http://archiviostorico.gazzetta.it/2015/aprile/16/PARMA_STORIA_NON_TUTTA_FAVOLA_ga_0_20150416_df9782d0-e3fc-11e4-a7bf-9be4d19408d5.shtml
Il pezzo di Roberto Beccantini uscito la scorsa settimana. Sempre una bella lettura.
Di Roberto Beccantini
Il calcio, che sta allo sport come la polmonite ai polmoni, non finisce di stupire. Quando non era ancora fallito, il Parma si presentò a Torino, nella tana della Juventus, e ne venne umiliato: 7-0. Era il 9 novembre. Roberto Donadoni schierò: Mirante; Costa, Lucarelli, Felipe; Rispoli, Acquah, Lodi, José Mauri (9’st Mariga), De Ceglie (1’st Gobbi); Cassano (19’st Belfodil), Ghezzal. Adesso che è fallito, e si regge sulle stampelle dell’orgoglio e della «pietas» collettiva, quel Parma lì, dai padroni squinternati e la rosa saccheggiata, ha ospitato la Juventus e le ha inflitto la seconda sconfitta in campionato: 1-0, cioccolatino di José Mauri.
Era l’11 aprile: Mirante; Mendes, Santacroce (35’st Cassani), Feddal; Varela, José Mauri (37’st Lila), Jorquera, Nocerino, Gobbi; Belfodil (40’st Prestia), Ghezzal.
Distratta dal Monaco, fu una Juventus molto di scorta e molto pigra ma questi, come si dice in gergo, sono «cavoli» di Massimiliano Allegri. Veniamo al dunque: se fossi un tifoso del Parma, non sarei così prodigo di coccole e grigliate. Mi farei spiegare, piuttosto, quei mesi di calvario agonistico, la siccità di risultati, i sei rovesci che tra settembre e ottobre, periodo in cui dai giornali e dallo spogliatoio non filtravano notizie inquietanti, spezzarono il morale e piegarono la classifica.
Gli stipendi non corrono dall’estate scorsa, tutto si sa delle macerie che ha lasciato Tommaso Ghirardi e della fine che ha fatto la ruspa, Giampietro Manenti. Penso ai dipendenti del club, soldati Ryan che l’epica ignora fino a quando la cronaca non diventa storia, e la storia, come in queste circostanze, sfugge a se stessa. Ma basta guardarsi indietro, e pesare quel pacco di orrende prestazioni sulla bilancia della piccola riscossa, per agitare il lusso del dubbio: al netto delle imboscate del destino, degli infortuni, del caos aziendale e delle cicatrici di mercato, era davvero impossibile svegliarsi prima?
Gli italiani danno il massimo nelle situazioni più scabrose. Lo ha ricordato anche Arrigo Sacchi, tra le righe di «Calcio totale», la biografia che ne celebra la scintilla della carriera. Proprio a Parma, Arrigo accese il laboratorio che avrebbe sedotto Silvio Berlusconi. I Mondiali del 1982, con Enzo Bearzot c.t., li vincemmo sulle ceneri di uno scandalo, il «totonero», che aveva falciato la meglio gioventù, a cominciare da Paolo Rossi.
L’edizione del 2006, con Marcello Lippi al timone, la conquistammo sullo sfondo di Calciopoli, in un girotondo di maestri che, indignati, invitavano a tifare per il Ghana.Le motivazioni sono taniche di benzina. Spesso, fanno la differenza. E, come ha scritto Andrea Schianchi sulla «Gazzetta», «questo inaspettato rinascimento parmigiano non è figlio del caso, ma della pulizia che è stata fatta nell’ambiente». Poiché ne condivido il senso, trovo inspiegabile il disastro del girone d’andata.
Non si tratta di ridurre la portata della vittoria sulla Juventus, che non perdeva dal 29 ottobre, a mero episodio. Al contrario, si parte proprio dal bingo di sabato per analizzare un bilancio che lo spirito e la stoffa del branco avrebbero potuto rendere meno tribolato. Gli avversari con cui competere erano Cesena e Cagliari, Atalanta e Chievo: non Barcellona o Real Madrid.Il Parma di Donadoni ha strappato quattro punti all’Inter, liquidato la Fiorentina, battuto la Juventus, bloccato la Roma all’Olimpico dopo aver perso in casa solo all’ultimo minuto, per una diavoleria balistica di Miralem Pjanic. Usiamo pure il termine fiaba. Senza però dimenticare che, per metà stagione, molti giocatori furono orchi, non fate.
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