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Vanni Zagnoli
“Ehi, Spallettone”, lo chiamò due anni fa Mourinho su Dazn. Memorabili i loro confronti quando lo special one allenava l’Inter e Luciano la Roma.
Ebbene, Spalletti adesso è ct della nazionale.
Alla fine l’irriconoscenza del presidente Aurelio de Laurentiis per il terzo scudetto del Napoli, il primo per entrambi, si è trasformata nel lasciapassare naturale per la panchina azzurra, la più ambita da un italiano. Resta da appianare la clausola dell’anno sabbatico che avrebbe dovuto prendersi, con i club, in particolare, c’è una battaglia legale, per 3 milioni.
“Non sono niente per il Napoli – ha precisato De Laurentiis -, ma in federazione sono dilettanti”.
In realtà è il presidente del Napoli che da anni fa firmare un doppio contratto ai tesserati, sportivo e sui diritti di immagine, tant’è che generalmente ogni trattativa significativa subisce uno stop, sulla linea del traguardo, per le complicazioni messe dal presidente. “Sono abituato ai personaggi di spettacolo, figurarsi se mi faccio sorprendere dagli sportivi”.
Il presidente federale Gabriele Gravina guadagna mezzo milione di euro l’anno, è imprenditore, da presidente fu artefice del miracolo Castel di Sangro, arrivato persino a una salvezza in serie B, nel ’97, e nel piccolo paese abruzzese il Napoli dal dopo Covid chiude il ritiro. Strano adesso sentire distonia fra questi due presidenti.
Chissà quanto durerà, invece, la sintonia dialettica fra Gravina e Spalletti, dal momento che il nuovo ct è particolare, nelle analisi, alla vigilia come a caldo, mischia ironia toscana e voglia di approfondire, al punto da essere bersagliato dagli imitatori, che ne accentuano naturalmente l’involontaria comicità.
A Spalletti piace bucare lo schermo, l’ha fatto anche a Sky, a Calciomercato l’Originale, nell’ultima sua apparizione in video, in cui spiegava di essersi preso un anno per dedicarsi alla figlia di 13 anni, Matilde. Che aveva 5 anni quando perse i nonni materni, Piero e Giovanna Angeli, deceduti lo stesso giorno a poche ore di distanza. I due erano i genitori di Tamara, la moglie dell’allenatore di Certaldo.
La coppia sta insieme da 50 anni, viveva a Lerici, in Liguria, dove Spalletti, all’epoca a Roma, accorreva per stare accanto ai suoi cari. Tre anni dopo un altro lutto, la morte del fratello maggiore Marcello, scomparso nel 2019 a 66 anni, dopo una lunga malattia. In quei giorni, l’Inter lo liquidava per Antonio Conte, che ora era l’alternativa per la nazionale.
Conte è un grande tecnico ma difficilmente i ritorni sono migliori delle prime avventure, avrebbe faticato a convincere di più rispetto a quel quarto di finale agli Europei del 2016, perso ai rigori con la Germania campione del mondo.
Spalletti ha altri due figli: Samuele (nato nel 1992) è avvocato, Federico (del ‘95) detto Chicco, è un musicista. “Samuele è sensibile bestione“, diceva il papà. Si è laureato con il massimo dei voti in giurisprudenza alla prestigiosa Luiss di Roma nel 2019, con una tesi in diritto bancario. Si è trasferito a Milano per lavorare allo Studio Gattai, Minoli, Agostinelli & Partners, segue la trattativa del padre con De Laurentiis e dunque anche la sua uscita dal Napoli. “Federico è un chitarrista autoritario”, sottolineava il papà. Recentemente si è diplomato osservatore al centro tecnico federale di Coverciano.
Spalletti e la moglie Tamara vivono nella zona del Chianti, in Toscana, dove gestiscono l’agriturismo La Rimessa.
In una delle sue case, Luciano ha una collezione unica, di maglie di campioni che ha allenato o anche di avversari.
Come ricordava alla Domenica Sportiva Adriano Panatta, “Spalletti è un duro”.
Sarà diverso rispetto a Roberto Mancini, calciatore a livelli decisamente più elevati e anche 5 anni più giovane di Spalletti e più vicino alla sensibilità dei calciatori. Spalletti si è lasciato male con Francesco Totti, irrispettandolo nell’ultima stagione da calciatore, il 2016-17, di fatto inducendolo al ritiro, a 41 anni, alla Roma, con Mauro Icardi, all’Inter, e un po’ meglio con Lorenzo Insigne, al Napoli.
Il “rinnovo di Totti ve lo puppate voi, non me lo puppo io”, disse un giorno ai giornalisti, a Roma. Un’altra volta mostrò il disco di Mia Martini (Piccolo Uomo), in video a Ilary Blasi, come risposta alle accuse dell’allora moglie del capitano. Spalletti e Totti erano passati dalla riconoscenza reciproca al risentimento.
All’Inter, nel primo anno di Spalletti allenatore, Icardi segna 29 gol. Poi si parla del rinnovo del contratto, della moglie Wanda Nara anche agente, della sua scarsa professionalità, mischiando social e protagonismo, fascino e richieste, tv il lunedì sera su Italia1, sempre della signora, a difendere Maurito. Ora Wanda Nara avrebbe una forma di leucemia, secondo quanto scrivono in Argentina, la sua salute spaventa i familiari e i follower.
All’epoca Spalletti levò la fascia di capitano a Icardi, in favore di Handanovic, che la tenne sino a metà dell’ultima stagione. Escluse l’argentino dalle convocazioni per un paio di gare, poi fu Icardi a fare storie, a sostenere di essere infortunato, alla fine poi venne ceduto e iniziò comunque la sua parabola discendente, nonostante la cessione al Paris Saint Germain.
Per Spalletti il club viene prima della bandiera, sarà così anche in nazionale, con quel mix di provocazioni, ironia toscana e attimi di frustrazione. Risposte che in conferenza stampa sono sempre articolate, a volte difficili da decrittare. Con Insigne andò un po’ meglio, anche se il capitano del Napoli sapeva con 6 mesi in anticipo che sarebbe andato a Toronto e progressivamente perse spazio. Dall’addio suo, di Koulibaly e di altri big è nato il Napoli del terzo scudetto.
Come sarà la nazionale di Spalletti?
In porta, Donnarumma, come vice Meret, poi Vicario, passato al Tottenham.
In difesa, Di Lorenzo a destra, Bastoni al centro, Dimarco a sinistra. E’ difficile che Spalletti punti su Acerbi come secondo centrale, considerati i 35 anni, rinuncerà sicuramente a Bonucci, mentre Darmian può fare il centrale solo a 3 e Toloi dell’Atalanta è in fase calante e Scalvini, pure dei bergamaschi, a 19 anni a nostro avviso è troppo giovane per essere già titolare. A sinistra quando sta bene Spinazzola è più di un’alternativa.
A centrocampo, Barella è la certezza, l’altra è Tonali, il terzo potrebbe essere uno degli esperti, Jorginho o Verratti. In avanti, potrebbe proseguire con Immobile, affiancato da Berardi e Chiesa, di sicuro deve puntare su Zaccagni, almeno a partita in corso. Alternative per il centrocampo sono di lusso, con Frattesi, Lorenzo Pellegrini e appunto Jorginho o Verratti, lo stesso Locatelli, che iniziò l’Europeo da titolare. In avanti anche Raspadori e Politano, come centravanti Scamacca, nonostante l’ultima stagione negativa, e Retegui. Come si vede non dovrebbe cambiare tanto, rispetto a Mancini.
E qui, allora, ritorniamo sull’addio del Mancio.
Sul suo addio, hanno inciso i dissapori per la riorganizzazione dei quadri tecnici, l’amarezza per l’addio di Evani, il suo vice. Dello staff di 5 uomini che aveva è rimasto solo Fausto Salsano.
Intanto consideriamo come ha gestito i momenti critici nella carriera da allenatore. Alla Fiorentina era subentrato e retrocedette, poi la società ripartì dalla serie C2, per il fallimento di Vittorio Cecchi Gori e dunque non poteva restare.
All’Inter Moratti gli preferì Mourinho per fare strada in Champions, nonostante avesse vinto scudetti e avesse sempre sostenuto che sarebbe rimasto. Il ritorno all’Inter fu negativo, un biennio deludente, lasciò ad agosto anche allora, nel 2016, per gli attriti con il presidente Thohir.
In nazionale, aveva resistito all’idea di dimettersi dopo l’eliminazione con la Macedonia, il presidente federale Gravina l’aveva convinto a restare. Anche dopo la semifinale persa con la Spagna, in Nations league, sembrava sul punto di lasciare. Era stato nominato coordinatore di tutte le nazionali giovanili, non è bastato. Anche la scomparsa di Gianluca Vialli ha inciso, da team manager aveva contribuito al titolo europeo, come ha raccontato nelle interviste a Repubblica, a Il Messaggero e dunque al Mattino di Napoli e a Il Gazzettino.
Non sono d’accordo con Alberto Rimedio, che alla Domenica Sportiva ha parlato di troppi giorni, 8, passati fra la rivoluzione dei quadri tecnici e le dimissioni di Mancini.
Non è questione di irrispetto, Roberto non era convinto, ci ha pensato a lungo, in compagnia di Silvia Fortini, avvocatessa che aveva curato il suo divorzio, e anche moglie.
L’addio all’Italia non può essere deciso in poche ore, Mancini non era convinto, ci ha riflettuto in vacanza, in Francia, aveva chiesto a Gravina di levare la clausola che prevede la rescissione del contratto del tecnico se non si fosse qualificato per Euro2024. “Sarebbe stato un gesto di piena fiducia – osserva Mancini -, per lavorare più tranquillamente”. “Non posso – gli ha risposto Gravina -, perchè non vorrei lasciare in eredità a chi verrà dopo di me alla presidenza federale un contratto in essere con un ct che poi dovrebbe essere cambiato”.
Il 9 settembre l’Italia va in Macedonia, a Skopje, e poi affronterà l’Ucraina a San Siro, due sfide da vincere.
Mancini non poteva lasciare la nazionale a cuore leggero, anche perchè non è come nei club, che magari poi si viene richiamati, a distanza di anni.
Certo ha responsabilità nei confronti degli italiani, ma ha vinto l’Europeo del 2021, anche se con fortuna, ha un bilancio di risultati con vari primati, ha perso “solo” – ovviamente è tantissimo – una qualificazione al mondiale. Adesso è libero di andare in Arabia Saudita, per 40 milioni di euro a stagione, per un contratto triennale. Se accetta, lo ufficializzerà il più tardi possibile, per evitare che si dica che ha tradito l’Italia per i soldi.
Non sarebbe da Mancini e io mi auguro che non vada a fare il ct dell’Arabia, proprio per dimostrare a tutti che non è il motivo principale. E se anche fosse merita rispetto. Certo sul ct dell’Italia ci sono sempre grandi attenzioni, il suo lustro è stato da quasi 8, per i risultati, con due semifinali di Nations league e la costante ricerca del bel gioco.
Infine, tutta l’ironia dell’addio tramite pec, posta elettronica certificata, stigmatizzato da Maurizio Crosetti su Repubblica e da Eraldo Pecci sulla Rai. “E’ prassi, adesso”, ha spiegato Mancini. L’ha fatto anche il Napoli con Spalletti, per tenerlo fermo un anno.
“Soprattutto – diceva bene Mancini -, se il presidente avesse davvero avuto piena fiducia in me poteva respingere le dimissioni”.
Non l’ha fatto. E così tocca a Spalletti, a 64 anni. La stessa età di quando venne incaricato Cesare Maldini. E Ventura ne aveva 68. Spalletti potrebbe potenzialmente reggere sino al 2032, quando l’Italia organizzerà gli Europei assieme alla Turchia, quando avrà 73 anni.
La prima stesura dell’articolo pubblicato su “Enordest.it”