Giovan Battista Fabbri aveva tre figli: Elena, 62 anni, e due gemelli di 57, Giulio e Giorgio. Abitano ancora a Chiesuol del Fosso, in provincia di Ferrara, nel paese di sempre dell’allenatore che più valorizzò Paolo Rossi.
Elena, per voi Pablito era davvero di famiglia.
“Già, una scomparsa davvero terribile. Dall’ultima volta che lo aveva sentito è passato un po’ di tempo, era venuto lui a Ferrara nel 2017, a maggio ci eravamo sentiti, poi per messaggio. Quando citava il papà in un’intervista mi mandava un messaggino e io rispondevo dicendo se avevo letto. Ogni contatto era sempre molto sentito, il silenzio sottintendeva problemi di salute che non conoscevamo”.
Ufficialmente era stato operato di ernia al disco.
“Poi mi avevano parlato di peritonite. Qualcosa sapevamo perché sono in contatto con i ragazzi del Real Vicenza, ma nulla lasciava immaginare una fine tanto repentina. Qualcuno mi aveva segnalato che non stava benissimo, io non ci avevo dato peso, dal momento che è sempre stato pallido, adesso ho capito che cosa intendevano”.
Se chiude gli occhi, qual è il ricordo più bello?
“Riemerge papà Gb, tecnico di quel Real Vicenza. Rammento quando ridevano e scherzavano, mio padre ha sempre ricordato tutti i suoi giocatori e viceversa. Con Paolo però aveva un rapporto speciale, confermato da un allenamento con i palloni. Paolo sorride, è un’immagine rimarrà in mente a tutti. Aveva un sorriso veramente bello, accattivante, sincero”.
Flash speciali?
“Una volta a casa nostra restò tanto tempo, a insegnare a mia mamma a girare con le stampelle, lei si era rotta il femore e lui disse che era un esperto di stampelle”.
Il secondo padre di Paolo era Gb o Enzo Bearzot?
“Ho visto questa definizione usata per entrambi, non voglio togliere niente a nessuno dei due, però papà lo prese a cuore nel momento in cui Rossi poteva anche finire una carriera neanche cominciata. Boniperti gli chiese di prenderlo nel Vicenza, in serie B, perché ero un ragazzo molto promettente ma era già stato operato di menisco tre volte per cui poteva anche non riprendersi più. Secondo mio padre il problema era che lui giocasse ala destra, visto che non scartava moltissimo, quindi lo mise centravanti e diventò quel che sappiamo”.
E durante la squalifica?
“Si è preso cura di lui, l’ha seguito, Paolo è venuto tante volte a casa nostra, anche con suo padre per cercare un po’ di incoraggiamento e capire cosa potesse fare. Diciamo che mio padre è arrivato prima di Bearzot e del suo coraggio di portarselo in Spagna. Gb non ha mai creduto che Paolo si fosse davvero compromesso con le scommesse, magari si era lasciato avvicinare ingenuamente da qualcuno, qualche frase poteva essere interpretata male. Era la persona del momento, ne avevano probabilmente approfittato a livello mediatico”.
Gb Fabbri era stato in Argentina, andò anche in Spagna?
“Sì, per orgoglio, per esserci, ma anche perchè se Paolo avesse avuto bisogno di un consiglio il suo ex allenatore ci sarebbe sempre stato, gli voleva molto bene, come a un figlio. Lui ricambiò nel dopo carriera, dalla Toscana verso Vicenza. Conoscevo bene la prima moglie, Simonetta, mi ha fatto conoscere anche la seconda, Federica, con le figlie”.
Fu anche suo allenatore a carriera finita.
“Con la nazionale dei master. Andavano a fare tournée anche all’estero, per beneficenza, gli aveva chiesto di essere il ct, il coordinatore. Visitarono villaggi in Kenya, riconoscevano Paolo in mezzo a tanti giocatori e gli urlavano, era veramente un mito mondiale. E poi ogni tanto c’era la riunione di tutti i ragazzi del Vicenza di quegli anni d’oro. Altre volte ho visto Alessandro, figlio di Simonetta, anzi lo ricordo piccolo anche lui e somigliante al padre, con gli occhi all’ingiù”.
Che idea si era fatta del Paolo Rossi opinionista televisivo?
“Buona. La tv spesso cerca gente che faccia audience, opinionisti che provocano, lui era il contrario e a volte all’inizio pensavo l’avrebbero lasciato a casa perchè troppo buono. Cercava sempre di giustificare, però in 10 anni è stato in tutte le televisioni più importanti, era una persona estremamente intelligente e quindi anche questa sua generosità pagava”.
Intelligente era anche calcisticamente.
“Non era mai nel posto giusto per caso, sosteneva papà, era in grado di prevedere dove finiva il pallone, di nascondersi al difensore e saltar fuori altrove, dove gli sarebbe arrivata la palla”.
Peccato solo per quella carriera così breve, levando infortuni e squalifiche il numero di partite e di annate furono poche, lasciò a 31 anni.
“Colpa di quei tre menischi levati all’inizio. Era immarcabile ai tempi del Vicenza, gli restava comunque agilità nel cambiare direzione, una verve agonistica che magari si è spenta presto. A 31 anni non ce la faceva proprio più. Venne comunque condizionato dall’incidente a Praga, durante la partita di coppa Uefa, contro il Dukla. Restano le sue cose emozionanti, intense”.
Vanni Zagnoli