Enordest.it. Senza Carletto sarà un calcio meno umano

(enordest.it)

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Vanni Zagnoli

Sabato se n’è andato Carlo Mazzone, a 86 anni. Lo pensavo pochi giorni prima, ricordo le mie telefonate alla moglie, l’unica che avevo registrato è questa. 

La signora Maria Pia lo teneva in forma, anche mentale. “Usciamo almeno una volta al giorno, fra Ascoli e i parenti”.

Lunedì i funerali, ad Ascoli.

Qui aggiorno il racconto pubblicato su assocalciatori.it, per gli 80 anni del Sor Carletto.

Ha festeggiato allo stadio Cino e Lillo Del Duca di Ascoli e poi in famiglia, come sempre. Con la moglie Maria Pia, che gli fa da segretaria, e con i figli: Massimo, diplomato Isef, geometra che costruisce appartamenti, e Sabrina, che dopo avere frequentato le magistrali gestisce un negozio di abbigliamento, senza peraltro ospitare cimeli del padre.
E poi ci sono i nipoti: Vanessa, figlia di Sabrina, Cristian e Alessio, che ha 26 anni e gioca a calcio, e persino la bisnipote, Iole. Perchè il sor Carletto è proprio bisnonno.

Iole è intervenuta qualche mese fa su Vera Tv, con la quale ho collaborato cercando ospiti per Riccardo Este. 

Torno al racconto di Mazzone di 6 anni fa.
“Abito con mia moglie – raccontava -, ad Ascoli, nel quartiere Monteverde, a 5’ di macchina dallo stadio. Per tenermi in forma esco tanto, cammino, andiamo spesso fuori a pranzo”.
“E’ una buona forchetta – si inserisce la moglie -, ama la cucina semplice, spesso cucino io”.
Hanno una casa al mare, a San Benedetto del Tronto, e un appartamento in montagna, a San Marco.
Mazzone è romano, ma ascolano d’adozione, il più grande personaggio locale, dopo la morte del presidente
Costantino Rozzi, scomparso nel ’94. Assieme firmarono la prima promozione e la prima salvezza dell’Ascoli in serie A, nel ’75, e poi il 6° posto, secondo miglior risultato nella storia marchigiana, nell’81-82, dietro soltanto al 4°, autografato due anni prima da Gb Fabbri.

Un anno fa ho proprio incontrato ad Ascoli Antonella Rozzi, una delle figlie del presidentissimo

A Mazzone arrivano cori dallo stadio Dall’Ara, perchè allenò il Bologna in tre occasioni: fu esonerato nell’85, retrocedette nel 2005, ma in mezzo firmò la miglior stagione rossoblù da 40 anni a oggi, con le semifinali di coppa Italia e Uefa, nel ’99.
Il sor Carletto è rimasto anche nel cuore dei tifosi della Fiorentina per il 3° posto del ’77 e soprattutto del Catanzaro, per le prime due salvezze consecutive conquistate in A. E poi a Lecce (promozione e due permanenze) e al Cagliari (6° posto e qualificazione Uefa), ma ha fatto benissimo anche a Perugia (10° e poi scudetto levato alla Juve, nel 2000) e a Brescia (finale di Intertoto, con Toni e Baggio).
“Assieme a Totti – spiegava -, Roberto è stato il migliore che abbia allenato”.
Mazzone mai ha discusso il capitano, consapevole del lusso che rappresentava, per il presidente Corioni. “Idem Guardiola. Ed è un orgoglio che abbia ricordato pubblicamente i miei 80 anni. Gli ero già grato per avermi invitato allo stadio Olimpico per la Champions vinta col Barcellona nel 2009”.
Nel profluvio di auguri spiccava il messaggio su facebook di Totti. “Mister, ci siamo conosciuti che avevo 16 anni, ero un ragazzino! Mi hai fatto crescere come uomo e come calciatore. Mi hai difeso, mi hai spronato e mi hai fatto tenere la testa sulle spalle ad un’età difficile. Chissà come sarebbero andate la mia carriera e la mia vita se non ci fossi stato tu… Ma ci sei stato e io mi sento fortunato, onorato ed orgoglioso di aver conosciuto una persona splendida come te che non smetterò mai di ringraziare! Ci vorrebbero tanti Carletto Mazzone anche nel calcio di oggi! Auguri per i tuoi “primi” 80 anni!”.
Fra i numeri 10 allenò anche Giancarlo Antognoni, quando era all’inizio. Ha collezionato 795 panchine in serie A, è il record. Era stato centrocampista, dal 1958 al ’68, con esordio in A nella Roma. Poi ha indossato le maglie di Spal, Siena e Ascoli. Nel 2002 gli consegnarono la panchina d’oro alla carriera, ha smesso nel 2006, a Livorno, in A, poi rifiutò l’offerta del Frosinone, in B. “La gavetta l’ho già fatta”, sorrise all’epoca.
Carletto era l’icona di se stesso, trasteverino nella parlata, fisicamente esuberante e gesticolante, splendido attore dialettale alla Mario Brega.
Se a Torino c’era Trapattoni, lui era proprio il Trap dei poveri, re di provincia, in panchina per 38 stagioni. Ad Ascoli e alla Fiorentina aveva come preparatore un grande ascolano, scomparso da poco, il professor Carlo Vittori. E là vinse il torneo di Capodanno, disputato all’epoca del terremoto in Irpinia, nell’81. Nel palmares aveva pure una coppa di Lega italo-inglese, vinta con la Fiorentina nel ’75, e l’Intertoto con il Bologna, del ’98, con Signori, rinato a 30 anni, dopo l’addio alla Lazio.
Allenò Antonio Conte, che caratterialmente gli somiglia, e Claudio Ranieri, un Mazzone salito di classe e imborghesito. Assieme allo scomparso Franco Sensi, veniva imitato da Teo Teocoli e dalla Gialappa’s band. Lo chiamavano Sor Carletto ed Er Magara, dall’espressione romana.
Scrivette bene Fabrizio Bocca, su repubblica.it: “Mazzone sta al calcio come Renzo Montagnani e Lino Banfi stanno al cinema di genere, come Albano sta alla canzone tradizionale italiana, come Corrado sta alla tv di intrattenimento. Sposta in avanti gli anni ’80 e ’90, recitando insieme al suo gemello Trapattoni il primo grande reality del pallone. I due strizzano l’occhio, semplificano e spettacolarizzano il linguaggio, recitano loro stessi, vanno a braccetto non solo col curvarolo ma soprattutto col tifoso della domenica sbracato in salotto”. “A Varriale, lo sai che c’ho amici a Roma, ho saputo che t’hanno fatto fuori… E’ la dimostrazione che il calcio è una meravigliosa commedia umana”.
Culminata domenica 30 settembre 2001 con la corsa furiosa sotto la curva degli ultras dell’Atalanta, che gli offendevano la madre e lo insultavano, dopo i due gol del 3-3 di Baggio. “Se famo 3-3 vengo sotto la curva!”. Lo fece davvero, allontanando il team manager Edoardo Piovani.
Per tutto questo e per tanto altro ancora Mazzone resta un mito per tanti, non solo per i calciatori.

Di Mazzone parlò grazie a noi sempre a Vera tv e a una catena di tv nazionali anche Ezio Luzzi, l’icona di radio Rai, sino a 15 anni fa.  

Io lo seguii al Bologna, nella seconda e nella sua terza parentesi, rammento il rapporto speciale con Beppe Signori, con cui vinse la coppa Intertoto e poi arrivò in semifinale di coppa Uefa e di coppa italia, nel ’99. 

Da facebook, qualche ricordo di Roberto Beccantini, oggi editorialista de Il Corriere dello sport.

“Di Baggio Mazzone disse che, senza quei legamenti sfatti e rifatti, sarebbe stato un altro Maradona. Di scuola italianista, attento ai cambiamenti, non chiuso in sé stesso. A zona o a uomo a seconda delle esigenze e non delle mode. Figlio del suo tempo e del suo personaggio, fin troppo, ma non schiavo. Ci vorrebbe l’elenco del telefono per ricordare tutte le squadre che ha pilotato. A Brescia, in anticipo su un altro Carlo, Ancelotti, arretrò Andrea Pirlo da mezza punta a regista (o play basso, per usare la terminologia moderna). 

Con 792 gettoni detiene il record di panchine in serie A. Vuota la bacheca, non la carriera. Era lui il mister del Perugia che batté Madama e consegnò lo scudetto alla Lazio, tra Calori, rancori e piscine.

Ombre e luci. A Firenze fu indagato e prescritto per la morte sospetta di Bruno Beatrice. Durante un Torino-Fiorentina 4-3 del 1976, dopo il terzo gol, il più bello, si alzò dalla panca per complimentarsi con l’autore, Puliciclone in carne e dribbling. Una stretta di mano che fece il giro di molti cuori. Era il Toro che avrebbe vinto il titolo: il più grande dopo il Grande Torino.

A furor di popolo: era il suo motto. Sotto il dialetto, tanto”.

Gli ultimi aneddoti li distilliamo da Repubblica, a firma Gianluca Moresco, giornalista che l’ha seguito alla Roma.

“Trasteverino puro, di vicolo del Moro, la parlata da quartiere con le lettere raddoppiate e la erre strascicata: «Santa Maria in Trastevere per me era il Bernabeu, da ragazzino era lì che ci si sfidava». Dai sanpietrini del centro alle giovanili della Roma, due presenze in Serie A in giallorosso, poi la Spal, da calciatore.

Da allenatore, della Roma, nel Natale 1994 convocò i giornalisti che seguivano gli allenamenti tutti i giorni. Si presentò con una serie di scatole: «Spesso mi fate incazzare, ma siete gente che lavora duro, abituata a macinare chilometri di marciapiede per una notizia e allora ho pensato di regalare a tutti un paio di scarpe. Potrò dire tutta la vita di aver fatto le scarpe ai giornalisti». Sì, un paio elegante, modello Church’s. Carlo era fatto così, un gesto simbolico per dire: «Ci siamo capiti».

Nella Roma ha incarnato una triade impossibile: tecnico, tifoso e padre dei giocatori. Quando si presentò a Trigoria nell’estate 1993, voluto da Franco Sensi, gli occhi brillavano dall’emozione, l’impatto shock. Cominciò la stagione in vestito grigio, giacca e pantaloni da manager che deve gestire un cda. Invece era lì che si sbracciava a ogni tocco del pallone. A fine partita era trasfigurato, la camicia uno straccio, la giacca da buttare, le scarpe di cuoio macchiate da erba e terra: «Dalla prossima torno in tuta. Mi hanno chiamato per essere Mazzone, altrimenti chiamavano uno più bello».

Con i tre punti a vittoria si era trovato costretto ad aprire i suoi schemi a un gioco meno fisico e che di fatto gli ha regalato le più belle soddisfazioni della sua carriera. Moriero, Oliveira, Bisoli, Pusceddu, Cappioli e Francescoli sono la spina dorsale di quel Cagliari che nel 1993 finìsesto, arrivando in Europa. È il successo che spalanca a Mazzone le porte della sua Roma.

Gli raccontano la favola di un fenomeno biondo, un ragazzino che fa diventare matti quelli più grandi. Che a 16 anni Boskov aveva già voluto far esordire in A, un novello Rivera con un fisico già da uomo. Mazzone aveva chiesto dettagli tecnici e poi aveva deciso di lasciar perdere, di non ascoltare: lo voleva vedere di persona giorno per giorno. Nasce così la convocazione di Totti a 16 anni al ritiro di Lavarone. Un allenatore e un sedicenne. In quello spogliatoio, un padre e un figlio. Sensi, che già sognava lo scudetto, si presentò da Mazzone: «Carlo, miconsigliano di prendere Litmanen, che faccio?».«Presidente, perché buttare i soldi, abbiamo il ragazzino». Intuito, esperienza, lavoro e una grandissima empatia. 

Mazzone trasformava il suo ambiente in una famiglia. Leonardo Menichini, il suo vice storico, era un confidente, con cui dividere le cene al lago di Nemi dove Carlo amava rifugiarsi. 

Maggio 1994, la Roma ha un’ultima possibilità di arrivare in Europa: il Parma deve vincere la finale di Coppa delle Coppe contro l’Arsenal. Quel giorno il tecnico disse al gruppo di giornalisti: «Ci giochiamo l’Europa, siete invitati a casa mia ad Ascoli: la partita se volete la vediamo insieme». Vinsero gli inglesi: sull’uscio di casa Mazzone regalò a ciascuno una scatola di olive ascolane. «Pensavo fossero buone per festeggiare. Sono buone comunque».

E poi la sfuriata in Brescia-Atalanta, sotto la curva. Mazzone torna indietro e guarda l’arbitro Collina, non aspetta il rosso, gli dice solo: «Lo so, me ne vado». Squalificato per cinque giornate. Il giorno dopo dirà: «Ne è valsa la pena». Ciao Carlo, conoscerti in quegli anni di Roma è stato un privilegio.

La chiosa di Gianluca Moresco non è così consueta, su un quotidiano del livello di Repubblica. 

Lo diciamo anche noi. Che quando andammo ad Ascoli, un anno fa, parlammo con Roberto Benigni, il consuocero. Intervistato un decennio fa per Libero, ci rivelò l’indirizzo della strada dove vivono le famiglie di Mazzone, la figlia Sabrina preferì non scendere. La privacy prima di tutto e allora non insistemmo.

La prima stesura dell’articolo pubblicato su “Enordest.it”

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