Massimiliano Castellani
http://www.avvenire.it/Sport/Pagine/quelli-che-calcio-alla-sla.aspx
(v.zagn.) Massimiliano Castellani, classe ’69, è il nuovo responsabile della redazione sportiva di Avvenire. E’ appena subentrato ad Alberto Caprotti, firma storica, in carica per 20 anni. Caprotti è stato promosso inviato, a tutto campo: motori, politica, economia, magari andrà alle Olimpiadi, come sempre.
Castellani è la firma delle pagine sportive del quotidiano cattolico, dal ’99. Qui racconta il suo ultimo libro, è il giornalista italiano più esperto di Sla.
Di Massimiliano Castellani
Cinquanta, sessanta, sono le vittime che il Morbo di Gehrig o Sla (Sclerosi laterale amiotrofica) ha causato nel mondo del pallone italiano? Inutile, numeri ufficiali misteriosamente non ce ne sono. Del resto, nel Paese dei misteri anche il calcio non poteva rimanere immune dalla sua – ennesima – zona d’ombra, quella della Sla: il “Male oscuro del pallone”. Dalla morte di Gianluca Signorini (novembre 2002) a quella di Stefano Borgonovo (giugno 2013) passa un decennio in cui Avvenire è sempre stato in prima linea per tentare di indagare, di capire e di sostenere i calciatori malati e le loro famiglie.
«Perché questa è una malattia che (psicologicamente) fa “ammalare” tutti quelli che vivono assieme al paziente», dicono i medici e confermano tutti i famigliari dei malati. Anche in questo non fanno certo eccezione le famiglie di quei calciatori che continuano a lottare contro questo spettro di tre lettere. La maggior parte di loro, trattandosi di calciatori che non hanno calcato i campi di Serie A, non hanno nessun risalto sui media e vivono la loro condizione di tristi e solitari, perché al momento la medicina, nonostante gli sforzi di ricercatori infaticabili – e sottopagati – non ha nessuna soluzione. Non esiste ancora la cura al morbo che Borgonovo chiamava «la stronza».
Come lo Stefano della “B2” (la coppia dell’attacco viola, Borgonovo-Baggio), anche Giancarlo Galdiolo è stato un pilastro – difensivo – della Fiorentina, e da un lustro almeno è stato colpito a un terribile “doppio passo”: demenza fronto-temporale, con l’interessamento del motoneurone, alias Sla. Galdiolo in campo era lo “stopperone” di quella squadra tragicamente finita nel fascicolo d’indagine del “Giallo viola”. Le morti sospette per le discutibili pratiche mediche effettuate sui calciatori della Fiorentina anni ’70.
Una pagina di cronaca nera che la vedova di Bruno Beatrice (una delle vittime, morto 39enne), Gabriella Bernardini e i suoi figli Alessandro e Claudia denunciano da anni, «ma siamo praticamente inascoltati», sospirano amaramente. Oltre a quella di Beatrice ci sono state le altrettanto sospette morti di Nello Saltutti, Ugo Ferrante, Giuseppe Longoni e Massimo Mattolini. E poi il caso di malattia di Galdiolo che si aggiunge a quelli di Domenico Caso (tumore) e Giancarlo Antognoni (infarto).
Tornando alla nebulosa Sla, Galdiolo è l’unico calciatore di Serie A ancora in vita, ma da tempo non può più comunicare. Parla e racconta invece la sua esperienza di professionista Stefano Turchi che, la Serie A, la conquistò con l’Ancona di Vincenzo Guerini. «Se chiudo gli occhi, ci sono tre emozioni forti che hanno dato un senso a questi miei 46 anni, l’incontro con mia moglie Simona, la nascita di nostra figlia Sara e quel pomeriggio della promozione allo stadio Dall’Ara di Bologna. C’erano dodicimila tifosi anconetani in delirio…». Così Turchi ricorda la sua massima stagione di grazia, 1991-1992, in cui mai avrebbe immaginato che il suo futuro sarebbe stato segnato dalla Sla. Glie l’hanno diagnostica nel 2005. «Colpa del calcio? Ho avuto tanti infortuni e preso parecchi farmaci, ma non so se dipenda da questo… Dal professor Chiò tempo fa ho saputo che ci sono altri calciatori nelle mie condizioni, ma non hanno il coraggio di esporsi pubblicamente. Li capisco, all’inizio è successo anche a me. Però, venire allo scoperto e parlarne fa stare un po’ meglio. Più voci siamo e più possiamo essere tutelati. E magari un giorno, come ce l’ho fatta ad andare in Serie A, potrò dire: ho sconfitto la Sla».
Quella stessa speranza di guarigione da tredici anni anima la “Casa azzurra” di Capranica (Viterbo) dove vivono il 44enne Luca Pulino e la sua famiglia (i genitori Terenziano e Antonietta e i fratelli Giuseppe e Nicoletta). Pulino è stato un numero 10 con i dilettanti del Capranica e come tale si sta comportando anche nella malattia. La sua stanza ogni domenica diventa un piccolo Stadio Olimpico: «Sono “malato” di Lazio», informa dal Pc che gli consente di parlare con il mondo. E da quella finestra sempre aperta che è il suo sito (www.leportedellasperanza.it) Pulino è diventato un punto di riferimento per tanti, non solo per i malati di Sla. «Luca è un esempio per tutti», dicono in coro a Capranica, specie per i più piccoli che fanno parte della scuola calcio Romaria che gli è stata intitolata.
«Non fermiamoci solo ai casi di professionisti, conosco diversi dilettanti che purtroppo hanno la Sla», è l’appello di Luca, raccolto al volo a Omegna da Maurizio Vasino, classe 1969. Ex talento delle giovanili del Milan – «Sono cresciuto assieme a Gianluca Pessotto» – che solo grazie alla caparbietà del magistrato torinese Raffaele Guariniello è finito nelle indagini sui malati sospetti. «Guariniello ha fatto dei riscontri incrociati dalla Serie A alla vecchia serie C, e così sono arrivati anche al sottoscritto – spiega Vasino –. Ma è stato un caso, perché io la C l’ho appena sfiorata. Chissà quante storie come la mia ci saranno in giro?».
C’è un sommerso di calciatori malati di Sla. Ne fa parte anche Stefano Marangone, 47 anni di Casarsa: il paese di Pier Paolo Pasolini, cantore del «calcio di poesia». Quello che Stefano ha vissuto sui campi di una mezza dozzina di società friulane fino al 2002, quando si è ammalato. «Questo morbo in Friuli ha colpito più di 90 persone – dice – e molti di loro sono calciatori dilettanti». Una carriera da dilettante anche il mantovano Marco Sguaitzer, classe 1959, che la sua storia di calcio e di Sla l’ha appena raccontata nel libro Senza limite alcuno (Sometti). Ha fatto del dilettantismo una bandiera Agatino Russo, ex difensore della Primavera della Ternana ai tempi della mitica “squadra corta” di Corrado Viciani. A 57 anni (ora ne ha 65) «dopo uno svenimento» gli venne diagnosticato il morbo.
«Della De Martino (la Primavera di allora) della mia Ternana – racconta – sono morti sei giocatori e tutti giovani (tre di questi sono Alberto Poggi, Roberto Raggi e Francesco Leipnecher). Il doping? Ci davano il micoren, ma una causa scatenante della Sla potrebbe essere nascosta sotto l’erba dei campi, come ipotizza il dottor Giuseppe Stipa che mi ha in cura». Quella dei pesticidi e dei diserbanti è una pista seguita da tempo al centro di Miami dal professor Walter Bradley? «Tutti gli atleti colpiti dalla Sla hanno praticato discipline su campi in erba naturale che sono soggetti a pesticidi e a particolari erbicidi – ha spiegato Bradley –. Negli Usa ci sono casi di malati tra i giocatori di baseball e di football americano». Un recente studio sui giocatori di football americano documenta un rischio di Morbo di Gehrig solo due volte superiore rispetto alla popolazione generale. Nella nostra popolazione calcistica i dati ufficiali danno quel rischio almeno sei-sette volte superiore.
«Nel nostro studio basato su ventiquattromila giocatori di Serie A, B e C in attività tra il 1960 al 1996, sono emersi otto decessi per Sla con un aumento del rischio di dodici volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Guariniello poi ci fornì un dato ancora più allarmante: 16 calciatori morti di Sla tra il 1996 e il 2004. Quindi si sale a ventiquattro decessi», ha detto di recente ad Avvenire il dottor Nicola Vanacore (neuroepidemiologo dell’Istituto superiore di sanità). Il calcio dunque non può chiamarsi fuori da questa sfida, da cui dipende la sopravvivenza di tanti suoi grandi e piccoli eroi esemplari che con coraggio e tenacia resistono ai duri assalti della malattia. «Se riuscissimo a comprendere perché i calciatori – che rappresentano circa l’1% di tutti i malati di Sla (in Italia sono cinque-seimila) – si ammalano con questa elevata frequenza – conclude – probabilmente potremmo capire perché si ammala il restante 99% delle persone affette da Sla che non hanno mai giocato a calcio in maniera professionale».