L’Argentina è la nazionale più talentuosa del Sudamerica, dopo il Brasile, eppure dall’86 perde regolarmente. Vinse il mondiale del ’78 in casa grazie ai favori procurati dal regime: sospetto il comportamento del Perù, mentre in finale l’astigiano Gonella penalizzò l’Olanda. Otto anni più tardi, la mano de Dios, di Maradona, celebrata anche in film, quel gol di mano contro l’Inghilterra e poi il gol più bello, con la serie di dribbling. Da allora la sequenza di mancate vittorie è impressionante: finalista a Italia ’90, battuta da un rigore inesistente, dalla Germania; fuori agli ottavi nel ’94, con Maradona dopato, ai quarti nel ’98, addirittura al primo turno nel 2002; due volte ai quarti e poi la finale persa al supplementare contro la Germania. In Copa America, quarta nell’87, quindi bronzo, due ori ma dal ’95 solo delusioni: tre uscite ai quarti in fila, due finali perse (una rovinosamente con il Brasile), un’eliminazione ai quarti, due finali perdute ai rigori con il Cile. Tutto questo nonostante la miriade di talenti spesso nel nostro campionato, in particolare all’Inter, e una popolazione di 43 milioni, dunque una base amplissima rispetto per esempio all’Uruguay. Alle volte era sbagliato il ct, come Daniel Passarella: nel ’98 aveva probabilmente la nazionale più forte, con Crespo e Balbo, eliminò l’Inghilterra ai rigori ma si fece battere 2-1 dall’Olanda, senza gioco. Gli unici titoli sono arrivati con il filosofo Menotti e Bilardo, le 2 cope con Alfio Basile. Emblematico un 4-3-1-2 all time: Fillol; Zanetti, Ruggeri, Passarella, Tarantini; Burruchaga, Batista, Simeone; Messi, Maradona, Kempes.
Vanni ZagnoliDa “Il Gazzettino”