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di Vanni Zagnoli
Gli inglesi hanno istituito un premio apposta per Fabio Pisacane. La sua storia così ha fatto il giro del mondo e lo merita, dal momento che in Italia si pensa più alle diatribe fra tifosi, al rigore non dato o all’espulsione abbonata.
The Guardian è sempre stato molto attento al calcio italiano, al punto che tre anni fa scrisse che Napoli era la roccaforte della mafia e allora fu Nicola Lombardo, capo della comunicazione del club di De Laurentiis, a rispondere con ironia.
Stavolta il prestigioso quotidiano fondato a Manchester nel 1821 e stampato a Londra merita gli onori per avere capito la storia del difensore del Cagliari.
Per il Guardian è il giocatore del 2016, viene ritratto con il premio ai bordi di una piscina e dalla club house e indossa la felpa rossoblù.
Ha dovuto fronteggiare ostacoli altissimi, in particolare la sindrome di Guillan-Barrè a 14 anni.
L’articolo ripercorre tutte le tappe della favola, dalla nascita nei quartieri spagnoli a Napoli. La storia è paradigmatica, smuove le coscienze, ispira. Anche la redazione britannica, che istituisce il premio per “un giocatore che ha fatto qualcosa di davvero notevole, non solo nel superare le avversità, ma anche per aver aiutato gli altri diventando un esempio con il suo comportamento e la sua onestà”.
Pisacane è quasi incredulo, di fronte al premio: “Onestamente non ho fatto niente per diventare un esempio. Non fa parte del mio modo d’essere, sono un ragazzo semplice. Penso di avere un po’ di umiltà e questa umiltà non mi fa pensare che gli altri possano considerarmi un esempio”.
Bella la sua metafora per la vita. “Dico sempre che la malattia non era venuta per uccidermi. Se fosse stato così, non sarei qui a parlarne invece credo che alla fine sia arrivata per darmi qualcosa di positivo”.
La sua parabola ha toccato molti per quel pianto dopo Cagliari-Atalanta. “Penso fosse normale piangere in quel momento, perché il giornalista aveva toccato qualcosa dentro di me che mi ha fatto esplodere. Non pensavo al fatto di essere davanti alle telecamere”.
Il Guardian sottolinea anche il suo grande coraggio per aver denunciato di essere stato contattato dai boss della Camorra ai tempi del Lumezzane. Rifiutò un’offerta da 50mila euro per truccare un match e fu nominato “ambasciatore del calcio” dall’allora presidente Fifa Sepp Blatter. Fu un momento complicato che però non fermò la carriera del difensore: dopo il passaggio alla Ternana e lo stop per l’infortunio al ginocchio, nacque un grande legame con Rastelli che prima lo volle ad Avellino e poi lo portò al Cagliari.
E in effetti si perde il conto delle vite di Pisacane. Il grande pubblico lo scopre il 19 settembre, con la prima vittoria stagionale dei sardi, 3-0 all’Atalanta. Borriello a 34 anni dà spettacolo e il difensore debutta in A a 30.
All’inizio del millennio al centrale napoletano viene diagnosticata la sindrome di Guillain-Barré: ha 14 anni, resta completamente paralizzato e per 10 giorni è in coma.
“E molto probabilmente non potrà più giocare”, spiega il medico alla famiglia.
Invece torna e si impone, dalle giovanili del Genoa al Ravenna. Gira molto: Lanciano, Lumezzane, Ancona. Nel 2011 è di nuovo nel Bresciano, in serie C1. Rifiuta i 50mila euro offerti da Giorgio Buffone, ds del Ravenna, per vendere una partita. Denuncia eppure non diviene popolare quanto Simone Farina, il biondo esterno ex Gubbio, poi all’Aston Villa e adesso legato alla Lega serie B, come uomo etico.
“Non mi sento un eroe”, disse allora Pisacane, tuttavia nel 2012 a Terni lo premiarono e la Fifa lo nominò ambasciatore. Tutto proprio come Farina, incluso un raduno con l’Italia di Prandelli.
La svolta calcistica 4 stagioni fa, con il passaggio all’Avellino, promozione in B e semifinale playoff. L’allenatore Massimo Rastelli se lo porta in Sardegna, dove azzeca un altro salto di categoria.
In quella domenica di fine estate le telecamere si spengono almeno due volte, durante il suo pianto.
Fabio ripensa alla sindrome di Guillain-Barrè, malattia rara che si manifesta con una progressiva paralisi agli arti e che può causare la morte se interessa i muscoli dell’apparato respiratorio e del sistema nervoso. Pisacane lotta, come un vero campione. Fino a vincere la battaglia più importante della sua vita, al punto da essere soprannominato “il guerriero”.
“Una mattina – spiega – mi svegliai e non riuscivo più ad alzare le braccia. Ho avuto una malattia che attacca il sistema nervoso e per diversi mesi sono rimasto paralizzato e anche in coma. Con l’aiuto di Dio, però, sono riuscito a cavarmela e a realizzare il mio sogno”.
E’ cresciuto nei quartieri Spagnoli, ha lottato fin da ragazzino, per emergere, da quando a 14 anni raggiunse le giovanili del Genoa, scoperto da Claudio Onofri, fra i commentatori di Sky più apprezzati.
Durante la malattia, furono naturalmente i genitori a stargli più vicino, a partire dal papà Andrea, 58 anni, ambulante, che raccontava: “Abbiamo girato 5 o 6 specialisti, nessuno ci sapeva dire cosa aveva il bambino. Finchè arrivò la terribile diagnosi e all’epoca il calcio era l’ultima cosa che ci interessava”. “Sono quattro mesi che pensavo notte e giorno all’esordio – diceva dopo quel 3-0 all’Atalanta – e ai problemi che ho passato per arrivarci. Non ho mai mollato un secondo”.
Lo chiamano Faffolino, assonante con Pattolino, ovvero Marco Sau, il bomber rivelatosi nella Juve Stabia e valorizzato due anni fa da Zeman, in serie A.
“Nell’ultima settimana – aggiungeva – cercavo di non pensare, ma durante la notte la testa mi portava indietro di 10-11 anni. Scene un po’ particolari. Un carico di emozioni che per fortuna sono riuscito a gestire. Era una partita che sognavo da tempo, ho mangiato tanta polvere, ma ce l’ho fatta. Adesso l’importante è mantenere i piedi per terra anche a trent’anni e continuare a lavorare come ho fatto fino a oggi”.
Pisacane ringrazia tutti. “A partire dai miei genitori, fino a mia moglie Rosy Pesce che mi sopporta tutti i giorni e mio figlio che mi dà una grandissima forza. E non mi scordo di Massimo Rastelli, un grande uomo, che mantiene le promesse”.
Il salto di qualità nella carriera di Pisacane avvenne dopo avere rifiutato la combine, nel 2011. L’approdo alla Ternana lo fece diventare un piccolo eroe e contribuì al ritorno delle fere in B, con 3 reti in 33 presenze, nonostante un grave infortunio. E poi la conoscenza di Rastelli, che lo impiega da titolare nel biennio irpino e anche in Sardegna.
Il bello viene adesso, perchè Pisacane vuole lasciare un segno anche in serie A, non solo per la sua storia.
Che a fine 2016 è stata valorizzata anche dalla stampa italiana. Questa è parte dell’articolo di Alessandro Pasini su Il Corriere della Sera.
“Superare le avversità con coraggio: fatto. Essere un esempio di onestà: fatto. Aiutare gli altri: fatto. È per questa tripletta esistenziale che Fabio Pisacane è diventato una storia mondiale…
A 14 anni, il ragazzo si sveglia una mattina completamente paralizzato, viene intubato per una crisi respiratoria e trascorre tre mesi e mezzo in ospedale, inclusi venti giorni in coma, prima di avviare una lenta e faticosa rinascita. Nel 2011, quando è a Lumezzane viene avvicinato dal ds del Ravenna, Giorgio Buffone, che gli offre 50mila euro per truccare il match e far vincere il Ravenna. «Gli ho sbattuto il telefono in faccia e ho denunciato tutto». Il dirigente viene inibito per 5 anni, Fabio diventa famoso. «Non sempre fare la cosa giusta ti aiuta a vivere meglio. Quello che conta però è solo la tua coscienza…».
Un altro passaggio del Corriere.
“A 30 anni, dopo tutto questo remare e soffrire e inseguire, il minimo che possa fare è piangere di gioia davanti alle telecamere. E così ritorna famoso: «Ma non sono arrivato perché avevo più talento degli altri. Avevo solo più passione». Oggi lo chiamano il «Fighter» e molta di questa forza, spiega lui, ha radice nel suo luogo di nascita: Napoli, quartieri spagnoli, un posto «dove molti miei vecchi amici hanno preso la strada sbagliata e sono morti ammazzati». Cresciuto a fianco della Camorra, «una volta stavamo giocando e a 5 metri da noi hanno ucciso una persona. Ci siamo fermati un attimo, poi abbiamo ripreso. Da quelle parti, fatti così erano normali».
Per questo ha creato a Napoli un’associazione di volontariato, Pisadog, che aiuta i ragazzi più poveri a giocare a pallone”.
Fabio è nato nell’86 e a cavallo tra il ’90 e il ’96 c’è stata la più grossa faida della camorra nella zona.
“Qualche cicatrice – raccontava a Sportweek, il magazine della Gazzetta – me la porto ancora, ma anche un ragazzo degli Spagnoli può migliorare, crescere, fare discorsi, imparare a stare con gli altri. Io ho fatto tutto da solo: leggendo, studiando. Il fatto che un ragazzo che proviene dai vicoli abbia rifiutato tutti quei soldi per vendersi una partita, è la dimostrazione che nascere poveri non significa nascere delinquenti. Se avessi accettato quei soldi, e Dio sa quanto ne avevo bisogno, avrei però rinnegato la mia famiglia, i miei valori, me stesso. Ho fatto la fame, ma nella fame si cresce e si acquista dignità”. Fabio non si considera però un eroe: “Quelli sono Falcone e Borsellino”.
Quella sindrome terribile attacca tutto il corpo fino agli occhi. “Per fortuna almeno quelli non furono colpiti, ma per il resto ero immobilizzato fino alle dita dei piedi. Entrai in ospedale il 9 settembre e ne uscii il 18 dicembre. Il 23 ottobre mi spostarono in rianimazione perché la malattia aveva preso i polmoni e facevo fatica ad espellere il muco che li ostruiva. Ho fatto anche 20 giorni di coma. Mio padre mi promise: ‘O di qua ne usciamo insieme o non ne esce nessuno dei due’. Probabilmente se non ce l’avessi fatta, si sarebbe buttato di sotto”.
L’uscita è stata sofferta. “Facevo una specie di dialisi, sei ore al giorno sotto una macchina che faceva bum-bum-bum. Per tutto il periodo di ricovero volli stare al buio. Una mattina però mi svegliai e dissi a mio padre: ‘Apri la persiana’. Ero guarito”.
Nel girone d’andata della sua prima stagione di serie A, a metà gennaio aveva raggiunto le 13 presenze. Non è sempre titolare, aspettiamo il suo primo gol in A per concludere la parabola più bella della stagione. La salvezza del Cagliari, invece, è scontata.