazionale, due Europei (nel 2008 da miglior giocatore), un mondiale, persino l’argento olimpico di Sydney 2000, a scapito proprio di Pirlo, eliminato nei quarti, dalla Spagna. Con cui avrebbe dovuto fare strada anche ai mondiali del 2002, senza gli arbitraggi favorevoli ai padroni di casa. Xavi manca già per i capelli corvini punteggiati di gel, la pulizia del tocco e il fallo tattico sagace. Infinite le sue nomination nei best 11, in blaugrana si affacciò nelle giovanili, dal ’91. Uomo franchigia, si direbbe in Nba.
Come Iker Casillas al Real Madrid, 25 stagioni e 725 partite fra i pali. Classe 1981, però abbiamo voluto controllare, perchè è strano che un portiere tanto carismatico venga ceduto a 34 anni. Pensate a Buffon, 37enne all’inseguimento del 6° mondiale e del 4° Europeo. O magari del 5°, in fondo nel 2020 avrà 42 anni e, magari da riserva, potrebbe sbriciolare il mito Dino Zoff.
Casillas sintetizza il madridismo e singhiozza: “Forma uomini con i valori: rispetto, cameratismo e umiltà. Spero che la gente mi ricordi come una brava persona, non infallibile”. Ne risparmiamo il palmares, nelle ultime stagioni era in ribasso: Mourinho e Ancelotti l’avevano messo in panchina per Diego Lopez, sino alla cessione al Milan del lungo guardiano. Iker viene da 167 presenze e 8 grandi manifestazioni con la Spagna (una in più di Xavi), può reggere sino al 2020 e disputarne 11. Intanto si consola con il Porto (non il vino), magari con la fidanzata Carbonero, baciata davanti alle tv dopo il supplementare vincente contro l’Olanda, in Sudafrica 2010.
E poi c’è Bastian Schweinsteiger, l’unico triplettista nella storia delle finali mondiali, nel 2006 in Germania, ma per il 3° posto, sul Portogallo. Il basta di Sebastiano al Bayern avviene a 31 anni, era arrivato a 14, dal 2011 restava spesso fuori eppure aveva conservato il posto al mondiale brasiliano. Va al Manchester United dall’antico maestro Van Gaal, perciò i bavaresi fischiano il presidente Rumminigge, per la cessione. Schwein ha un gioco lineare e fisico, vanta 19 trofei tedeschi ma solo le coppe del triplete 2013, con Guardiola. Con la Germania può raggiungere le 8 grandi competizioni, vuol resistere in rosa sino al mondiale di Russia 2018.
L’unica bandiera sul pennone rimane Francesco Totti, 27^ stagione alla Roma. E’ anche gratitudine per non essere andato al Real Madrid, un decennio fa. Poteva rivaleggiare con i primati di Pirlo, invece lasciò la nazionale da campione del mondo, a 30 anni. Ecco, alla fine forse si sceglie se essere portabandiera di club o nazionale.