Vanni Zagnoli
Venticinque anni fa, il 3 settembre 1989, Gaetano Scirea perdeva la vita nell’incidente stradale in Polonia. Era andato a seguire il Gornik Zabrze, avversaria di coppa Uefa della Juventus, da viceallenatore, di Dino Zoff. Un impatto tremendo portò via l’ex capitano bianconero e la tragedia arrivò nelle case degli italiani con la Domenica Sportiva. Sandro Ciotti cambiò espressione, per un attimo lasciò quella sua aria disincantata, condita da ironia graffiante, e fece piombare il Paese nel dramma. Perchè Gae era uno degli sportivi più popolari, simbolo di un calcio che non esiste più.
In nazionale vinse il mondiale del 1982 in una formazione declinata a memoria: Zoff; Gentile, Cabrini; Oriali, Collovati, Scirea; Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani. Anche se poi in finale giocò Bergomi al posto dell’infortunato Antognoni, mentre Graziani lasciò presto il campo a Spillo Altobelli.
Qui lo ricordiamo proprio con le parole di quei campioni di Spagna.
Dino Zoff aveva condiviso la stanza con lui anche al mondiale del ’78 e all’Europeo dell’80, oltre che per buona parte delle 9 stagioni alla Juve, dal 1974.
“Era il mio secondo – ricorda l’ex portiere – e la giornata fu oltremodo tragica, perchè siamo sempre stati amici, anche come famiglia. All’epoca si andava sempre a seguire da vicino gli avversari, anche non di primo piano. La nostra maggiore delusione fu la sconfitta nella finale di coppa dei Campioni, ad Atene, con il gol di Magath per l’Amburgo. Quando invece lui si rifece, all’Heysel, nell’85, battendo il Liverpool in quella finale drammatica, io ero in Messico, per visionare il ritiro del mondiale per conto di Bearzot”.
Cabrini aveva sbagliato il rigore in finale con la Germania, sullo 0-0.
“Era un compagno e amico fuori dal campo – spiega l’ex terzino -, un esempio per tutti, da seguire. E lo sarebbe anche oggi, nonostante il calcio cambiato. Era una persona speciale e alla Juve era arrivato due anni prima di me”.
A Bruxelles ebbe l’incombenza, da capitano bianconero, di leggere il messaggio per tranquillizzare i tifosi: “Giochiamo per voi”.
“Era la persona più indicata per cercare di dare una motivazione alle tifoserie, perchè evitassero di aggravare un bilancio già pesantissimo. Si prese quella briga, di riportare la tranquillità sugli spalti, peraltro noi non sapevamo nulla”.
Cabrini era passato al Bologna, quando Scirea morì.
“Era un uomo di grande umiltà. Non venne mai espulso, in carriera”.
Fulvio Collovati è in standby, con le sue esperienze televisive, dopo le stagioni alla Domenica Sportiva e a Odeon.
“Arrivai in nazionale – spiega – a 21 anni, nel ’79, e mi fece da tutore, perchè giocare con Gaetano alle spalle significava essere protetto. Era molto silenzioso fuori, ma in campo parlava eccome. E’ un classico di certi campioni, come Franco Baresi: hanno personalità eppure sono miti. Alla sobrietà nella vita faceva da contrappunto la guida, sul terreno di gioco. A me faceva stare tranquillo”.
Chissà come sarebbe evoluta la carriera di Scirea, in panchina.
“Magari avrebbe fatto il secondo a vita, alla Juve, come Mauro Tassotti al Milan. Certamente tutto andrebbe rapportato al calcio di oggi, schizzato, e magari avrebbe rappresentato un’anomalia: era silenzioso, carismatico quanto Nils Liedholom, avrebbe perseguito quella strada, perchè non era un duro”.
Giancarlo Antognoni si era infortunato in semifinale con la Polonia, per questo saltò la finale.
“Ero il capitano della Fiorentina – ricorda – e lui portava la fascia alla Juve, la rivalità soprattutto all’epoca era accesa. Peraltro in nazionale eravamo molto affiatati, con anche Cabrini, Tardelli e Rossi. Con Gaetano iniziammo insieme, in azzurro, 40 anni fa. Era silenzioso, io stesso ero abbastanza chiuso e allora legavo meglio con lui”.
Che differenza, per esempio, rispetto al Cassano di oggi…
“Erano altri periodi, altri giocatori. Certamente Scirea per l’atleta che era è stato meno pubblicizzato di altri elementi meno valorosi, non è stato valutato a livello internazionale come avrebbe meritato. Se il tedesco Sammer si aggiudicò il Pallone d’oro del ’92, nello stesso ruolo, anche Gaetano l’avrebbe meritato”.
“Neanche Franco Baresi nè Paolo Maldini se lo sono aggiudicati – sottolinea Francesco Graziani -, ma in generale i difensori premiati sono stati pochi. Soprattutto quando la Juve era protagonista in Europa, Scirea avrebbe meritato una considerazione superiore”.
Ciccio ama parlare a cuore aperto.
“L’unica persona che non doveva morire era Scirea, per correttezza, educazione, rispetto e lealtà. Mai l’avevo sentito alzare la voce con un compagno o un avversario. In un Juventus-Fiorentina, a pochi minuti dalla fine, ero uscito per una distorsione alla caviglia provocata da Gaetano: finita la doccia, venne all’ospedale Le Molinette per verificare che non fosse una cosa grave”.
Oggi avrebbe 61 anni, magari sarebbe un allenatore mite ma vincente come Donadoni al Parma.
“E’ difficile il paragone, perchè rispetto a un quarto di secolo fa nel calcio è cambiato tutto, ma come assistente Scirea era sicuramente efficace. Anche Zoff era schivo, chiuso, non dava molta confidenza, eppure da tecnico ha vissuto una gran carriera”.
Oggi Graziani vive ad Arezzo, lavora con Mediaset, è responsabile delle accademy Roma negli Stati Uniti. “Apriremo la prima a New York”.
Bruno Conti propiziò la terza rete con la Germania, crossando dalla destra per Altobelli, su azione condotta da Scirea.
“Uscì con quella palla sulla destra – riflette il responsabile del settore giovanile della Roma – e così valorizzò il mio allungo sulla fascia”.
Nessuno ricorda alcunchè di negativo, di Scirea. “Era un vero leader, con il suo modo di essere. Assieme al compagno di stanza Dino Zoff era sinonimo di serietà: furono loro, il blocco Juve, ad accogliermi nel gruppo, Gaetano mi metteva a mio agio, per la spontaneità e la serenità del suo modo di porsi. Fuori e in campo, considerato che fu il meno squalificato e ammonito”.
Nel tempo, Bruno ha mantenuto rapporti con la vedova Mariella Scirea. “Tutto quanto ci ha insegnato non va dimenticato, nonostante l’esasperazione del calcio odierno. Nelle interviste, Conte invita a riscoprire i veri valori, l’attaccamento alla nazionale, basterebbe seguire l’esempio di Gae”.
Che non ha mai sgarrato. “Eravamo io e Ciccio Graziani a metterla sullo scherzo, lui è sempre stato guardato dal gruppo come un esempio, non è mai uscito dal seminato”.
Anche nelle sconfitte, ovvero la mancata qualificazione a Euro 1984, e nell’uscita negli ottavi di Messico ’86, Scirea fu esemplare. “Mai l’ho visto piangere per le sconfitte. Io stesso ho l’abitudine a commuovermi, ma per le vittorie. Quando andava male, lui inculcava la voglia di reagire, del resto non si può imporsi sempre. Gaetano faceva capire a tutti la continuità, per superare le difficoltà del gruppo e della vita”.
Marco Tardelli da quest’anno è ospite fisso alla Domenica Sportiva.
“Con Scirea – dice l’altro ex juventino – abbiamo sempre condiviso tutto. E’ difficile da descrivere, quando una persona non c’è più, pensi sempre che sia d’altri tempi, ma era proprio così, fantastico. Sembrano sempre frasi di circostanza, eppure era veramente una persona eccezionale. Nessuno di noi avrebbe mai voluto che sparisse, era amato da tutte le tifoserie. Non perdeva mai la pazienza e così faceva incazzare tutti noi, che eravamo sempre in lotta con il mondo. Dava sempre tranquillità e questo ci faceva arrabbiare”.
Gabriele Oriali è l’unico di quei campioni ancora nel giro azzurro, come neo team manager.
“Gaetano era un fuoriclasse in campo e fuori: ci manca moltissimo, e sarebbe bello se nel nuovo gruppo azzurro i ragazzi si ispirassero anche alla sua educazione”.
Quando seppe dell’incidente, Lele pianse. “Per noi che vincemmo il mundial 1982, Gaetano era il compagno perfetto, un ragazzo d’oro, uomo di tanti sguardi e poche parole. Ma quando parlava, diceva sempre le cose giuste al momento esatto. E poi era sempre di grande incoraggiamento per i compagni in difficoltà”.
Ora Oriali rivede Scirea in Buffon.
“Dà sempre l’esempio e, pur avendo vinto tutto, risponde alle convocazioni in nazionale come fosse la prima volta”.
Al mondiale, Scirea festeggiò proprio assieme a Zoff e Oriali, in camera. “Eravamo piuttosto taciturni, superammo la soglia del silenzio. Come giocatore, Scirea era uno dei migliori interpreti del ruolo di libero. Grazie alle sue grandi doti tecniche, iniziava l’azione e si inseriva centralmente senza palla, per andare al tiro, oppure per servire il compagno. Interpretava il ruolo in maniera rivoluzionaria: tutto gli riusciva lieve, come quel colpo di tacco che innescò l’azione di uno dei tre gol alla Germania. Era l’azzurro più avanzato, lui che teoricamente doveva stare davanti al nostro portiere. A pensarci bene, era sempre un passo avanti in tutto”.