https://www.enordest.it/2021/11/14/galeazzi-era-lo-sport-quello-nazionalpopolare/
di Vanni Zagnoli
“‘Sto bisteccone…”. Sembra di sentire Mara Venier, la zia, veneziana, la bionda prosperosa conduttrice di Domenica In quando spiegava l’origine del nomignolo per Giampiero Galeazzi, nato per caso.
Ciao Galeazzi
Bisteccone non c’è più, era un simbolo della Rai, dell’Italia nazionalpopolare, quella della domenica pomeriggio o del sabato sera, con tutta la famiglia riunita ad ascoltare Pippo Baudo o Corrado, Mike o Enzo, Tortora e magari, negli anni ’70, Lino Toffolo, poi editorialista de Il Gazzettino, con il papillon, nella versione Domenicalino.
Giornalismo e spettacolo
Galeazzi, dunque, era il giornalismo ma anche lo spettacolo, la risposta statale a Maurizio Mosca, giornalista e comico di Mediaset e radio. Entrambi erano stati, erano giornalisti, Galeazzi era proprio un mezzo busto, il bordocampista ante litteram, l’uomo degli spogliatoi negli scudetti del Napoli, quando passò il microfono a Diego Armando Maradona. “Bagni, che pensa?”, chiedeva Dieguito, mentre al cronista dai capelli chiari arrivava magari un secchio d’acqua. “Giordano, Giordano”, strepitava Maradona
Galeazzi e l’atleta
Galeazzi era romano, era stato canottiere, riserva nel singolo alle Olimpiadi di Messico 1968, a 22 anni. Aveva eclettismo e stazza, negli anni ’70 non era obeso, non era roco, non era scarso crinito, era un bel professionista. Negli ultimi anni era comparso solo alla Domenica Sportiva, raccontava la sua battaglia con il diabete, a noi rispondeva alle chiamate su skype, in video, avremmo voluto raccontare la sua carriera, dall’inizio, soprattutto chi era stato dal 1946 a fine anni ’70 quando noi lo scoprimmo in tv.
Galeazzi come Oddo e Valenti
Era forse il più giovane della generazione dei Guido Oddo, voce del tennis, e dei Giorgio Martino, di Ennio Vitanza, che l’arguto Paolo Ziliani su Il Giornale aveva ribattezzato “pietanza”. Giampiero era in perfetta sintonia con il teatrino di 90° minuto, lui ne faceva parte da Roma, stadio Olimpico, nei collegamenti con Paolo Valenti, alternato magari a Fabrizio Maffei.
Il salto
E poi la nazionale, la conduzione, gli spogliatoi, le interviste passeggiando con i grandi allenatori, con Liedholm e Trapattoni. Giampiero era onnipresente e potente, geniale, sapeva di tennis e calcio, di canottaggio e sport, di tv e provocazione, ballava con Mara e intrecciava rapporti con i presidenti, soprattutto della Roma, Dino Viola, da tifoso della Lazio.
Galeazzi e la canoa
Noi l’abbiamo ricordato sentendo e registrando, anche in video, i suoi leoni, Giuseppe e Carmine Abbagnale, presidente federale e il fratello minore, schivo, e poi il timoniere, il piccolo Peppiniello di Capua. Mi sono commosso ad ascoltare insieme a quest’altro stabiese le telecronache leggendarie di Giampiero.
Il ricordo
“Non solo olimpiadi e mondiali – racconta l’omino in aspettativa dalla Telecom Italia -, quelle per noi erano quasi un corollario, una diretta conseguenza, del suo seguito alla nostra barca nelle grandi manifestazioni, a partire da Basilea”.
Galeazzi e gli Abbagnale
I fratelloni, dunque. Carmine oggi lavora in Regione Campania, settore edilizia, Peppiniello è in macchina: “A Castellammare di Stabia, mi fermo per voi”. Egli scandiva il ritmo, i colpi, accompagnava verso il mito e il trio era mitizzato da “Bisteccone” che non era ancora tale. “Era stato canottiere – osserva Giuseppe di Capua -. Stava al nostro sport come Giacomo Crosa all’atletica leggera”. Crosa era stato finalista olimpico nel salto in alto e poi volto fra i più amati d’Italia, bellezza e garbo, sul tg5, il lunedì alle 13,30.
L’uomo
“Galeazzi era soprattutto un uomo, uguale a come usciva in tv, di compagnia, e battuta pronta, a tavola. Io ero la metà di lui, eppure mangiavamo uguale, quando eravamo nel dopo gara”. Peppiniello ha vinto anche con il paracanottaggio femminile. “Da tre anni ho finito”. Era un tutt’uno, quel due con, due ori e un argento olimpico, Giuseppe, Abbagnale, portabandiera.
Un “grande” Galeazzi e non solo nel fisico
“E Galeazzi a celebrarci. Come fece anche con Maradona, per gli scudetti. E’ stato talmente grande che non ha bisogno di sciarpe né di medaglie, nella tomba, lui è stato il canottaggio e lo sport”. “E ogni sport – interviene Carmine – ha bisogno del suo narratore, per farsi ricordare, per entrare nel cuore di un popolo, al di là imprese sportive”. Peppiniello faceva salire il numero di colpi e Galeazzi con la voce. “Come se – riprende l’ex timoniere – soffiasse dietro la barca, come se dietro avesse tutto un popolo, l’Italia intera”.
Il rapporto di amicizia
Galeazzi era rimasto in contatto con i fratelloni, con Peppiniello. Peppiniello e Giampiero, erano come l’articolo il, così diversi e così uguale, da Castellammare (la squadra di calcio si chiama Juve Stabia e gioca al Romeo Menti) e da Roma. “Ci eravamo visti – conclude Carmine Abbagnale – a Roma, pochi anni fa, anche con la figlia, ad assaporare la sua biografia”.
Galeazzi, un maestro di remi e tv
E magari avrebbe potuto fare il presidente federale del canottaggio o il tecnico. E via, ancora. “La barca sale, 38, 40 colpi al minuto, Peppiniello chiama il rush finale, ultimi metri. Andiamo a vincere, andiamo a vincere”.
Mai banale
Giampiero ha perso solo la battaglia con la bilancia e il sovrappeso. Era un gigante buono, che piaceva a mia moglie, Silvia Gilioli, e a tante famiglie italiane. “Semplice e un po’ banale”, cantava Mina. Galeazzi era semplice come un’amatriciana, banale proprio mai.
Da “enordest.it”