Marino Perani non c’è più da alcune settimane e qui non riuscivamo a scrivere perché mille volte l’abbiamo visto e salutato in tribuna stampa, allo stadio Dall’Ara. Brevilineo, capelli grigi e poi bianchi, Marino era una lieta presenza, dal ’95, anno forse della nostra prima apparizione nell’impianto dove si giocava come in paradiso.
E Marino del Bologna era il numero 7, di quella squadra dello scudetto 1964. Raggiunge lassù Nielsen e Haller, Bulgarelli e Tumburus, mentre Pascutti se n’era andato un anno fa. Avrebbe compiuto 78 anni il 27 ottobre, se n’è andato a pochi giorni da Atalanta e Bologna, due fra le sue squadre. Se in rossoblù assomma 321 presenze e 64 reti, nella Bergamasca era nato, a Ponte Nossa, in val Seriana. Crebbe in nerazzurro, passò al Padova di Nereo Rocco e poi 14 stagioni di fila a Bologna, quasi sempre titolare.
Arrivò con merito alla Nazionale, eppure vi giocò appena 4 partite, tre delle quali al mondiale inglese del 1966, con Edmondino Fabbri. Avrebbe meritato di restare in azzurro, ma il repulisti fu tale che non venne più chiamato.
A Bologna ha vinto lo scudetto la Coppa Italia, la Mitropa e la Coppa di Lega Italoinglese, trofei suggestivi, all’epoca. Per il tricolore del 1964, fu tra i 5 inizialmente coinvolti nel celebre caso-doping, poi prosciolti per non aver commesso il fatto. Gli altri erano Ezio Pascutti, Romano Fogli, Mirko Pavinato e Paride Tumburus. Accuse alla fine cadute, facendo sì che il Bologna potesse regolarmente conquistare sul campo il titolo di campione d’Italia.
“Ricordo bene quei giorni” – ricordava Perani – “fu una mazzata, anche se all’inizio quasi quasi ci scherzavo. Eravamo comunque tutti convinti che prima o poi l’incubo sarebbe finito. Sapevamo di essere puliti e che la verità sarebbe saltata fuori”.
Chiuse a Toronto, in Canada, nel ’75, a 37, con i Metros-Crotia.
Da allenatore non era male, cominciò proprio all’ombra delle due torri, promosso dalle giovanili dal presidente dell’epoca Conti, al posto di Pesaola: dopo 7 gare fu sostituito da Cesarino Cervellati; tornò nella stagione 1979/80 portando la squadra alla salvezza. Naturalmente in A, perchè sino ad allora i rossoblù non erano mai retrocessi. Poi l’Udinese e il Brescia, la Salernitana e il Parma, dove venne promosso in B. E’ stato il suo unico, vero successo in panchina. Guidò poi anche il Padova e la Sanremese, la Reggiana e il Ravenna. Dal ’90, a 53 anni, si prese di fatto una pausa. Tornò giusto 20 anni fa, nell’Iperzola, la squadra di Zola Predosa, sempre nel Bolognese. Poi scelse di fare l’opinionista, diventando molto popolare soprattutto su E’ tv Rete 7, Bologna.
Fra i tanti, a ricordarlo, c’è stato Eraldo Pecci, 62 anni.
“Abbiamo giocato insieme nel Bologna” – racconta – “io ero all’inizio della mia carriera, lui alla fine. Era il giocatore più tecnico che abbia conosciuto, un atleta strepitoso, che ha raccolto meno di quanto meritasse”.
“Marino” – aggiunge Romano Fogli, al sito del Bologna – “è stato per me un compagno di squadra, ma soprattutto un grande amico. Siamo arrivati a Bologna insieme, nel 1958, io venivo dal Torino. I primi tre anni vivevamo assieme in una pensione, a via Otto Colonne, ci siamo sposati nello stesso periodo ed entrambi abbiamo preso casa in piazza della Pace, proprio davanti al Comunale. Sui campi abbiamo condiviso 20 anni, lavorando fianco a fianco nel settore giovanile rossoblù”.
Per Franco Colomba, Perani era “un compagno di spogliatoio, un amico, ma soprattutto il primo allenatore che ha creduto davvero in me, dandomi l’opportunità di giocare da titolare”.
Nel 2014 aveva sposato l’imprenditrice Anna Ciano, a Bologna. Un libro ricordava le sue prodezze: “Marino Perani: l’ala che fece volare il Bologna” (Giraldi Editore), con prefazione di Gianni Morandi. Un brano: “Marino era sempre uguale. Svelto, concreto e con il suo tiro preciso in diagonale. Andava sempre via in dribbling a chi gli si parava di fronte. Come allora, a Roma, quando con i calzettoni abbassati si fece mezzo campo per dare il la all’azione del definitivo 2 a 0. Riparte il Bologna, Perani avanza, manovra Fogli, Nielsen riceve, supera anche Sarti e depone la palla in rete!”.
Fu l’assist del 7° e ultimo scudetto rossoblù, davanti ai 60mila spettatori dell’Olimpico, a Roma, il 7 giugno del 1964, 25mila dei quali erano per il Bologna.
“Eravamo una squadra modello” – ricordava Marino Perani. “Ognuno aveva un compito preciso, sapevamo fare squadra e avevamo grande consapevolezza dei nostri mezzi. A quei tempi, i migliori non venivano mai ceduti e Renato Dall’Ara era un grande presidente. Dava l’impressione di essere un po’ duro, paternalista, ma in realtà era una persona amabilissima e soprattutto aveva un grande senso della meritocrazia”.
Da tecnico scoprì Mancini, che divenne più bravo di lui. Ma anche Perani era unico.
Vanni Zagnoli