Assocalciatori.it, la morte di Giancarlo Salvi a 71 anni. 11 stagioni alla Sampdoria, poi al “Real” Vicenza. Era socio di Paolo Rossi nell’immobiliare. I ricordi degli ex compagni, di Luciano Marangon dalla Spagna. L’intervista a Il Giornale di Vicenza, nel 2001: “Ma in biancorosso non volevo venire”

La formazione del Vicenza 2° in serie B, nel '77-'78
La formazione del Vicenza 2° in serie A, nel ’77-’78

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La versione integrale del pezzo per www.assocalciatori.it

di Vanni Zagnoli

Il Real Vicenza perde per sempre il suo motorino. Giancarlo Salvi è morto ieri all’ospedale di Vicenza, a 71 anni. Era stato centrocampista di Sampdoria, Milan e Vicenza. In biancorosso approdò a 31 anni, ottenendo le maggiori soddisfazioni. Con Paolo Rossi centravanti, fu tra i protagonisti della promozione in serie A del 1976-1977 e del secondo posto nel campionato successivo, dietro alla Juventus.

Nato a Dego, in provincia di Savona, era cresciuto nelle giovanili della Sampdoria, con la quale disputò 10 campionati di A e uno di B, per poi trasferirsi in Veneto, dov’è rimasto tutta la vita. I funerali si terranno lunedì, nel Duomo di Vicenza.

I RICORDI: Cerilli e Miani, Pallavicini e Silipo.

Dal pomeriggio su facebook si rincorrono i pensieri degli ex compagni, a partire dalla pagina di Franco Cerilli, uomo forte di quei biancorossi. “E’ successo così all’improvviso che non ho avuto il tempo di salutarti. Mi manchi tanto, amico, davvero, e tante cose son rimaste da dire… Il mio discorso più bello e denso esprime con il silenzio il suo senso (citazione da L’arcobaleno). Ciao Giancarlo…”. Riposa in pace”. L’ex compagno

Luciano Miani: “Che tristezza. Ciao amico mio. Rip”.

E Fausto Silipo, ex terzino in particolare del Catanzaro, negli anni ’70. “Gran bravo ragazzo, a Genova abitavo nella sua casa”. Altro centrocampista dell’ex è stato Giovanni Lorini, già bandiera del Brescia e per 4 gare in quel Vicenza: Rip, grande uomo!”.

In biancorosso arrivò anche il mediano e poi libero Giuseppe Pallavicini, ma dal 1984: “Sono molto triste, mi mancano le parole. Condoglianze alla famiglia, sei stato un grande in tutto”.

IL REAL VICENZA: l’ex bandiera Prestanti e, a Ibiza, Luciano Marangon.

Quella squadra berica si declinava a memoria: Galli; Lelj, Marangon; Guidetti, Prestanti, Carrera; Cerilli, Salvi, Rossi, Faloppa, Filippi. Allenatore Gb Fabbri, scomparso un anno fa.

Lo stopper era Valeriano Prestanti, che sui social si rivolge a Salvi così: “Quando in allenamento provavamo i calci piazzati, ti dicevo: “Gianca, mettimela lì e tu non sbagliavi mai. I pochi gol che ho fatto in serie A li devo a te. Mi rimarrà nella mente la sua simpatia, mi facevi morire con le tue battute intelligenti e mai banali. In una partita eravamo in vantaggio per 3-0, tu passasti davanti alla panchina avversaria e sorridendo gli dicesti Vi arrendete?”. Come s’incavolarono… Ci mancherai tanto…”.

I biancorossi giocavano talmente bene che sembravano il Real.

Dalla Spagna raccogliamo al telefono la testimonianza di Luciano Marangon, avvisato dalla figlia Beatrice, nipote del grande Alfonso Santagiuliana, 400 partite nel Lanerossi e già del grande Torino, scomparso nel ’94

“Sapevo che non stava bene – racconta -, di problemi al cuore. L’indebolimento generale dell’organismo l’ha portato a questo virus. Manco dall’Italia da anni e l’ultima volta che fu a una cena di ex biancorossi, organizzata da Ernesto Galli, Lelj e Carrera, rimasti a vivere a Vicenza. C’erano anche Farina e Gb Fabbri. Era un ritrovo di quel gruppo che fece grande la città. La morte di un ex compagno tocca sempre, abbiamo condiviso momenti importanti, dispiace. La vita è questa, tantopiù quando scompare un giovane. Qui faccio le condoglianze alla moglie e alle figlie”.

Marangon non sarà ai funerali, è a Ibiza, dove il Soul beach, un tratto di spiaggia e ristorante.

“Era doveroso il saluto a un amico che ci ha lasciato. Faceva parte di un gruppo di persone molto umane, serie. Quel Vicenza lascia in tutti un bel ricordo”.

LA SCHEDA. In serie A, Giancarlo Salvi collezionò complessivamente 313 presenze e 40 reti. Tante, anche se a lungo fece il centravanti. In serie B, 75 partite, con 17 gol. Alto uno e 70, per 68 chili, esordì in serie A a Genova, il 15 settembre del 1963, in Sampdoria-Messina 3-1. La carriera, nel dettaglio.

STAGIONE SQUADRA SERIE PRES. RETI

1963-64 SAMPDORIA A 22 4

1964-65 MILAN     A 2

1965-66 SAMPDORIA A 29 11

1966-67 SAMPDORIA B 38 12

1967-68 SAMPDORIA A 26 1

1969-70 SAMPDORIA A 22 3

1970-71 SAMPDORIA A 28 8

1971-72 SAMPDORIA A 23 2

1972-73 SAMPDORIA A 26 6

1973-74 SAMPDORIA A 18 1

1974-75 SAMPDORIA A 25

1975-76 SAMPDORIA A 11

1976-77 VICENZA   B 36 5

1977-78 VICENZA   A 30 1

1978-79 VICENZA   A 28

1979-80 VARESE   C1 30 8

1980-81 VARESE    B

ott. 80 Vicenza   B 1

L’INTERVISTA di 15 anni fa. Una pagina dedicata a Giancarlo Salvi uscì domenica 4 novembre 2001, su Il Giornale di Vicenza, realizzata da Marino Smiderle, anche firma de Il Giornale. Qui la riprendiamo quasi integralmente.

“Due giocatori con un’improbabile maglia del Vicenza – l’attacco del pezzo, dopo l’ambientazione -, quella rossa con maniche bianche arricchite dalle tre strisce Adidas. Uno è Giancarlo Salvi, che quand’era in campo lan ciava i palloni a Paolo Rossi (l’altro biancorosso nel poster), con precisione geometrica. Ora la geo metria la riversa sulla carta millimetrata che ricopre la scrivania. Case, appartamenti, cantieri da seguire: da mezzala ad agente immobiliare, la tecnica di Salvi è sempre quella. Precisione, estro, classe. Prima sul campo, poi nei progetti”.

“Facciamo tutto con materiali di prima qualità – rispose Salvi -. Pensi che per scegliere il marmo mi sono fatto accompagnare a Carrara da Marcello Lippi, mio ex compagno di squadra alla Sampdoria. Ho scoperto che si può vivere benissimo senza il calcio. Fino a qualche tempo fa era la mia vita e, quando incontravo per strada due ragazzini che si scambiavano un pallone, mi fermavo a guardare. Adesso tiro dritto».

– Basta sport?

«Al martedì sera faccio il maestro di tennis per alcuni amici. Poi andiamo a cena e stop. Ricordo il giorno in cui ho smesso di andare allo stadio. Ero in tribuna col mio amico Ramonda e, ad un certo punto, gli ho detto: “Io vado a casa”. Mancavano venti minuti alla fine. Sono passati diversi anni e io al Menti non ho più messo piede. Guardo qualche partita in tv, ma non è che mi diverta molto. Non voglio passare per il vecchio rincoglionito che si lamenta e dice che ai suoi tempi era meglio».

  • Però è così…

«Beh, alla Sampdoria eravamo io, Frustalupi e Roberto Vieri, papà di Christian. Avevamo più o meno lo stesso ruolo. Siccome sapevamo giocare, Fulvio Bernardini schierò me centravanti e ci fece giocare tutti e tre. Altro che schemi, tattiche e moduli. Chi ci sapeva fare, giocava. Poche chiacchiere».

– Si erano accorti subito che Salvi ci sapeva fare?

«Da ragazzo giocavo prima della pri- ma squadra e già qualche osservatore aveva sparso la voce che c’era un campioncino che avrebbe fatto comodo alla Sampdoria».

– Come avvenne il suo passaggio in blucerchiato?

«In uno dei soliti provini. Solo che, oltre ai dirigenti doriani c’erano osservatori di altre squadre. Così, dopo appena 10 minuti di test, uno mi prende da parte e mi dice: “Vai via”. Era della Samp e non voleva che mi vedessero gli altri osservatori. Tra giovanili e prima squadra, ho vestito la maglia della Sampdoria per 17 anni. Volevano farmi esordire in A a 16. All’epoca l’allenatore era Lerici, un ex vicentino. Si giocava Samp-Milan, poco prima dell’inizio si tirò indietro. Troppo rischioso».

  • Che ambiente era, a Genova? «Splendido. Eravamo un gruppo di giovani promettenti, tanto che vincemmo il torneo di Viareggio, con Francesco Morini (poi stopper di Juve e Milan, ndr), Mario Frustalupi (centrocampista di Inter e Lazio) e Giampiero Ghio (centravanti di Inter e Palermo). E poi c’erano i vecchi, i campioni. Io venni preso sotto l’ala protettrice di Skoglund, l’ex interista. Spesso passava a prendermi in auto e mi accompagnava a fare gli allenamenti. Più tardi giocai con Luisito Suarez. Sono stati i due più grandi campioni che ho conosciuto: tutto genio e sregolatezza il primo, dedizione e professionalità il secondo. Due maestri”.
  • Chi la fece esordire?.

«L’austriaco Ocwirk. Era stato un grande giocatore e, da tecnico, si è dimostrato un gran signore. Ricordo l’esordio a Marassi. Il Messina va in vantaggio e poi io segno il gol del pareggio. Finirà 3-1 per noi. Debutto con gol: meglio di così non poteva andare».

  • E di lei si accorse il Milan.

“Fu una parentesi. La Samp aveva chiesto Barison e i rossoneri chiesero di poter scegliere uno dei giovani della nidiata vincente al Viareggio. Il presidente dell’Inter, Angelo Moratti, voleva comprarci tutti. Il Milan scelse me, ma gio- cai poco perché ero chiuso dai grandi campioni rossoneri. Venni valutato 200 milioni, mica briciole, ma l’anno dopo tornai alla Samp».

Dove esplose come goelador.

«Sì, Bernardini mi ritaglia il ruolo di centravanti. Col senno di poi, potrei dire che quella scelta mi fece perdere qualche anno di carriera. Nel senso che ero una mezzala nata ma ho potuto dimostrarlo appieno solo anni dopo. Però sono molto affezionato a quell’allenatore».

Chi era il difensore più duro di quei tempi?

«Il calcio non è sport per signorine. È uno sport di contatto fisico, è fatale che ci siano contrasti anche duri. Ricordo che Rogora, della Fiorentina, era tristemente celebre per la sua, diciamo così, ruvidez- za. Faceva il riscaldamento tirando calci al muro dello spogliatoio, tanto per rendere l’idea».

– La partita più bella in blucerchiato?

«Cross di Badiani, correzione di Rossinelli e tiro al volo del sottoscritto: gol splendido e derby con il Genoa vinto 2-0. Ma è solo un flash. Di partite e gol ne potrei citare un’infinità».

– E com’è finita la lunga avventura genovese?

«Male. Ultimo giorno di calciomercato, alle dieci e mezza di sera mi chiama a casa il giornalista Franco Tomati (La Gazzetta dello Sport, ndr) e mi dice: “Cosa ne dici del tuo trasferimento al Vicenza?”. Mi è caduto il mondo addosso, anche perché avevo da poco avviato un’agenzia di assicurazioni in società con Lippi. E poi veder can- cellati in quel modo 17 anni di onorata militanza non mi pareva elegante».

– Rifiutò il trasferimento?

«Fu Eugenio Bersellini a pretendere lo smembramento della squadra, che poi retrocedette. Io andai dal presidente e per cinque giorni massacrai tutti con dichiarazioni di fuoco sui giornali. Dissi, tra le altre cose, che a Vicenza non sarei mai andato”.

– E invece?

«G.B. Fabbri mi chiamava tutti i giorni e tentava di convincermi. Io ero irremovibile ma per cortesia andai con mia moglie a trovare il gruppo biancorosso. Non conoscevo nessuno, tranne Dolci, Galli e Vitali. Mi convinsero a giocare un’amichevole a Mantova. La sera tornai da mia moglie che mi aspettava in albergo, al Continental. “Veniamo qui”, le dissi. Quella squadra mi aveva impressionato».

– E così firmò il contratto.

«Fu una accordo particolare. Nel senso che io volevo una cifra e la società me ne offriva un’altra, più bassa. Buttai là una proposta a Curzio Levante. “Accetto la vostra offerta, ma se alla fine del campionato conquistiamo la promozione mi date cinque milioni in più”. Affare  fatto. Fu una cavalcata trionfale e il sottoscritto intascò il premio pattuito».

– Senta, ma è stato Salvi e fare la fortuna di Rossi o Rossi a fare la fortuna di Salvi?

«Io dico sempre a Paolo che se non ci fossi stato io col cavolo che avrebbe fatto tutti quei gol. Lui replica che se non ci fosse stato lui io avrei dovuto chiudere la carriera quattro anni prima. La verità è che se uno ha le stimmate del campione, prima o dopo vien fuori. E Rossi le aveva tutte».

– Sua moglie accettò di buon grado il trasferimento a Vicenza?

«Olga e io avevamo già due figlie, Monica e Cristina. Mi fu vicina e condividemmo la scelta. Ci siamo trovati così bene che siamo ancora qui».

  • La sua versione sulla retrocessione del 78-79? «Purtroppo ci eravamo rilassati. A sette giornate dalla fine avevamo 22 punti. La Fiorentina venne a Vicenza e si sarebbe accontentata di un punto. Noi invece pensavamo ancora alla Coppa Uefa. A pochi minuti dalla fine Venturin ci castigò. Sappiamo com’è andata a finire».

– Poi venne Ulivieri e fece piazza pulita.

«Con Renzo mi beccai. Ma riconosco che dopo una retrocessione un repulisti ci vuole. Feci in tempo a conoscere Eugenio Fascetti, allenatore del Varese, eccezionale e comprensivo. Avevo già iniziato l’attività con Paolo a Vicenza e spesso mi concedeva permessi e licenze. Quel Varese non era male. Giocavano Martina, Luca Pellegrini, Cerantola. Vincemmo il campionato e conquistammo la serie B».

– Poi di nuovo a Vicenza.

«Il presidente Giussy Farina voleva a tutti i costi che rimanessi nell’ambiente. Mi ritenevano l’uomo adatto per fare il gruppo. Giocai una partita e poi gli telefonai: “Grazie per la fiducia ma è meglio che faccia dell’altro”. Quell’anno mi allenai sempre e disputavo regolarmente le partitelle del giovedì. Ma chiusi definitivamente con l’attività agonistica».

– Mai pensato di rimanere nel calcio?

«Mi sarebbe piaciuto fare l’allenatore, ma vedevo che razza di vita erano costretti a fare. Non ero disposto a lasciare Vicenza e così, dopo diverse stagioni da dirigente biancorosso, mi dedicai completamente all’attività immobiliare».

– Tempo libero?

«Del calcio di un tempo mi è rimasta la trasmissione radiofonica Tutto il calcio minuto per minuto. Per il resto, tennis. E poi la gioia di passare qualche ora col mio nipotino Filippo».

Giancarlo Salvi II

 

 

A cura di Giangabriele Perre

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