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Se n’è andato un altro degli eroi dello scudetto del Cagliari 1970.
A 71 anni, venerdì 18 novembre è scomparso Eraldo Mancin, terzino sinistro della squadra che portò il tricolore in Sardegna, al termine di una cavalcata straordinaria. In quella stagione si giocava il posto con Giulio Zignoli, scomparso 6 anni fa, ma poi divenne una colonna dei rossoblù, per 5 stagioni consecutive. E nel ’71-’72 siglò una tripletta inconsueta, per un difensore, dal momento che all’epoca gli esterni si proiettavano raramente in zona offensiva. “Era l’ultima giornata” – raccontava a La Nuova Venezia – “contro il Verona finì 4-1. Ma non chiedetemi come ho fatto, perché non lo so neanche io”.
Mancin è stato uno dei 6 italiani ad avere vinto due scudetti consecutivi con due maglie diverse, nel ’69 infatti conquistò il tricolore con la Fiorentina, poi al Cagliari. I due tricolori in sequenza con squadre differenti furono appannaggio anche di Giovanni Ferrari (Inter nel 1939-40 e Bologna 1940-41) e dell’Udinese Alessandro Orlando (Milan ’93-’94 e Juve ’94-’95), del goriziano Riccardo Toros (Milan 1954-55 e Fiorentina ’55-56); di Roberto Baggio (Juve ’94-’95 e Milan ’95-96) e di Andrea Pirlo, Milan 2010-11 e Juve 2011-12).
Era nato a Polesine Camerini, frazione di Porto Tolle, in provincia di Rovigo, il 18 aprile 1945. Iniziò nel Contarina a 15 anni, nella Promozione veneta, molto più difficile di quella attuale. Veniva da una famiglia di agricoltori, fu convinto dal nonno a proseguire nel gioco del calcio, che gli permise una vita migliore rispetto ai campi. Esordì in B con la maglia del Venezia, poi passò al Verona, quindi al Venezia in A (esordio a San Siro con il Milan), con Armando Segato in panchina. La squadra retrocedette, eppure lui era richiestissimo. Stava per trasferirsi alla Roma, improvvisamente approdò alla Fiorentina, in una super squadra. Eraldo arrivò al Sant’Elia nello scambio di terzini che portò in riva all’Arno Giuseppe Longoni, con un conguaglio a favore dei sardi di 185 milioni di lire. A Cagliari disputò appena 8 partite, nella pria annata, ma all’epoca il turnover e le sostituzioni erano minimi. Oltre a quella famosa tripletta, in A segnò altre due reti, contro il Lanerossi Vicenza e poi contro la Sampdoria. Nell’autunno del 1975 venne acquistato dal Pescara e lì, nonostante problemi fisici, contribuì alle due promozioni in A, nel 1976-1977 e nel 1978-1979, intervallate dalla retrocessione con l’ultimo posto. Concluse la carriera in C2, nel 1979-’80, alla Mestrina del “sor Guido” Robazza, allenata da Giorgio Rumignani.
Da allenatore, iniziò nelle giovanili della Mestrina, nell’80, per due stagioni, poi la Pro Mogliano (Treviso), il Belluno e tre stagioni al Rovigo. Tornò a Mestre, poi l’Union Clodiasottomarina e la Miranese. Era restio all’idea di girare l’Italia come da calciatore, scelse perciò la serie C, senza mai puntare alle vetrine che oggi aiutano a far carriera, e allora per un breve periodo fu responsabile anche del settore giovanile del Favaro.
Sempre molto legato alle vicende del calcio veneziano, gestì per un po’ di tempo un bar, a Mestre.
Viveva a Campalto, nel Veneziano, dove faceva il nonno a tempo pieno, accudendo gli amati nipotini, con la moglie Daniela, per conto dei figli, Federica e Antonio. Gli è stata fatale una malattia genetica al fegato, era in cura all’ospedale dell’Angelo di Mestre. Trascorreva i mesi estivi al mare, al Cavallino-Treporti, dove la famiglia Mancin è molto conosciuta.
Il Cagliari l’ha ricordato con una pagina per celebrarne la carriera e manifestare la propria vicinanza alla famiglia. Anche a Firenze resta molto popolare, soprattutto fra i meno giovani, capaci di declinare a memoria la squadra del secondo scudetto, capitanata da Giancarlo De Sisti: “Superchi, Rogora, Mancin…”.
A Firenze giocò due stagioni, 51 presenze dal ‘67 al ’69. “Annate bellissime” – raccontava nel 2010 a Il Resto del Carlino – “culminate con lo scudetto. Il trionfo arrivò alla penultima giornata, con il pareggio del Milan, secondo. Noi il giorno dopo vincemmo 2-0 in casa della Juve: la gioia dei nostri tifosi fu incontenibile, in uno stadio Comunale tutto viola”.
Nella Viola fu allenato da Beppe Chiappella e da Pesaola. “Meglio Chiappella” – spiegava – “è a lui che va gran parte del merito, perché costruì la squadra del tricolore. Era un signore. Pesaola, argentino emigrato a Napoli, invece era più navigato: raccolse i frutti”.
Il vero scudetto di Mancin fu a Firenze, insomma, nell’altro è stato comprimario. “Il titolo di Cagliari è stato tutta un’altra cosa, complice una mentalità diversa. A Firenze i tifosi sono pazzi di passione, la gente di Cagliari è più pacata. Non scelsi io di andare lì, mi ci ritrovai all’ultimo minuto, a fine estate. La delusione fu grande, perché ero stato l’unico ceduto. Invece fu la mia fortuna, perché in 6 anni mi trovai benissimo”.
A Firenze giocò 29 partite su 30, ne saltò una per squalifica. Fu un diverbio con Pesaola a promulgare il passaggio sull’isola: strano, dal momento che Mancin era una persona molto gentile, come poche, nel calcio. E anche per questo si trovava bene con Riva: “Nella sua squadra era facile vincere, bastava dargli la palla”.
Rimase legato alla Sardegna, ogni tanto si concedeva qualche giorno con gli amici dell’Amsicora, ricordando mister Manlio Scopigno.
Della Fiorentina, invece, raccontava le scaramanzie del Petisso Pesaola e il voto di Ugo Ferrante, scomparso nel 2004: “Aveva promesso il taglio dei capelli alla prima sconfitta, si ritrovò capellone, con lo scudetto in tasca”.
Il suo avversario più difficile da marcare è stato Amarildo, poi suo compagno in viola. “L’avevo incontrato per la prima volta a San Siro” – raccontava – “lui con il Milan e io con il Venezia. Allora si giocava a uomo, a me fu assegnato il compito di marcare il brasiliano ma era difficilissimo, contro quel fantasista, servirono molti falli”.
La moglie Daniela lo ricorda così: “Eravamo sposati da 51 anni. L’avevo conosciuto giovanissimo, quando giocava con il Venezia. Sono stata fortunata, ad averlo nella mia vita: aveva pensieri e attenzioni per tutti, non voleva mai mettersi al centro dell’attenzione, evitava pertanto di parlare dei suoi trascorsi calcistici. Non voleva disturbare, né l’ha fatto nella morte. Andava d’accordo con tutti grazie al suo bel carattere”.
E anche per questo mancherà a molti, nel mondo del calcio.
Vanni Zagnoli