Domani, sabato 19 dicembre, alle ore 24 su Sky Sport 1 HD e Sky Calcio 1 HD, nuovo appuntamento con “I Signori del Calcio”; protagonista l’allenatore del Leicester Claudio Ranieri, intervistato in Inghilterra da Massimo Marianella. Altri passaggi, domenica 20 dicembre alle 11.30, alle 17 e alle 22.45 su Sky Supercalcio HD.
Fare calcio in Italia è difficile forse perché siamo un pochino esasperati da tutto il contorno. Si parte sempre con: “Abbiamo un progetto, abbiamo un programma, facciamo questo, facciamo quell’altro”, poi bastano tre partite per mandare all’aria tutti i progetti e tutti i programmi, tutte le convinzioni che quello fosse l’allenatore giusto, e questo è un po’ il nostro male. Siamo molto tattici, siamo convinti tutti di capire di calcio, per cui bastano due o tre partite in cui non rendi come dovresti che salti. Alcune volte i dirigenti pur di vendere qualche abbonamento in più dicono che la loro squadra è pronta per vincere il campionato, o è pronta per entrare in Europa, per cui mettono una pressione addosso ai giocatori, all’allenatore, a tutto l’ambiente che non è positiva. Per cui alcune volte si sbaglia proprio per questo; noi non siamo per programmare, siamo nati per vincere, noi dobbiamo vincere e basta, il resto non conta. Questo non è bello, ma noi siamo figli di questo calcio; non siamo sportivi, ma siamo partecipativi e vogliamo vincere.
A Valencia è stata una bellissima avventura perché, appunto, erano 25 anni che non vincevano. Il fatto strano è che c’era una squadra costruita da un altro allenatore, questo possesso di palla che a me non è che piaccia poi tanto, perché io vivo per emozioni e voglio che anche i miei giocatori e i tifosi vivano delle emozioni. Per loro, il possesso palla, il dominio di una partita era già una vittoria e a me non andava bene, per cui dopo un mese e mezzo-due l’ho detto; ci fu una grossa riunione dove non c’erano soltanto il presidente e il direttore sportivo, ci saranno state 15-18 persone. C’era tutto lo stato maggiore del Valencia, e io gli dissi “avete sbagliato allenatore, perché se volete che resti, io faccio rivoluzione, metto dentro tutti i ragazzi perché vedo che hanno voglia, corsa, voglia di arrivare; per cui o mandate via me, o cambio tutto.” Ero convinto che mi mandassero via e, invece, loro accettarono questa scommessa e con quella squadra arrivammo quarti, entrammo in Champions League, vincemmo la Copa del Rey. E poi, anche perché io sono frettoloso, c’era l’Atletico Madrid che mi corteggiava, voleva fare una grande squadra e mi convinsero ad andare a Madrid, anche perché il Valencia mi aveva detto che non avrebbe potuto investire molti soldi. Io avevo detto: “abbiamo battuto in campionato e in coppa Real Madrid e Barcellona, con uno o due grossi giocatori possiamo lottare per vincere lo scudetto”. Loro mi dissero che non lo potevano fare, poi sbagliai perché quella squadra arrivo due volte in finale di Champions League.
L’etichetta “Ranieri fantastico a costruire le squadre con cui poi altri vincono” non mi fa male, anzi mi fa piacere, perché perlomeno riconoscono qualcosa ed è già tanto. Se io sbaglio i tempi è solo colpa mia, arrivo nei momenti magari più difficili, ma quando mi piace un progetto ci vado dentro; poi magari non riesco a vedere più in là, a dire “questo è un buon progetto, sta crescendo bene e posso arrivare in fondo”.
Il Chelsea è stata un’altra bella scommessa, era una squadra che già aveva vinto, perché aveva avuto come allenatore Gullit prima, poi Vialli, avevano vinto diverse coppe e non mi aspettavo di andare al Chelsea. Anche lì è stato improvviso. Le cose per me nel calcio sono state molto strane; io ero a casa, vicino Siena, con tutti gli amici ed ex giocatori, mi arrivò una telefonata nel pomeriggio e mi dissero: “Guarda, domani c’è una partita di coppa, vieni a vedere il Chelsea perché hanno esonerato Vialli, puoi essere tu l’allenatore se il colloquio li convince”. Dissi: “Va bene”, corsi a Siena a comprarmi giacca e cravatta, perché stavo in campagna e non avevo nulla da mettermi. Il giorno dopo arrivai a Stamford Bridge, vidi la partita, il giorno seguente ebbi il colloquio col direttore generale e mi presero…e via, ad imparare un’altra lingua! Prima avevo imparato lo spagnolo e adesso l’inglese.
Credo che nel calcio non ci sia da inventare, ma magari da rivedere, da ricambiare, da studiare, da imparare da come giocano gli altri e poi cercare di batterli. Questo è quello che faccio ogni volta che magari non ho la possibilità di allenare; la mia più grande ansia è andare a vedere come lavorano gli altri miei colleghi, giro molto.
Il calcio è come una droga, ti entra nel sangue, per cui quando io alleno sono normale, tranquillo, sereno, più c’è pressione e più riesco ad essere lucido. Quando non alleno non c’è più quella droga, per cui sono super nervoso, mi incavolo facilmente, insomma, è difficile.
Il possesso palla mi piace se hai una squadra con molta qualità, con quelle caratteristiche, perché se tu hai molto possesso di palla significa che al 70% la squadra che hai davanti ripiega e ti aspetta, e poi dopo devi avere dei giocatori che hanno la chiave per aprire la cassaforte avversaria, per cui non è facile. Io faccio possesso di palla, benissimo, per fare cosa? Per andare a far gol. Ma se poi dopo non ho i giocatori giusti per aprire le difese avversarie è tutto sbagliato.
Di Guardiola penso bene se lui ha quei campioni e può fare quel tipo di gioco, per cui ecco che ti addormenta. È come un serpente a sonagli, tiene palla, ti addormenta, ti fa girare a vuoto, però al momento giusto apre la cassaforte ed entra dentro. Per cui complimenti a lui perché li fa giocare bene, quando è un calcio veloce è bello, quando è più lento è un pochino stucchevole, però con quei campioni che ti sanno inventare all’improvviso la giocata giusta è stupendo anche quello.
Guardiola è un punto di riferimento, si possono prendere alcuni spunti, ma ripeto, se la mia squadra non sa tenere palla, perché mi devo ammazzare per far tener palla alla mia squadra così rischio di prendere il gol? Perché adesso un po’ tutti sanno aspettare e colpirti al momento giusto, ma perché questo? Se io ho una squadra che sa tenere il possesso palla farò il possesso palla, se non ce l’ha…A Monaco avevo una squadra per vincere il campionato di Ligue 2 e facevamo il possesso palla però, poi, facevamo gol. Così anche in Ligue 1, siamo arrivati secondi dietro il PSG, quando ci affrontavano si chiudevano tutti dietro, per cui giocoforza dovevi fare possesso palla. Quello che io chiedevo era sempre di far girare la palla velocemente perché se vogliamo trovare un varco dobbiamo farlo così; più lentamente muoviamo la palla e prima gli avversari riescono a chiudere tutti gli spazi.
Il Leicester come tutte le mie storie è nata per caso; io ero al mare, mi è arrivata la telefonata e mi dissero “stasera devi essere a Londra perché c’è il Leicester che vuole parlare con te, ci sono tutti i rappresentanti. Per cui dalla Calabria volo per Bergamo, poi Bergamo – Londra. E la sera a parlare; loro qui fanno prima una ricerca su una decina di allenatori, poi restringono il cerchio a 3-4, ci parlano e dopodichè scelgono quello che li ha convinti di più. Io quindi ho parlato con loro e me ne sono tornato in Calabria. Così mi hanno richiamato dopo due giorni: “ corri su che il presidente questa volta ti vuol parlare e vediamo se è tutto fatto”. Ho rifatto il viaggio più velocemente possibile e ho accettato. Ho avuto subito la sensazione di trovarmi dentro una grande famiglia. Un presidente stupendo, che lascia lavorare i suoi collaboratori a 360 gradi, non vuol sapere nulla, l’importante è che le cose vengano fatte bene e che ci si diverta. Per cui una grande società e una grandissima organizzazione, mai avevo visto una cosa del genere. Ho talmente tanti uomini nel mio staff che sono rimasto a bocca aperta.
Io credo di aver messo, di mio, il sistema di gioco. Ho messo i giocatori giusti al posto giusto per far si che Vardy tirasse fuori le sue qualità, perché chi fa gol è abituato a farli, non sei tu che lo porti a fare gol, evidentemente ce l’ha nel sangue. Questo è un ragazzo che 4-5 anni fa era nei dilettanti; è uscito fuori così all’improvviso, è esploso. Aveva fatto 16 gol in serie B col Leicester, l’hanno scorso al primo anno di serie A ne ha fatti soltanto 6 e quest’anno sta facendo molto bene. Ecco, io gli ho dato la libertà di attaccare, di giocare come lui sa, ma naturalmente facendo determinati schemi e riprovandoli e ripetendoli non molte volte, perché in Inghilterra non sono abituati a ripetere molti movimenti tattici, per cui non voglio imbambolarli, ma dargli dei suggerimenti in base alle loro qualità, per cui li proviamo in allenamento e poi li ripetiamo in partita.
La prima qualità che deve avere un allenatore è il saper gestire mille cose. Prima c’erano meno media, meno pressioni, adesso devi essere attento a mille sfaccettature. Dipende poi da ogni situazione, perché se sei in una grande squadra devi trovare il giocatore giusto, perché poi te lo fanno pagare, per cui hai ancora più responsabilità e non sempre trovi il giocatore giusto che si ambienta subito. Se sei in una piccola società, dove devi fare bene, allora devi andare alla ricerca di quel giocatore che abbia lo spirito giusto, come noi: vogliamo crescere, perciò non mi posso accontentare di un giocatore che vada bene, devo trovare qualcuno che abbia lo stesso nostro spirito, perché il nostro spirito di gruppo è bellissimo. Allora, non posso portare un giocatore che non abbia lo stesso spirito di giocare l’uno per l’altro, in più con le caratteristiche per farmi migliorare la squadra in futuro. Non sono cose facili, ma sono affascinanti.
Non c’è un trofeo che mi da maggior soddisfazione. Beh, con la Fiorentina erano tanti anni che non vincevamo, quella notte che ritornammo da Bergamo c’era lo stadio pieno ed erano le 2 o le 3 di notte; è stato bellissimo aver vinto quella Coppa Italia e la Supercoppa Italiana, fummo la prima squadra a vincere la Supercoppa Italiana avendo vinto la Coppa Italia, perché di solito era sempre la vincitrice del campionato che vinceva la Supercoppa. E anche a Valencia, quando sono andato e abbiamo vinto la Coppa del Re dopo 25 anni siamo tornati e c’era una città in festa, hanno fatto veramente fuochi d’artificio incredibili.
La Grecia è una di quelle avventure che ci sta, e questa la dice tutta su come sono fatto. Avevo in mente di allenare prima o poi una nazionale, volevo capire come si svolge il lavoro di un selezionatore. Avevo avuto anche una proposta, avevo parlato con una squadra inglese, ma poi ho deciso di andare in Grecia, volevo capire come e perché. Ho sbagliato, perché è un lavoro totalmente differente da quello che sono io. A parte che era un periodo finito, avevano fatto molto bene al mondiale, ma c’era un ricambio generazionale, io andavo a vedere anche giocatori di serie B. Ma il fatto è un altro, faccio un esempio: ho fatto soltanto 4 partite con questa squadra, avrò fatto si e no 15 allenamenti in totale. Ma cosa posso fare? 15 diviso 4 non sono neanche 5 allenamenti pre-partita, come può fare un allenatore, come può metterli insieme? Li vedi, qualcuno ha preso una botta durante il campionato, è stanco…e giochi. Poi hai fatto bene o hai fatto male, noi abbiamo fatto male, ma metti il caso che hai fatto bene e hai delle cose da correggere, come puoi farlo? Tutti se ne vanno via, tornano dopo un mese, due. Li rivedi, chi s’allena, chi no, e devi rigiocare. Questa non è la mia vita.
Il Leicester l’opera d’arte più bella che ho fatto? Siamo all’inizio! Ancora siamo grezzi, se stessi scolpendo. Sarei ancora al blocco di marmo, aspettiamo. Non ci sarà una prossima scultura, ci concentriamo solo su questa. Questa deve venire bene.