Vanni Zagnoli
“Le corse in moto per Genova di pietra”, dice Ivano Fossati, cantautore ligure, ne “La bottega di filosofia”, in Lampo viaggiatore. Già, le corse in moto fuori dai circuiti. Sono un tema annoso del nostro Paese e non solo, la cronaca è piena di pagine tragiche quanto quella di ieri mattina nel Palermitano.
Per commentare il fenomeno scegliamo il più grande campione nella storia del motociclismo, Giacomo Agostini. Il bergamasco si è aggiudicato 15 titoli mondiali (8 nella 500 e 7 in classe 350, che da tempo non esiste più). Vinse 123 gare, altre 39 volte salì sul podio, solo in 28 competizioni non era riuscito a finire tra i migliori tre.
“Ago”, ieri mattina a Cinisi si è verificato un morto e un ferito grave. Due ragazzi erano a bordo di uno scooter, si sono scontrati con un’auto…
“Non c’è rimedio possibile – racconta l’ex fuoriclasse del volante, 73 anni, bergamasco -, se due persone vogliono andare in giro e farsi del male, cosa possiamo farci?”.
Il 22enne ai comandi è finito sotto la Bmw, scontrandosi con l’auto dei carabinieri, ferma al posto di blocco.
“Sappiamo tutti, per esempio, che in autostrada c’è il limite dei 130, mille volte si raggiungono anche i 180. Anche sulle strade normali ci sono i limiti, 50, magari 70, poi tutto va calibrato in base alla pericolosità del tracciato, con attenzione anche alle condizioni del manto stradale”.
Come si può cambiare la cultura della guida, per evitare pericoli?
“Non è facile, perchè è l’uomo a volere così. Chessò, ci si trova con un amico al bar, senza pensare ai rischi lo si sfida nei minuti successivi, fregandosene della morte, quasi sfidando anche lei. Capiterà sempre che affiori questo tipo di improvvisa volontà, fra due o più persone”.
Ma non si può fare proprio nulla, per evitare Fabrizio Cinà sia morto inutilmente?
“Da tempo l’Aci e non solo sono impegnate per diffondere la pericolosità di certe manovre. E’ importante che il mezzo sia messo a punto, chiunque peraltro legge le insidie di certe situazioni, sui giornali o sul telefonino. Su tutte le strade inaccessibili compare il divieto di accesso, oppure il limite di velocità. O, ancora, sono evidenziati i punti pericolosi”.
L’unica alternativa sono i circuiti?
“Esattamente, rappresentano il solo posto deputato a quel genere di competizione. Tanti ragazzi vanno in quei tracciati, si divertono sfogandosi. Esistono piccole piste in tante città, anche al Sud. Li si può girare, persino da soli o in un piccoli gruppi: la pista è a senso unico, dunque non c’è il rischio di un incidente frontale con un mezzo che arriva nell’altro senso. E poi esistono le protezioni, dunque si può anche cadere senza farsi troppo male”.
Ci sono anche in Sicilia?
“Intanto la pista di Pergusa è storica, per il nostro sport. E quattro anni fa ero stato alla posa della prima pietra per la riqualificazione del circuito di Siracusa. C’erano anche il ministro Stefania Prestigiacomo e l’ex costruttore di Formula Uno Giancarlo Minardi. Temo però che i lavori non siano mai decollati, non ho più sentito nulla”.
Le sfide fra moto e auto, come quella che ha mandato Vincenzo Siragusa in ospedale a Villa Sofia, in gravissime condizioni, sono più pericolose, rispetto alle gare fra sole motociclette?
“Anche in auto, se venissero coinvolte proprio due auto, il principio è lo stesso. Prudenza, evitare di esagerare”.
Quali precauzioni si devono adottare?
“Indossare sempre il casco e la tuta, i guanti e gli stivali, senza dimenticare il paraschiena”.
A lei è mai capitato di sfidare qualcuno, fuori dalle piste?
“Giusto da ragazzino, negli anni ’50, nella Bergamasca. Poche volte, per la verità, ma raccogliendo l’invito di altri giovani. E’ una cosa che si fa, magari a 15-18 anni. Ti incontri per desiderio di antagonismo, per una garetta improvvisata sui 2 chilometri. Esistono sfide che si fanno sempre, da ragazzi”.
Vincenzo Siragusa, per la verità, ha 30 anni.
“Ecco, a quell’età si dovrebbe essere un po’ più maturi, assolutamente”.
Lei ricorda piloti o ex che abbiano fatto incidenti per strada, magari raccogliendo sfide lanciate di gente comune?
“No, perchè chi gareggia in pista, tantopiù per professione, non ha bisogno di farlo in strada”.
Quali sono i percorsi più ricercati?
“Le curve, perchè danno adrenalina. A 2 o a 4 ruote il principio non cambia. Piacciono le strade tortuose, in salita, magari attorno a un lago. Sono percorsi impegnativi, nei quali chi vince mostra di essere veramente il più bravo”.
Com’era lei. O Valentino Rossi l’ha superata?
“Beh, Vale è ancora in gara. All’epoca, mia, peraltro, c’era l’abitudine di competere in due categorie, 350 e 500, anche per questo il mio palmares è superiore”.
Per i guidatori della domenica rappresentate un punto di riferimento, ma è meglio non emularvi?
“Già, solo in pista. Su strada non si fa, a prescindere dall’esperienza individuale al volante”.
vzagn