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di Vanni Zagnoli
Addio a Gigi Radice, a 83 anni, il sergente di ferro, l’allenatore con gli occhi di ghiaccio, scomparso per le conseguenze dell’Alzheimer, la malattia più terribile per gli anziani.
Radix, com’era soprannominato dal Guerin Sportivo, si aggiudicò 6 derby di Torino, è stato l’allenatore granata più fedele, 375 partite di campionato, più della metà vinte e solo 80 perse: 10 stagioni, dal ’75 all’80 (scudetto subito, l’unico dopo la tragedia di Superga, poi secondo posto a un punto dalla Juve) e dall’84 (secondo, dietro al Verona) all’89.
Radice si era ritirato a 63 anni, dopo avere autografato l’ultima promozione del Monza in B, ai playoff contro il Carpi. Da dodici anni combatteva una battaglia impossibile, confortato dalla moglie Nerina (82) e dalle figlie Cristina ed Elisabetta: il figlio Ruggero, ex terzino sinistro del Siena, era rimasto in Toscana, nel settore giovanile bianconero, e poi è passato in Sardegna, all’Olbia. L’avevamo intervistato nel 2015, per Il Giornale.
Ruggero, come convive il mister con l’Alzheimer?
“Purtroppo non ha speranze di guarigione”.
Quando è iniziata la malattia?
“Forse avevamo sottovalutato qualche piccola amnesia. Da 5 anni si è aggravata, dopo l’anestesia per l’intervento a un’anca”.
Cammina ancora?
“E’ tornato a muoversi benissimo, il problema è la mente, andata in tilt. Sapevamo che la situazione sarebbe peggiorata, speravamo non diventasse tanto drammatica, ora è stazionaria”.
Come si manifestarono i primi segnali?
“Non si colgono subito, nell’istante in cui te ne accorgi è già troppo tardi: neanche esistono possibilità di miglioramento. E’ stata una mazzata tremenda, soprattutto per mamma, proviamo a fronteggiarla nel migliore dei modi. Purtroppo la degenerazione cerebrale è a un livello tale che non si può essere ottimisti”.
L’Alzheimer fu riconosciuta per la prima volta quasi 110 anni, in Italia ne soffrono 492mila persone. Esistono rimedi?
“Non credo, al di là delle ricerche effettuate. E’ una patologia subdola, fa precipitare nel baratro profondo”.
Vujadin Boskov, allenatore dell’unico scudetto della Sampdoria, nel ’91, si è arreso alla malattia a 82 anni.
“La nostra famiglia è sensibile soprattutto a chi combatte la Sla. Mamma Nerina ammira tanto Chantal, la vedova di Stefano Borgonovo, per la forza d’animo”.
Il mondo del calcio vi è vicino?
“Ci aveva lasciati nell’indifferenza totale. Sino al 2010 avremmo gradito le visite, ora papà riconosce a fatica solo i familiari, per cui non è più necessario andarlo a trovare”.
Perché un simbolo del cuore granata era stato abbandonato?
“In fondo era uscito di scena nel ’98… Eravamo abbastanza delusi, per il comportamento di chi ci sta intorno. Gli sono rimasti alcuni amici intimi, per il resto sono pochi: qualche ex giocatore granata si fa sempre vivo, assieme ad amici di Torino. Purtroppo papà non è più quel che era, anche per questo era dimenticato”.
Una bella manifestazione di affetto gli era arrivata a gennaio del 2015, per gli 80 anni: la maglia autografata dai torinisti di oggi, recapitata dal dg Antonio Comi…
“Ci ha fatto molto piacere, anche papà aveva compreso e apprezzato”.
Da allenatore era soprannominato anche “il tedesco”. Perché?
“Non aveva un carattere facilissimo, era un sergente di ferro. Rifiutava i i compromessi, proseguiva di testa sua, anche per questo era stato in panchina per 30 stagioni”.
Lei è stato difensore per 19 stagioni.
“Ho sposato una senese e sono rimasto nel calcio. Vivo il dramma di mio padre indirettamente, vado a trovarlo quando torno a Monza. Mamma e le mie sorelle gli sono sempre vicine: il 3 luglio sono stati 55 anni di matrimonio; in quella data, ma 10 anni dopo, sono nato io”.
Quella, forse, sarà stata l’ultima cosa che gli era rimasta stampata nella memoria.
Da calciatore, Radice cominciò e finì al Milan (tre scudetti e una coppa dei Campioni), a 30 anni; da tecnico iniziò e terminò al Monza, portato in B per l’ultima volta, nel ’97, con Abbiati fra i pali. In mezzo la prima Serie A del Cesena, due volte alla Fiorentina, al Cagliari e al Bologna, anche Milan, Bari, Inter, Roma e Genoa; propose pressing a tutto campo e calcio totale alla olandese, con schemi mutuati dal basket.
Nel ’79, ad Andora (Savona), la sua Fiat 130 si scontrò con un tir: era in fin di vita, si riprese; accanto morì carbonizzato il suo osservatore Paolo Barison.
Qui proponiamo brani da Libero, intervista del 2012, alla moglie Nerina.
La fede in che misura vi conforta?
“È imprescindibile. Come l’amore”.
Don Aldo Rabino, dal ’71 cappellano del Torino, scomparso nel 2015, ricordava che Radice prevedeva la messa collettiva alla vigilia di ogni partita interna.
“Non si tirava mai indietro, coinvolgeva i giocatori”.
Il mister segue ancora il calcio in tv?
“No. E da tempo. Fisicamente è sano, si alimenta, ma dall’estate è dimagrito 10 chili”.
Ogni giorno a Monza frequenta un centro specializzato, con una trentina di pazienti.
“Uomini e donne, fra i 60 e gli 80 anni, non è neppure il più anziano. Tutte le mattine lo accompagniamo in macchina, pranza alle 13, poi rientra e rimane a casa. Là vede gente, è seguito da un fisioterapista, da un medico. La struttura è davvero esemplare”.
Ha conosciuto Urbano Cairo?
“Nel 2006, in occasione del trentesimo anniversario della morte di Giorgio Ferrini, suo vice nella stagione dello scudetto. Ci siamo ritrovati a Torino, Gigi già non stava bene, il presidente se ne sarà accorto, io sul momento no”.
Come vive il derby?
“Per noi è una giornata come le altre. Il Toro ci è rimasto nel cuore, sono stati gli anni più belli della nostra vita, mi sembra però talmente lontano…”.
Si dice sempre che gli sportivi combattano meglio le malattie, che la tempra forte aiuti.
“Nel suo caso, purtroppo, è ininfluente”.
La sua memoria storica era Romano Cazzaniga, suo vice per 19 anni. “E’ un grande dolore” – ricorda – “Mi aveva conosciuto quando ero portiere alla Pro Patria, mentre lui allenava il Treviso. Mi volle con sé a fine carriera, dal Torino. Ero il portiere di riserva della squadra campione d’Italia, nel ’76, per tre stagioni, e poi lo seguii da vice dall’80”.
Con Cazzaniga ricordiamo il Torino di Coppa. “Uscimmo al secondo turno di coppa Campioni, contro il Borussia Moenchengladbach, che poi si sarebbe aggiudicato il trofeo, nel ’77. Arrivammo ai quarti di Uefa, un decennio più tardi, sconfitti nei quarti a Innsbruck, dal Tirol: 0-0 al Comunale, con rigore sbagliato da Dossena, e 2-1 in Austria, al ritorno, con arbitraggio penalizzante. Ma anche un’altra volta facemmo strada”.
E’ troppo facile ricordare il Torino scudettato, la rosa, i grandi, Pulici e Graziani, preferiamo parlare con Roberto Salvadori. E ricordare con l’ex difensore, 68 anni, gli altri gregari. Salvadori fa l’agente di commercio per una società francese di semilavorati e materie plastiche, pur da pensionato: “Questo è davvero l’ultimo anno”.
Giuseppe Pallavicini, ex libero, in B al Monza e alla Reggiana, è il segretario o vice presidente dell’Associazione calciatori granata. A 72 anni, il terzino destro dell’epoca, Nello Santin, veneziano, guida una squadra femminile, mentre la riserva Roberto Bacchin era procuratore. Le ali destre erano Salvatore Garritano, nel cuore di una società di intermediazione calcistica spagnola, e Gianni Roccotelli, noto poi per i colpi di tacco al Cagliari e al Cesena, ha una scuola calcio in Sardegna. Roberto Mozzini abita a Reggio Emilia, ha 67 anni e l’abbiamo incontrato anche l’anno scorso, in libreria con Ciccio Graziani, personaggio tv.
Gigi Radice è diventato anche un libro, il sergente di ferro dagli occhi di ghiaccio, scritto da Francesco Bramardo, pensionato de La Gazzetta dello sport.
Da “Assocalciatori.it”