Pugilato. Il mito Carlos Monzon battuto solo da se stesso. Il ricordo in Argentina a 20 anni dalla morte, giovedì

monzon scherza con valdes, il suo ultimo avversario
Monzon scherza con Valdes, il suo ultimo avversario

Era il dicembre del 1995 quando Carlos Monzon, al volante della sua auto che avrebbe dovuto portarlo da Los Carrilos a Las Flores, perse l’unica gara: la vita. A 53 anni lasciò nello sconforto l’intera Argentina e ancora oggi viene ancora ricordato per le sue imprese da campione del mondo sul ring. Monzon a 28 anni passò alla storia per aver battuto il 7 settembre 1970 l’allora campione del mondo dei pesi medi Nino Benvenuti. Non si fermò più da quell’incredibile vittoria ed iniziò una serie infinita di successi.

 

Questo è il servizio messo in rete nel pomeriggio dall’agenzia Ansa.

Venti anni senza Carlos Monzon. In Argentina sono già cominciate le commemorazioni di questo straordinario campione, forte e spietato sul ring e anche nella vita, che nella storia dei pesi medi è stato secondo soltanto a Ray Sugar Robinson. Viso da indio, povero di famiglia e scampato al tifo, cattivo perché così l’avevano reso gli anni dell’adolescenza, sul ring stendeva, tra un montante e un gancio, gli avversari uno dopo l’altro, mentre fuori, a parte i periodi in cui si preparava ad un incontro, viveva quasi sempre sull’orlo del precipizio, tra gloria e scandali amorosi. A un certo punto prese la strada della palestra e subito dopo della boxe perché aveva capito che quei pugni potevano portarlo in alto, e fargli dimenticare le notti passare a dormire in terra, perché a casa sua non c’era neppure il letto. Così uscì fuori dalla miseria, a forza di Ko e vittorie, come quelle contro Nino Benvenuti, al quale strappò il titolo mondiale.

Poi fece fuori pugili del calibro di Valdez, Griffith, Tonna, Briscoe, Napoles e Bouttier, che oggi sarebbero considerati invincibili o quasi. Monzon è stato campione del mondo dei medi dal 1970 al 1977, e per lui uno come Alain Delon si è improvvisato organizzatore. Ha amato donne da sogno come Ursula Andress, Nathalie Delon e Susana Gimenez, la ‘Brigitte Bardot del Sudamerica’, ed è stato ‘insidiato’ da Helmut Berger. Tutto fino al tragico schianto finale mentre tornava in auto verso il carcere di Las Flores in cui stava scontando una condanna ad 11 anni, frutto della sua vita sempre più spericolata dopo che si era ritirato: alcol, cocaina e pistole, fino a gettare giù da un balcone Alicia Muniz, altra bellissima donna e madre di uno dei suoi figli, con la quale i litigi si erano fatti sempre più frequenti.

L’8 gennaio del 1995 gli fu fatale un permesso di ‘libera uscita’ e, anche in quella circostanza, la voglia di interpretare l’esistenza da ‘eroe’ maledetto’: quando andò a schiantarsi era lui al volante, e guidava ad oltre 140 all’ora in una strada dove il limite era di 70. L’Argentina lo pianse a lungo, commemorandolo con uno striscione rimasto sul luogo della morte per anni: “Anche se e’ morta una stella, la sua luce brillerà’ sempre”.

 

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