Il calcio resta preda di affaristi e maneggioni. Spesso la prospettiva di salvezza societaria si rivela un masso che manda a fondo

In copertina, Manenti, presidente bluff del Parma, presto arrestato

di Valmore Fornaroli, da un’idea di Vanni Zagnoli

Cordate ed investitori stranieri sono spesso state negli ultimi anni le speranze di salvezza di tifosi con le loro società sull’orlo del baratro.

Non sempre però questi salvatori si son rivelati tali, anzi, la percentuale di società poi fallite è paurosamente alta rispetto all’entusiasmo con cui vengono acclamati questi salvatori della patria.
Nella stagione 2014/15 il Parma plurititolato viveva e faceva vivere al calcio italiano l’esperienza più significativa venendo soffocato dalla  lenta spirale di cordate e pseudo-propietari che si sono avvicendati nel post-Ghirardi. In soli sei mesi tre presidenti si sono seduti sul seggiolino destinato al proprietario, da Pasquale Giordano fino al surreale “compro per un euro” Manenti (nella foto), attraverso Kodra fantoccio del misterioso petroliere albanese Taci, personaggio-prezzemolo di un certo ambito calcistico accostato a numerose squadre, ma senza approdare a nulla

Il risultato di questo incubo è ben noto a tutti con la discesa di Parma in serie D e la rinascita della società.

Nello stesso anno in Lega Pro un’altra società storica, il Monza, passava dalla sbornia del presidente americano Armstrong, arrivato in Brianza in pompa magna carico di promesse e grandi idee e fuggito a Dubai per evitare l’arresto,  alla situazione di non poter avere lo stadio agibile con luce elettrica e gas per morosità continuata, il tutto attraverso un giro di quattro presidenti, sessanta giocatori e  una messe di punti di penalità.

 

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