Il mestiere di addetto stampa è di portiere vecchio stampo e comunque incide tanto l’atteggiamento dei giornalisti. La mia storia da un lato fa sorridere, dall’altro è compatita, dall’altro ancora non è ben tollerata.
In sala stampa, ma pure in mixed zone, chiedono di parlare della partita, che a partita finita a me non interessa più e non interessa a nessuno.
Accade di fare domande da intervista, intimistiche. Di recente, una domanda molto normale, sullo spettacolo, ha suscitato la reazione stizzita di un personaggio, animando un curioso botta e risposta, anche imbarazzante, per me.
Qualche momento più tardi l’addetto stampa, con il quale c’è un’antipatia notevole, da decenni – ma con tanti -, ebbene il pr mi avvicina e dice: “Un’altra domanda così e non entri più”. E io a spiegare: “L’ho fatta oggi perchè la squadra aveva vinto”.
Parlo con un collega e mi dice “Parla con l’Ussi”.
No, non lo faccio. Quell’uomo non lo merita, perchè mi ha sempre preso in giro, ma lo fa con tanti, da quando ci conosciamo. Mi ha detto: “Io sono gentile, ti do sempre la parola, e tu…”. Come dire ripaghi così. Domanda sensibile, con risposta risentita ma seria. Il problema è l’addetto stampa, un fuoriclasse, da sempre.