Sarti; Burgnich, Facchetti; Bedin, Guarneri, Picchi; Jair, Mazzola, Domenghini, Suárez, Corso.
È la formazione della Grande Inter, vincitutto, la più amata e imparata a memoria da intere generazioni, il simbolo di un calcio che non c’è più.
Non c’è più nemmeno Giuliano Sarti, il portiere di ghiaccio, per Gianni Brera era un “talento impeccabile del piazzamento”, dotato di “attenta e costante concentrazione, tempismo perfetto, sicurezza eccezionale”. Gli bastò vederlo una volta fra i pali, per battezzarlo così.
Oggi è il 53° anniversario dello spareggio-scudetto perso nel 1964 dall’Inter, all’Olimpico di Roma, contro il Bologna, e per Sarti fu una delle delusioni di una carriera di enorme spessore. Per lui che era bolognese, di Castello d’Argile, nato il 2 ottobre del 1933. Si è spento a Firenze, in un ideale passaggio da derby dell’appennino.
Cresciuto nel San Matteo della Decima, aveva completato le giovanili nella Centese, squadra poi allenata anche dal ct Ventura. Poi la Bondenese, sempre provincia di Ferrara, nel ’54 l’approdo alla Fiorentina, con un totale di 206 gol subiti in campionato, in 220 gare. Allora si giocava molto meno e le difese erano parecchio attente. Sarti contribuì al primo scudetto, con Fulvio Bernardini in panchina. Nel ’55-’56 passò all’Inter, per lasciare spazio a Enrico Albertosi, che poi ebbe la consacrazione anche in Nazionale.
Il più grande traguardo è stato accarezzato dai viola, nella seconda edizione della Coppa dei Campioni. Vinse il Real Madrid 2-0, con rigore di Di Stefano e gol di Gento. Per i viola arrivare in finale fu un’impresa, ancor più dei trionfi con la Beneamata.
“A Milano” – racconta Sandro Mazzola – “arrivò da calciatore maturo e portiere affermato. Io ero un ragazzino, lui e Picchi trovarono ben presto l’intesa, su quell’asse vennero costruite le fortune dell’Inter. Aveva un modo personalissimo di stare in porta: si muoveva un attimo dopo che l’avversario calciasse, voleva avere la percezione dell’accaduto sino alla fine, facendosi trovare sempre pronto”.
Non amava la platealità, con il suo stile aveva segnato un’epoca. È stato l’unico portiere italiano a disputare 4 finali di Coppa dei Campioni. A Firenze aveva anche inanellato 4 secondi posti. Vinse anche una Coppa delle Coppe e una Coppa Italia, entrambe nel ’61, perdendo le finali nel ‘62 della Coppa delle Coppe ’58 e della Coppa Italia ‘60.
Due le delusioni più grandi. Nel ’67 perse proprio la finale della Coppa più importante contro il Celtic, a Lisbona, 2-1, con rimonta scozzese. Poi a Mantova si fece scivolare il pallone dalle mani, su cross innocuo di Beniamino Di Giacomo, e così lo scudetto andò alla Juve, che operò il sorpasso all’ultima giornata.
“I giornalisti” – raccontava – “mi chiamano quando c’è da ricordare una delusione, come la beffa dell’Inter il 5 maggio 2002, a Roma”.
All’Inter restò 5 anni, chiuse alla Juve, con Heriberto Herrera. Giocò 10 partite, da secondo di Anzolin, prima che si rivelasse Roberto Tancredi.
Il club nerazzurro lo ricorda così. “È stato l’incipit di una canzone, il primo nome di 11 che hanno scritto la storia del calcio e dell’Inter. Il simbolo di un’era, firmata dal presidente Angelo Moratti e da Helenio Herrera, che mise la città di Milano al centro delle cartine d’Europa e del mondo”.
Non ebbe fortuna in Nazionale, con appena 8 partite. “Avrebbe sicuramente meritato di più” – sostiene Mazzola – “ma ebbe rivali fortissimi”. Il solito Albertosi e William Negri, detto carburo, portiere del Bologna.
Chiuse la carriera in serie D all’unione Valdinievole, nel ’70.
Arguto e raffinato nei commenti, nell’ultimo decennio era diventato opinionista di Lady Radio, emittente di Firenze. Recente la premiazione per i 90 anni del club viola.
Sarti lascia la moglie Maria Pia e 3 figli: Simona, Costanzo, Giacomo (Riccardo l’aveva perso nel 2006) e 9 nipoti.
Un anno fa la morte di Beppe Virgili, altro anfitrione di una Viola fantastica.
“Si stava bene insieme a lui” – ricorda Alberto Orzan su lanazione.it – “ultimamente ci si vedeva ogni tanto il giovedì al tennis di Ponte a Ema. Era un appassionato lettore di libri, si era dedicato anche a libri impegnativi. Era diventato intellettuale: una volta eravamo in trasferta a Genova e ci portarono al cinema a vedere “il Settimo Sigillo”, un film molto impegnativo. Dopo un quarto d’ora eravamo tutti usciti dalla sala, lui lo vide tutto. E poi lo vide più volte a Firenze”.
Ardico Magnini era il numero due di quella Fiorentina. “Siamo stati una vita insieme” – racconta – “oggi c’è solo tristezza. Era onesto e diligente, un grande portiere. Quando mi hanno avvertito della sua morte mi sono sentito male. Il brutto è che dei vecchi siamo rimasti pochi. I giocatori di oggi non sono così. Ognuno va per conto suo, li vedi con le cuffie, chi va di qua, chi va di là”.
In quella Fiorentina giocava anche Sergio Carpanesi, poi allenatore soprattutto dello Spezia.
“Sarti era molto disponibile, di cuore, bravo. Era un po’ troppo diretto e si creava qualche antipatia. È stato un innovatore perché il primo a interpretare il ruolo di portiere-libero, semplificando i gesti difficili”.
Dopo una breve parentesi come allenatore della Lucchese, una volta tolti i guanti, si era occupato anche della società fiorentina Audace Galluzzo, dedicandosi a commercio e servizi. La salma di Giuliano Sarti sarà esposta al centro coordinamento viola club, sino alle 11. E il funerale sarà nel pomeriggio, alla chiesa di San Miniato al Monte.
Vanni Zagnoli