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È morto a 82 anni Franco Janich, friulano, ex stopper e poi libero, da metà anni ’50. Da mesi lottava contro una grave malattia che non gli aveva consentito di partecipare all’inizio di ottobre alla festa per i 110 anni del Bologna.
Cresciuto nello Spilimbergo, in Friuli, in quarta serie, iniziò nell’Atalanta, in Serie A, con 18 presenze, poi un triennio alla Lazio di Fulvio Bernardini, con cui conquistò la prima Coppa Italia del dopoguerra.
Passò al Bologna dal 1961 al 1972, giocò 376 partite in rossoblù: 294 in Serie A, più lo spareggio dell’Olimpico per lo scudetto contro l’Inter, 40 in Coppa Italia, 41 in Europa, vincendo lo scudetto (1963/64), la Coppa Italia (1969/70) e la Mitropa Cup (1961). “Addio Franco, campione sul campo e nella vita”, scrive il sito del Bologna.
In rossoblù Janich arretrò il raggio d’azione, trasformandosi in libero e formando con Tumburus una grande coppia di centrali. Grande e grosso, bravo nell’anticipo, formidabile di testa, venne soprannominato l’Armèri, l’armadio in dialetto bolognese. Chiuse nella Lucchese, nel ’72-’73.
Nonostante le sue doti di grintoso marcatore era di una correttezza straordinaria: in 482 partite tra A e B nessuna espulsione e zero squalifiche, un record. Sei invece le presenze in maglia azzurra, dal 1962 al ’66.
La famiglia viveva a Nemi, nella campagna laziale.
Terminata la carriera di giocatore, Janich ricoprì cariche dirigenziali. Fu direttore generale del Napoli dal 1972 al 1976 e dal 1978 al 1980. In mezzo, un anno al Como come direttore sportivo, tornando poi nello stesso ruolo anche alla Lazio. L’anno successivo diventò diesse della Triestina.
Al Bari lavorò dal 1983 al 1992, viene ricordato soprattutto per la doppia promozione dalla Serie C alla A, quando mister dei biancorossi era Bruno Bolchi (tre stagioni) e per la vittoria conquistata dalla squadra (allora in C1) in Coppa Italia contro la Juventus: successo a Torino per 1-2 l’8 febbraio del 1984, poi i pugliesi pareggiarono 2-2 in casa e passarono ai quarti. “L’uomo che ha portato a Bari Joao Paulo e Maiellaro, ma anche Cowans e Rideout, non può non essere ricordato con grande nostalgia”, scrive un tifoso sul forum Orgogliobarese, ricordando gli ingaggi dei due calciatori inglesi. Tra i colpi di mercato di Janich vanno ricordati anche gli arrivi del bomber Bivi, del fantasista Maiellaro e dei croati Jarni e Boban, ottenuto in prestito dal Milan.
Il Gazzettino, quotidiano del nordest, con la firma di Antonio Liviero, si sofferma in particolare sulla stagione 1980-81, alla Triestina, chiusa al quarto posto, in serie B. Il suo ritorno in Friuli è ricordato con commozione da Tito Rocco, figlio di Nereo ed ex dirigente della Triestina: “Era un gentiluomo. Una persona educata, elegante, gioviale che si è sempre distinta per la correttezza. Allora avevamo come allenatore Ottavio Bianchi. Franco sapeva alleggerire qualunque tensione con una battuta”. Il legame il Friuli Venezia Giulia è stato sempre tenuto vivo, da Janich. “Eravamo molto in sintonia” – racconta Rocco. “Ci siamo frequentati anche dopo. Veniva spesso a Trieste dove aveva delle amicizie. So che si vedeva ancora con un ex compagno ai tempi del collegio a Spilimbergo. Oltre che per il calcio aveva una grande passione per l’arte, amava moltissimo i quadri. E si vestiva con stile”.
Primi passi calcistici allo Spilimbergo, scoperto da Gigi Comuzzi. “Era un gran giocatore, forte di testa, un po’ lento, roccioso. Un armadio mobile” – lo ricorda il figlio del Paron. “Non si incrociarono mai, ma era il tipo di giocatore che piaceva a mio padre. Sono convinto che se si fossero conosciuti lo avrebbe preso con sé”.
Su Il Resto del Carlino, il ricordo è di Massimo Vitali, lo sintetizziamo. “L’anta dell’armadio si è chiusa: e questa volta per sempre. Addio ‘Armeri’, al secolo Franco Janich, il roccioso libero del Bologna del settimo scudetto, tanto arcigno e poco incline a fare sconti agli avversari sul campo quanto cordiale, epicureo e burlone fuori dal rettangolo verde. Janich era nato il 27 marzo 1937, si è spento in una clinica poco distante da Nemi, la località dei colli Romani che si affaccia sull’omonimo lago e che da decenni aveva scelto come ‘buon retiro’ in cui vivere, con la moglie.
Dopo tre stagioni alla Lazio, nel 1961 approda al Bologna, voluto da Fulvio Bernardini, che lo aveva allenato proprio nella capitale. È l’inizio di un sodalizio splendido, che dura undici stagioni.
La vita dei suoi compagni, i memorabili Ragazzi del ’64, si arricchisce di lazzi e battute al fulmicotone, perché Janich era uno che non amava prendersi troppo sul serio e altrettanto faceva col mondo. Quando gli facevi notare che in A non aveva mai segnato un gol, ti fulminava con una battuta: “Se avessi segnato anche un solo gol mica sarei stato unico…”.
Da dirigente costruì uno dei Bologna più sbrindellati della storia, quello che all’inizio degli anni ’90 era finito nelle mani di Casillo. Nell’anno di (dis)grazia 1992-93, Janich e il suo amico Romano Fogli, rispettivamente dietro una scrivania e in panchina nelle ultime giornate, provarono a metterci una pezza, ma arrivarono la retrocessione in C e il fallimento del club.
Nulla che gli avesse tolto il sorriso, lui che poteva tenerti al telefono mezzora per raccontarti barzellette. Ora quella voce gentile e spassosa si è spenta per sempre».
Su facebook, Vittorio Galigani – una vita da direttore sportivo, soprattutto al sud – lo ricorda così. «Ho perso un “fratello”. Un dolore insopportabile. Mi ha voluto nascondere il suo male. Mi parlava sino a pochi mesi orsono dei suoi progetti di calcio, la sua vita. Mi perdevo dietro i suoi divertenti aneddoti, il “Petisso” Pesaola, Fulvio Bernardini, “Mondino” Fabbri, Giacomino, “whisky” Liguori, la maglia azzurra e quel gol dei coreani. Il suo “slang” barese. Francone mi correggevi sempre, noi non diventavamo vecchi, noi eravamo diventati esperti. Sbagliavi. Tu sei sempre stato il più giovane di tutti. Scrivo con le lacrime agli occhi Francone non riesco a farmene una ragione».
Su La Gazzetta dello Sport, Matteo Dalla Vite aggiunge due particolari. «Stefano Benni lo fa definire da uno degli avventori di Bar Sport “baluastro” (baluardo + pilastro) della difesa rossoblù. Da direttore generale del Napoli convince Ferlaino a costruire il centro sportivo Paradiso e stabilisce con l’acquisto di Savoldi il record di abbonamenti (oltre 70 mila) che ha resistito anche a Maradona».
Infine Adalberto Bortolotti, bolognese, su Il Corriere dello Sport. Anche qui qualche brano.
«Il presidente del Bologna Dall’Ara restò stupito quando Bernardini, nella lista dei desideri, mise al primo posto un difensore, Francone Janich, appunto. Si aspettava un attaccante, un creatore di gioco. “Presidente, la squadra si fa una mossa alla volta. Lei mi prenda Janich, poi pensiamo al resto”. Il fatto è che Janich costava un sacco di soldi, per i tempi, e mai Dall’Ara avrebbe pensato di spenderli per un difensore. Era un periodo di liberi eccellenti e pure Francone si prese la soddisfazione di mettere insieme sei presenze in Nazionale A e otto in B, partecipando a due Mondiali, nessuno fortunato (Cile 62 e Inghilterra 66). Dopo quello inglese, come Bulgarelli e altri bolognesi, pagò la fedeltà al ct Edmondo Fabbri e venne cancellato dal giro azzurro.
Se devo ricordare una prestazione memorabile di Janich, torno con la mente alla stagione 1966-67, ottavi di finale della Coppa delle Fiere. Il Bologna giocava in Inghilterra, nella tana del West Bromwich. Allenatore rossoblù Carniglia, inglesi all’assalto, Bologna in trincea con Francone che calamitava tutti i palloni alti, svettando come un gigante fra compagni e avversari. Un autentico spettacolo. Il Bologna vinse 3-1, e fu storicamente il primo successo di una squadra di club in Inghilterra in una competizione ufficiale. Caro Francone, mi tornano alla memoria i geniali soprannomi, con cui battezzavi i compagni di squadra. Perani “felce azzurra” perché finiva le partite più fresco e profumato di quando aveva cominciato, Bulgarelli “furmiga”, formica, perché non sprecava un pallone, e il terzino Ardizzon, che colpiva più le gambe degli avversari che il pallone, “Ardizzon, tibia e peron”.
Meglio ricordarti sul campo, mentre fermavi Claudio Sala con un abbraccio, per impedirgli di saltare. Lui: “Ma cosa fai?” E tu “Scusami, mi sono innamorato di te”».
Questo era Janich, insomma. Dovremmo averlo incontrato anche noi, magari assieme a Sandro Vitali, altro storico ds scomparso, tre anni fa. Facevano parte di un calcio che non c’è più.
Vanni Zagnoli
Da “Assocalciatori.it”