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Da Famigliacristiana.it
URUGUAY, LA FABBRICA DEI CALCIATORI
Quasi 1.500 calciatori sono emigrati dall’Uruguay negli ultimi dieci anni e più di cento sono arrivati in Italia. Suarez e Cavani le “stelle” di un Paese che scoprì il calcio nel’Ottocento.
Nel rapporto fra popolazione e vittorie nel calcio, l’Uruguay è il paese numero uno al mondo. Con appena 3 milioni e 400mila abitanti, ha messo in bacheca due mondiali (1930 e 1950) e 15 edizioni di Coppa America, compresa l’ultima, in Argentina. Dodici coppe sono vecchie di 40 e passa anni, la Celeste per 6 volte ha mancato la qualificazione al mondiale, eppure è stata semifinalista in Sudafrica e nel 1970 e in tutte le edizioni della rassegna sudamericana, escluse 6.
Il presidente della Repubblica José “Pepe” Mujica si lustra gli occhi perchè il Paese ha un palmares superiore all’Argentina, che vanta due edizioni in meno di Coppa America.
La prima edizione dei campionati del mondo è stata proprio a Montevideo, 84 anni fa, nello stadio Centenario, con successo per 4-2 sugli argentini. Il diapason venne toccato nel 1950, con il famoso “maracanazo”, ovvero il successo a Rio De Janeiro sul Brasile. All’epoca l’Uruguay era noto come la “Svizzera d’America Latina”, in quanto paese minuscolo, democratico e pacifico, mentre la squadra era accreditata della “garra charrùa”, grinta ereditata dagli indios che popolavano la sua terra prima degli spagnoli.
Fra i trofei c’è anche il Mundialito del 1981 e all’epoca debuttarono nell’Italia Carlo Ancelotti e Salvatore Bagni.
Laggiù il calcio venne importato dagli operai delle ferrovie inglesi, addirittura alla fine dell’Ottocento: il campionato ha 16 squadre di serie A, 14 delle quali sono di Montevideo, a partire da Penarol e Nacional, protagoniste proprio del derby calcistico più antico, al di fuori della Gran Bretagna.
Oggi il 40% della popolazione ha origini del nostro Paese e 120mila uruguagi hanno il passaporto italiano. Avi genovesi ha pure Julio Mario Sanguinetti, per due volte presidente. Su questa sponda del Rio de la Plata giunse persino Giuseppe Garibaldi, che per anni combatté anche in difesa dell’Uruguay e visse a Montevideo tra il 1841 e il ’48.
Dal 1850 alla seconda metà del ‘900, era mèta prediletta degli immigrati italiani, in campagna, nelle fabbriche o nei cantieri navali. Lo stesso nonno di Edinson Cavani era modenese, di Maranello, e aveva lavorato a Palermo. L’ex napoletano ha studiato nel collegio salesiano “salteno” e come insegnante di inglese aveva la signora Cecilia Pascale: “Voleva sempre giocare a pallone”, ha raccontato la maestra, “eppure Edinson era bravo a scuola, resto orgogliosa di averlo seguito”.
Nel primo decennio del nuovo millennio, dall’Uruguay sono espatriati ben 1.414 calciatori e 112 sono arrivati in Italia. Gargano gioca (non sempre) nel Parma, Perez a volte è finito in panchina nel retrocesso Bologna, idem Alvaro Gonzalez nella Lazio e Martin Caceres nella Juve.
La stella è Luis Suarez, doppietta all’Inghilterra. E’ un mix di potenza e tecnica che ne fanno un re. Luigi, appunto. Sul campo è paziente, affronta ogni tipo di marcatura e accompagna il tiro con il corpo, come gli aveva insegnato Pato Aguilera, oggi 50enne, semifinalista di coppa Uefa nel 1992 con il Genoa, in coppia con Skhuravy.
Come Cavani, Suarez è nato nell’87, a Salto, 100mila abitanti a 300 km dalla capitale. A 6 anni Luis lasciò la città a ridosso della frontiera con l’Argentina, assieme ai cinque fratelli e ai genitori. Si trasferirono a Montevideo e a 15 anni conobbe la moglie Sofia, quando lei ne aveva 12.
Un anno fa, l’Italia vinse ai rigori lo spareggio per il terzo posto di Confederations cup, sulla Celeste. Stavolta agli azzurri basta un pareggio, ma la nazionale di Oscar Washington Tabarez vuole firmare l’ennesimo miracolo della sua storia. Per confermare che il Paese con meno abitanti del mondiale (la Bosnia ne ha 400mila in più ma è già eliminata) può fare strada.