Giovanni Trapattoni con Alberto Rimedio, cronista azzurro della Rai
(v.zagn.) Ritorna dopo un periodo di autoesilio, diciamo di vacanza, durata un mese, Salvatore Occhiuto. Da massmediologo analizza il debutto di Giovanni Trapattoni nella postazione Rai per la nazionale.
di Salvatore Costantino Occhiuto
Dalla sua introduzione nel lontano dicembre 1986, l’Auditel è diventato il termometro, anzi l’insindacabile giudice dell’appeal televisivo di programmi, contenuti, personaggi.
Un sistema di misurazione degli ascolti concepito essenzialmente per pianificare gli imprescindibili spazi pubblicitari. Una risorsa dalla quale la tv, anche a pagamento, non può prescindere. Infatti ogni attore mediatico attende le canoniche e fatidiche 10.30 del mattino seguente allo scopo di comprendere gli effetti della sua performance sul piccolo schermo.
La partita di giovedì sera Italia-Malta, allo stadio “Artemio Franchi” di Firenze, in diretta su Rai uno, ha raccolto 6.3 milioni con uno share del 28,6% . La novità Giovanni Trapattoni, in versione telecronista dalla ”visione a 190°”, ha indubbiamente inciso. Un commento corredato da metafore e aneddoti espressione del suo eccezionale background che ha appassionato i telespettatori. Essendo una partita di qualificazione agli Europei con una squadra mediocre, non potevano impreziosire la partita gesti straordinari dei nostri artisti del pallone.
L’unico che non si stupisce è proprio Trapattoni. “Molti pensavano che non fossi capace, ma era una capacità di analisi che adoperavo già durante la mia carriera di allenatore. Mostravo video, li studiavamo con la squadra, cercavo di trarne nuove situazioni tattiche”.
La cosiddetta terza giovinezza del Trap incanta, forse perché evidenzia un lato sconosciuto. “Quando citavo le giocate angolari, erano perplessi, però oggi tutti imitano il Barcellona”. Sul gol di Pellè ha osservato la moviola in quanto non era chiaro come quello di Henry contro la sua Eire. Comunque non esclude ancora di sedere su una panchina parafrasando una sua celebre frase ”un bel ‘non dire gatto…”