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Antonio Di Gennaro ha compiuto 60 anni, è il miglior italiano, se consideriamo quanto ha dato da calciatore e quanto è bravo da commentatore tecnico. È la voce tecnica più grintosa, persino più di quanto fosse in campo.
Antonio, come ha festeggiato?
“In famiglia, in un ristorante a Polignano, vicino a Bari, in maniera molto semplice ma in un posto incantevole”.
Dove abita?
“Nel capoluogo pugliese, proprio, in un quartiere residenziale. Venni qua giusto 30 anni fa, dopo Verona, restandoci sino al ‘96: tornai a Firenze, come allenatore, e poi sono rientrato a Bari, nel 2003, e da allora sono sempre rimasto quaggiù. Vivo a 10 chilometri dal mare, certo il migliore qui va da Monopoli al Salento”.
A parte l’opinionista che fa?
“Ho una scuola calcio, da 9 anni, è la Pro calcio Bari, ma non è legata alla squadra adesso in serie D. Sono con Michele Andrisani e Marcello Sansonetti”.
Chi è l’Antonio Di Gennaro del calcio mondiale e chi era prima di lei, come caratteristiche?
“Registi alla mia maniera non me ne vengono in mente molti. Iniziai da mezzala e poi a tutto campo, a Firenze siamo cresciuti con i De Sisti, i Merlo e gli Antognoni, c’era questa prerogativa, poi ognuno fa la sua strada. Negli ultimi anni il miglior regista del mondo è stato Andrea Pirlo ma lui era a un livello molto più elevato. Io sono stato solo un buon giocatore”.
Rimpianti per quell’Italia-Francia del mondiale 1986? Il ct Enzo Bearzot puntava su di lei, eppure nella partita chiave snaturò la Nazionale, per inserire Beppe Baresi in marcatura su Michel Platini…
“Nessuno. Giocare il mondiale è già qualcosa di importante, per quanto uno ha voluto fare. Entrai nella ripresa, ma quand’anche fossi rimasto in campo dall’inizio sarebbe cambiato poco, i francesi erano più forti”.
Al microfono come fa a essere così trascinante?
“Amo quel che faccio e cerco di metterci il meglio di me, per far capire la tattica e la tecnica agli spettatori. Bisogna essere concentrati, viverla come se uno giocasse, anche se vedendola da sopra la prospettiva è totalmente diversa. Iniziai 16 anni fa, come un gioco, adesso è una professione”.
Con chi completiamo il podio dei più grandi, fra campo e microfono? Lei, Bergomi e…?
“Il livello è altissimo. Da questa stagione sono in Rai, ero a Sky e a Mediaset. Beppe cominciò persino prima di me, appena smise. Siamo amici e in tanti telecronisti ho ravvisato professionalità, competenza e la giusta partecipazione, per il giusto binomio con il commentatore tecnico”.
Quando litigò di più, fra campo, spogliatoi o in tribuna stampa?
“Sul terreno di gioco ero un po’ fumino, come si dice a Firenze. Ricordo una volta a Lecce, con Gaetano Salvemini sulla panchina del Bari, sbottai per la sostituzione fra il primo e il secondo tempo e nelle settimane seguenti fu chiarita la situazione. Per il resto ebbi un rapporto eccellente con il mister”.
Come si prepara per commentare una partita?
“Sono attento alle problematiche dei giocatori per l’intera settimana, studio la tattiche, le assenze e il giorno prima o il giorno stesso la stessa gara”.
Le capita mai di arrivare su un campo alla cieca o quasi?
“No, anche da giocatore giungevo un’ora prima dell’allenamento. Difficilmente arrivavo con soli 10’ di anticipo, stessa cosa da commentatore. Ai mondiali di Russia 2018, con Sandro Piccinini arrivavamo anche con 3 ore di anticipo”.
È sposato?
“Per due volte. Dal primo matrimonio, a Verona, nacque Elisa, 34 anni, che mi ha reso nonno di Tommaso, 10 anni. Mi sono risposato a Bari e ho altri tre figli: Andrea, 28 anni, Ilaria, 23, e Giovanni, 20. Entrambi i maschi hanno un po’ giocato”.
Disegni il top 11 della sua vita.
“Sceglierne andrebbe a sminuire gli altri, perché ho giocato davvero con grandi campioni. La squadra dello scudetto al Verona è stata grande ma ho avuto colleghi di rilievo tra Firenze e Perugia, la Nazionale e persino a Barletta, in C1. Il tricolore all’Hellas rientra in una storia irripetibile”.
Vanni Zagnoli