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Addio a Fino Fini, il custode del Museo di Coverciano, che aveva inaugurato nel 2000. Se ne va a 92 anni questo medico della tempra eccezionale, che avevamo incontrato a margine di un evento con la FIGC e l’USSI, due anni fa. Ci stava raccontando la sua storia, in lungo, se non che ci fu un problema elettrico, di allarme, e allora si fermò e noi ne approfittammo per girare fra quelle bellissime maglie e cimeli d’epoca, dei mondiali, con tanto Brasile ma non solo. Aveva una bella poltrona, una scrivania con tanti appunti e lì ricordava con straordinaria memoria l’intero suo percorso professionale.
Fu il medico azzurro, da Inghilterra 1966, passata alla storia per la sconfitta di Edmondo Fabbri con la Corea del Nord, all’argento di Messico ’70, sino agli ultimi mesi con Enzo Bearzot, campione del Mondo nell’82, anche se lì era diventato vice di Leonardo Vecchiet, che era stato suo secondo.
Fino Fini aveva quel nome e cognome così particolare e fino era davvero, per il garbo con cui ascoltava tutti.
Era direttore del Centro Tecnico di Coverciano, la casa della Nazionale, e aveva ideato quel Museo del Calcio, con la prima maglia azzurra di Piola e i cimeli di tante avventure iridate.
“È un giorno triste per il calcio italiano” – dice il presidente della FIGC, Gabriele Gravina – “una grave perdita per il nostro movimento e per l’ambiente azzurro. Aveva passione, entusiasmo e cultura infinita”.
Classe 1928, Fini cominciò i suoi 6 campionati Mondiali dal Cile 1962, finito presto, con l’Italia ingiustamente in 9, contro i padroni di casa, e poi con l’Inghilterra. In Messico dovette occuparsi del curioso incidente a Pietro Anastasi, prima della spedizione fu vittima di uno scherzo, si fece male a un testicolo e non potè partire, dopo avere deciso la finale bis dell’Europeo ’68, all’Olimpico.
In parallelo, iniziò a guidare il Centro Tecnico Federale di Coverciano, dal 1967. “Erano altri tempi” – ci confessava – “per cui non era così inconsueto che un medico si occupasse anche di allenatori”.
Lo resse sino a 73 anni, al ’95, curandone ogni dettaglio, nella struttura che ospitava i raduni dell’Italia calcistica. Gestiva la Scuola federale allenatori, essendo stato anche Segretario del Settore Tecnico della FIGC.
Arrivò in Nazionale dopo il Cile, assieme a Mondino Fabbri, chiamato dall’allora presidente della Federcalcio, Giuseppe Pasquale, ferrarese, ex pugile e già dirigente della Spal. L’uscita con la Corea fu accompagnata da polemiche, anche sull’operato medico. Al rientro in Italia alcuni giocatori accennarono a fialette, le “punture rosa”, a gambe improvvisamente molli. Episodi mai chiariti del tutto, ma nei quali Fabbri lesse una sorta di congiura ai suoi danni.
Il ct del periodo aveva raccolto le testimonianze di Bulgarelli e Lodetti, di Facchetti e Pascutti, di Janich e Mazzola, di Rosato, Fogli e Rivera, per provare l’ipotesi della congiura, mancò qualche conferma. I giocatori interpellati accennavano a sospette cure mediche e a un’insolita freddezza dei dirigenti federali nei momenti topici del campionato Mondiale. Erano preoccupati dell’imprevista pubblicità, per cui smussarono le posizioni, per quanto avvenuto alla scuola dell’agricoltura di Durham. Ebbe il sopravvento la tensione, nel clan azzurro, mentre alcuni dirigenti rinunciarono ad appianare le grane interne, dai premi alla rivalità fra interisti e il blocco Milan–Bologna. Peraltro, Facchetti e Rivera avevano denunciato inspiegabili tremori e gambe molli, Rivera parlava di mancata assistenza economica, Bulgarelli e altri si soffermarono su iniezioni misteriose. Fino Fini annunciò querele per tutti, mentre il massaggiatore Tresoldi smontò le accuse punto per punto. “Le fialette erano semplici vitamine. L’aroma sospetto che si respirava nelle saune era un comune bagnoschiuma”.
Quando Fabbri raggiunse Facchetti per raccoglierne la testimonianza, si presentò come inviato del presidente Pasquale. Voleva inchiodare il capo-delegazione Artemio Franchi e proprio il dottor Fini, che avrebbero tramato nell’ombra per silurare lo stesso Pasquale. L’indagine si sfilacciò e pagò Fabbri, con un anno di squalifica, mentre stava per firmare con il Milan.
Nel 1982, a 64 anni, Fini era diventato il vice di Vecchiet, triestino, classe 1933, scomparso nel 2007. L’Italia vinse anche grazie alla carnitina, produttore di energia. Nulla di proibito, era poco più di una vitamina. “Ci dava quel qualcosa in più” – disse Pablito Rossi – “se non altro a livello mentale”. All’epoca fece discutere.
Due anni fa, per i 90 anni, fu festeggiato da tanti personaggi del pallone, tra cui gli ex viola Giancarlo de Sisti e Giancarlo Antognoni, simboli del trionfo agli Europei del ’68 e del Mundial spagnolo dell’82, e poi dalla vicedirettrice della Figc Francesca Sanzone e da Renzo Ulivieri, il presidente degli allenatori. C’erano anche Alberto Di Chiara, Enrico Chiesa, il padre di Federico, che fu sorpreso dalla sua straordinaria lucidità. C’era anche Carolina Morace che ricordava di averlo conosciuto quando aveva debuttato in nazionale, a 14 anni. E c’erano anche i figli del suo presidente e del suo ct, Francesco Franchi e Furio Valcareggi.
Aneddoti curiosi arrivano da Matteo Marani, vicepresidente della fondazione Museo del Calcio. “Fu l’artefice dello scambio di pipe fra Enzo Bearzot e il presidente della Repubblica Sandro Pertini, nel 1982. Era stato lui a raccogliere le maglie e ogni genere di cimeli, per il museo, chiedendo proprio a ciascun giocatore di contribuire. La Coppa del Duce nel ’34 aveva sostituito la Coppa Rimet, era finita in un magazzino abbandonato della Federazione, Fini si presentò da solo, con la sua macchina, gli inservienti lo guardarono con sospetto e lui la portò via: “Denunciatemi pure” – disse – “ma io la porto al museo”.
E prima del Mondiale del 2006, quando l’Italia non partiva certo con i favori del pronostico, strappò a Fabio Cannavaro la promessa di portare tutta la muta al museo. “Dunque maglia, calzettoni, calzoncini. Il capitano fu di parola, le portò ma avrebbe voluto tenere almeno la fascia, Cannavaro naturalmente si piegò”.
A Coverciano resta la bandiera a mezz’asta, da ieri, in segno di lutto.
Fu anche componente della Commissione Tecnica dell’Uefa, dal 1972 al ’95, e della Commissione Consultiva Medica della Fifa, dal 1978 al ’95.
Bei ricordi arrivano anche da Alberto Polverosi, su www.calciomercato.com. “Fino andava orgoglioso dell’amicizia con Gigi Riva. Raccontava spesso il giorno in cui i due divennero davvero amici. Fu per merito di un ceffone: ‘Eravamo a Londra, per un torneo della Juniores, Gigi aveva 18 anni. Accadde negli spogliatoi dello stadio del Fulham, il Craven Cottage, alla fine di una partita che ci avrebbe dato la qualificazione, se l’avessimo pareggiata. Due ragazzi della nostra squadra litigarono in campo e il tecnico di allora, Giuseppe Galuzzi, li fece uscire entrambi, così perdemmo. Negli spogliatoi Riva era imbufalito, tirò un cazzotto a uno specchio proprio davanti a me e io gli mollai un sonoro manrovescio. Lui mi abbracciò e cominciò a piangere. Nacque così la nostra amicizia’. Per noi cronisti di Firenze è stato un riferimento. L’ho conosciuto quando a Coverciano venivano ad allenarsi le Nazionali giovanili, la Juniores di Italo Acconcia e la Under 21 di Azeglio Vicini. Fini ne ha viste tante di quelle partitelle, accanto a Ferruccio Valcareggi e a Sandro Selvi, lo storico massaggiatore della Nazionale Campione del mondo”.
Fini è stato ricordato dal ministro dello sport Vincenzo Spadafora: “Lo sport italiano, in particolare il calcio, perde una figura storica”.
Il sindaco di Firenze, Dario Nardella, parla di “uomo di profonda umanità e competenza. Coverciano è stata tutta la sua vita, ha conosciuto i ct Fabbri e Valcareggi, Bearzot, Maldini e Trapattoni. E poi Rivera, Riva, Baggio”.
Proprio la storia del calcio
Vanni Zagnoli